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Italicum, consultellum: Senato salvo, elezioni al 2018, ecco perché

di Gianluca Pace |5 Marzo 2014 9:21

Italicum, consultellum: Senato salvo, elezioni al 2018, ecco perché

ROMA – La grande riforma elettoale è saltata. Berlusconi ha vinto una mano, perché ha dimostrato ancora una volta il suo ruolo in politica, la riforma di Matteo Renzi si rivela una specie di bluff. A molti interrogativi si trova risposta in un articolo di Marco Palombi sul Fatto quotidiano,  dove spiega ai profani i perché del grande “inghippo salva legislatura”:

Cosa prevede l’accordo di ieri?

La cosa in sé è semplice: viene stralciato l’articolo 2, quello che disciplinava l’applicazione dell’Italicum al Senato. Di Palazzo Madama, semplicemente, nella legge partorita da Renzi e Berlusconi non si parla proprio più. E questo che implicazioni pratiche ha? Il Senato è stato abolito? Qui c’è l’inghippo della faccenda. Il Parlamento, palazzo Madama compreso, si apprestano a votare una legge elettorale che si basa sul presupposto falso che il Senato non esiste più. Solo che la Camera Alta esiste ancora, anche se Pd, Forza Italia e gli altri si sono accordati per eliminarla con apposita legge costituzionale (nessuno l’ha ancora vista, però).

Qual è il problema?

Il problema è che, teoricamente, per andare al voto si dovrebbe adottare l’Italicum (maggioritario) alla Camera e il Consultellum (proporzionale) al Senato. Si dice teoricamente, intanto, perché nessun presidente della Repubblica consentirebbe di andare a votare in una situazione del genere, ovvero nell’impossibilità programmatica di formare una maggioranza. In secondo luogo c’è il forte sospetto (vedi il parere dell’avvocato costituzionalista Pellegrino nella pagina accanto) che il combinato disposto, tra la legge elettorale di Renzi e quella disegnata dalla Corte costituzionale con la bocciatura del Porcellum, sia incostituzionale.

Perché?

Sono due sistemi opposti. Il caso più evidente è quello del premio di maggioranza: si sottraggono seggi ad alcuni partiti per assegnarli ai vincitori in nome della governabilità, della possibilità di formare una maggioranza coesa. Eppure visto che il Senato sarebbe eletto su base proporzionale la cosa non avrebbe alcuna ragion d’essere: è evidente che il primo ricorso ad arrivare alla Consulta invaliderebbe le elezioni.

E allora a cosa serve l’accordo di ieri?

Alla Camera, in Transatlantico, lo chiamavano il “salva-legislatura”. Visto che è impossibile votare con una porcheria del genere in vigore, significa che finché non si fanno le riforme non si andrà alle urne ancora per molto, molto tempo, forse non prima della scadenza naturale della legislatura, nel 2018.

Ancora quattro anni senza poter votare?

Di sicuro non meno di 12-18 mesi. L’abolizione del Senato, infatti, non è solo una riforma costituzionale, dunque lunga per esplicita previsione della Carta, ma anche molto complessa: significa rimettere mano ai rapporti tra governo e Parlamento, alla platea che elegge il presidente della Repubblica, al ruolo dell’attuale seconda carica dello Stato (cioè il presidente del Senato, che esercita le funzioni di capo dello Stato “in ogni caso” in cui il titolare “non possa adempierle”). A chi conviene una situazione così ingarbugliata? A tutti quei partiti che vedevano il voto immediato come una sciagura, Nuovo centrodestra su tutti, che così continua a mantenere inalterato il suo potere di ricatto sul governo. Anche la minoranza Pd, che non a caso con i deputati cuperliani Lauricella e D’Attorre ha firmato l’emendamento cancella-Senato, festeggia: se si andasse alle elezioni, è il timore, Renzi spazzerebbe via quelli che lo hanno avversato al congresso.

Cos’altro cambia nell’Italicum depurato dall’articolo 2?

Ad esempio è stato stralciata la norma cosiddetta “Salva-Lega” voluta da Forza Italia per tenere legato il Carroccio. La soglia di sbarramento passa dal 5 al 4, 5 per cento, quella per il premio di maggioranza è fissata al 37 per cento. Resta ancora aperta la questione della rappresentanza di genere: per ora l’Italicum non prevede “quote rosa”.

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