ROMA – Era il 12 marzo del 1972, quando Gianni Rivera, dopo la discussa sconfitta del suo Milan a Cagliari, decisiva per lanciare la Juve verso il titolo, attaccò il sistema: “Fino a quando a capo degli arbitri ci sarà il signor Campanati, per noi del Milan le cose andranno sempre in questo modo: saremo presi in giro, scudetti non ne vinceremo. Quello che abbiamo subìto è una vera vergogna. Dispiace soprattutto per gli sportivi che pensano che il calcio sia una cosa seria”.
Come racconta Enrico Maida sul Corriere dello Sport,
l’episodio contestato arrivava due settimane dopo lo scontro diretto di Torino, in cui l’arbitro Lo Bello aveva negato un rigore netto al Milan salvo poi ammettere l’errore in tv: “Quella era stata una presa in giro a metà. La logica è che dovevamo perdere il campionato. Mi hanno rotto le palle, sono disposto ad andare alla magistratura ordinaria e anche alla Corte Costituzionale”.
E sentite ancora qua, il Totti ante litteram: “Sono cose che tutti sanno, è dunque ora che si dicano. Sta scritto da qualche parte che il Milan non debba raggiungere la Juventus. E’ il terzo scudetto che ci fregano, così non si può andare avanti. Se lo avessimo saputo non avremmo nemmeno partecipato al campionato. I casi sono due: o io mi sono inventato tutto e allora mi squalificano a vita, oppure riconoscono di avere sbagliato e bisogna cambiare, sostituire chi non è all’altezza”.
La federazione scelse la via di mezzo ma adottò un provvedimento duro: Rivera venne ascoltato e poi sospeso fino al 30 giugno. Rivera in sede di audizione si difese spiegando che non alludeva a un complotto o alla corruzione degli arbitri, riferendosi invece all’incapacità e all’inadeguatezza del designatore.