“La versione di Berlusconi sulle serate di Arcore”, il Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Ottobre 2014 - 09:00 OLTRE 6 MESI FA
"La versione di Berlusconi sulle serate di Arcore", il Giornale

Berlusconi (LaPresse)

ROMA – “Dopo la cena alcune volte le mie ospiti organizzavano nel teatro della residenza degli spettacoli con musica e costumi, spettacoli che non avevano alcunché di volgare”. È soprattutto qui, nella descrizione netta ma sintetica delle serate di Arcore, che si coglie la distanza siderale tra la verità di Silvio Berlusconi e quella dei giudici della Corte d’appello: che pure lo hanno assolto, ma che nelle motivazioni depositate l’altro ieri hanno descritto in modi assai crudi la realtà delle serate organizzate dal Cavaliere nella sua villa di Arcore. Due verità diverse e anzi antitetiche.

Berlusconi era stato messo sull’avviso nei giorni scorsi, sapeva che le motivazioni gli avrebbero riservato più di un dispiacere. Ma ieri, quando le ha potute leggere, ha comunque manifestato un profondo disappunto: perché è convinto che per scrivere buona parte delle loro affermazioni, i giudici si siano totalmente disinteressati della sua ricostruzione dei punti cruciali della vicenda Ruby.

Scrive il Giornale:

La versione del Cavaliere era stata offerta nelle dichiarazioni spontanee davanti ai giudici di primo grado, quelli che poi lo avrebbero condannato a sette anni di carcere. «Posso escludere con assoluta tranquillità che si siano mai svolte scene di tipo sessuale imbarazzanti. Tutto tra l’altro avveniva alla presenza di camerieri, musicisti, personale di sicurezza, ospiti di una sola serata e, a volte, con l’intervento di miei figli, che venivano a salutarmi». A questa argomentazione, la sentenza d’appello replica solo in parte, quando la Corte scrive che «non si trattava di amplessi pubici o di orge collettive che per la loro durata e vistosità dovessero necessariamente attrarre sempre e comunque l’attenzione di tutti gli astanti». Ma come è possibile che personale di servizio e ospiti occasionali non si accorgessero di «esibizioni licenziose, spogliarelli, lap dance, simulazione di atti sessuali»?
Berlusconi si può consolare con la parte di motivazioni che riguarda la sua telefonata alla questura di Milano, e che in larga parte accolgono la sua tesi: «Non ho svolto mai alcuna pressione nei confronti del funzionario della Questura che ho avuto al telefono, al quale, come da lui stesso affermato, mi sono limitato a dare e a chiedere con assoluta gentilezza una semplice informazione», aveva dichiarato Berlusconi. I giudici d’appello, quando parlano di «contesto comunicativo ordinario e niente affatto intimidatorio» appaiono esserne convinti anche loro. E quando dicono che rilasciare ragazze sull’orlo della maggiore età a chi fosse disposto a prendersene carico rientrava tra le prassi della questura di Milano accolgono una tesi sulla quale i difensori del Cavaliere si erano battuti a lungo e senza successo già nel processo di primo grado.

Ma poi c’è la parte sul «bunga bunga», ed è qui che la ricostruzione dei giudici entra in più esplicita collisione con quella dell’ex presidente del Consiglio, soprattutto per quanto riguarda i contatti con Ruby: «Inutile dire – è la versione del Cavaliere – che non ho avuto alcun tipo di rapporto intimo con lei e che, durante la sua permanenza alle cene, non vi sono mai stati accadimenti di natura men che lecita. E’ anche per questo che qualsiasi ricostruzione tesa a ipotizzare che successivamente avrei offerto del denaro a Ruby perché non raccontasse cosa fosse accaduto durante quelle serate, è palesemente priva di fondamento». È esattamente il contrario di quanto invece i giudici hanno scritto nella sentenza, affermando che proprio le prebende di Berlusconi erano una delle cause (anche se non l’unica) delle menzogne di Karima el Mahroug. Dice Berlusconi nelle sue dichiarazioni: «Mai ho avuto rapporti intimi di qualsiasi tipo con Ruby, della cui minore età comunque non ero assolutamente a conoscenza, essendo anzi convinto che avesse 24 anni, così come da lei stessa dichiarato. E ancora, che mai ho avuto preoccupazione alcuna che si potessero inventare e narrare da parte dei miei ospiti degli accadimenti indecenti occorsi durante le serate che si svolgevano presso la mia abitazione».

Per aggirare il diniego sia di Ruby che di Berlusconi, che negano entrambi di avere avuto contatti ravvicinati, i giudici d’appello impiegano una «prova logica»: poiché Ruby si prostituiva, poiché ad Arcore avvenivano episodi di prostituzione, poiché in quei mesi Berlusconi ha dato dei soldi a Ruby, allora anche Ruby si è prostituita ad Arcore. Ma è una ricostruzione di cui Berlusconi contesta fin dall’inizio il primo presupposto, quello che nella sua villa si compissero atti men che leciti: «I miei rapporti con le mie ospiti, che conoscevo nella grande maggioranza da molti anni, erano basati sulla simpatia, su un’antica amicizia, sul cameratismo, e quindi sull’affetto e sul rispetto. Con tutte loro non c’è mai stata in assoluto alcuna dazione di denaro per ottenere rapporti intimi. Devo anche affermare con forza che nessuna delle mie ospiti poteva essere classificata, per quanto a mia conoscenza, come “escort” come invece poi è accaduto sui media nazionali ed internazionali e tantomeno come “prostitute”». Ma anche su questo, la sentenza d’appello è andata per la sua strada.