Letta e l’Europa, “Porcellum”, Berlusconi: prime pagine e rassegna stampa

Il Corriere della Sera: “Esenzioni, la stretta sui furbi”. Vantaggi collaterali. Editoriale di Marcello Messori:

“Le prospettive macroeconomiche dell’Italia sono schiacciate sotto una lunga serie di macigni. Per fare qualche esempio: un abnorme debito pubblico, una produttività stagnante da quasi quindici anni, un insieme sempre più ampio di carenze strutturali (elevata tassazione, inefficienza della spesa pubblica, basso tasso di attività in presenza di un forte invecchiamento della popolazione, distorto utilizzo delle risorse umane con conseguente fuga all’estero di larga parte dei giovani più brillanti, inadeguatezza della giustizia civile, un insufficiente controllo del territorio rispetto alle organizzazioni illegali, e così via). D’altro canto, alla fragilità delle nostre istituzioni si associa la presenza di ampie posizioni protette (posizioni di rendita) e la crescente lacerazione delle forme di coesione sociale. Questo impedisce di affrontare tali macigni e di aprire l’economia e la società a un necessario e radicale cambiamento.
Nonostante un quadro generale così negativo, l’Italia continua a produrre eccellenze. Nel corso dei primi anni del Duemila, una parte (seppur troppo esigua) delle nostre imprese manifatturiere ha saputo aggirare la stagnazione macroeconomica del Paese rafforzando la propria competitività nei mercati internazionali; e, malgrado la lunga e persistente recessione, una quota significativa delle nostre piccole e medie imprese appare oggi in grado di reggere il passo delle concorrenti tedesche e di rafforzarsi rispetto alle altre concorrenti europee”.

Il messaggio del Colle sul rilancio dell’Unione e i segnali ai partiti. L’analisi di Marzio Breda:

“Non è una sfuriata come quella in cui si lanciò (spiegando che era «per carità di patria») Oscar Luigi Scalfaro quando, alla vigilia del trattato di Maastricht, accusò i «ragionieri di Bruxelles» di un’aprioristica sfiducia verso Roma. Tuttavia, sia pure con uno stile meno tagliente, il suo sfogo un po’ gli somiglia. «L’Italia può dirsi soddisfatta e orgogliosa per lo sforzo di risanamento della finanza pubblica… piuttosto è a livello delle istituzioni Ue che si impone una correzione di rotta e un impegno nuovo per la crescita e l’occupazione», dichiara Giorgio Napolitano.
Ora, siccome le credenziali di europeista che ha conquistato nel tempo non permettono di pensare a una sua nuova e interessata diffidenza, è chiaro che questo messaggio va oltre il significato di una banale polemica di giornata e ha un doppio livello di lettura. Quello del capo dello Stato è certo un modo per difendere il governo di Enrico Letta, i cui interventi in campo economico erano stati delegittimati «per dovere di scetticismo» dal vicepresidente della Commissione, il finlandese Olli Rehn, proprio mentre a New York il ministro Fabrizio Saccomanni tentava di riguadagnare la fiducia dei media in cui rispecchia la comunità finanziaria internazionale. Insomma: il suo è, sì, un memorandum per dissolvere i postumi della bufera e rassicurare i nostri partner che ormai siamo davvero fuori dall’«incubo del 2011». Ma sembra anche, e forse soprattutto, un modo per indicare un percorso all’interno del quale andrebbe concepita una certa strategia dell’esecutivo (e sperabilmente delle forze che lo sostengono) nei prossimi mesi. Cioè in vista di una campagna elettorale per il Parlamento di Strasburgo che si preannuncia aspra e giocata appunto «contro» l’Europa, magari in chiave interna”.

Contratti bilaterali con Bruxelles. Roma tratta: ma no a imposizioni. Articolo di Ivo Caizzi:

“Il governo di Enrico Letta apre alla richiesta tedesca di impegni contrattuali vincolanti per l’attuazione di riforme strutturali da parte dei Paesi membri con i conti pubblici fuori controllo. L’Italia ha rivisto il suo iniziale orientamento negativo su questa ulteriore cessione di sovranità a Bruxelles nelle politiche economiche nazionali, voluta soprattutto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel per allontanare i rischi di futuri esborsi comunitari a governi con il bilancio dello Stato fuori controllo. Il parere «favorevole» alla linea tedesca è emerso dai negoziati sviluppati tra Roma e Berlino in vista dei vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue del 19 e 20 dicembre prossimi. L’Italia si accontenterebbe di avere in cambio vincoli contrattuali non rigidi e accompagnati da concrete misure di «solidarietà» giudicate adeguate dal Paese obbligato ad attuare le riforme indicate dall’Ue.
Nell’ultimo summit a Bruxelles dell’ottobre scorso Merkel era riuscita a far inserire nelle conclusioni l’impegno a «prendere decisioni nel dicembre prossimo» sui contractual arrangements, che impegnano i Paesi ad attuare le riforme raccomandate da Bruxelles. «Il principio degli accordi contrattuali è stato accettato da tutti», aveva esultato la cancelliera appoggiata da altri premier rigoristi del Nord. Ma Letta, impegnato a sollecitare all’Ue investimenti per il rilancio della crescita, aveva escluso l’accettazione di quello che potrebbe sembrare un «commissariamento» della politica economica nazionale. «Abbiamo la guardia alta su questi temi e nessuna intenzione di fare scelte che sono cedimenti unilaterali», aveva replicato il premier alla cancelliera”.

Sul fronte europeo tornano pregiudizi alimentati dallo stallo. La nota di Massimo Franco:

“Il presidente del Senato, Pietro Grasso, annuncia o forse augura a Enrico Letta che le foto delle larghe intese nei prossimi mesi saranno «più chiare, più a fuoco e più stabili». La presenza di Silvio Berlusconi nella coalizione, secondo Grasso, le rendeva ambigue e dunque inevitabilmente «sfuocate». Ma per stabilizzare la sua maggioranza il premier deve proteggersi su due fronti: quello del proprio partito e quello europeo. Le incognite sul primo sono legate all’atteggiamento che assumerà il probabile nuovo segretario, Matteo Renzi: sebbene il presidente del Consiglio abbia ripetuto anche ieri di aspettarsi un lavoro comune, «perché c’è un interesse del Paese prima di quello dei singoli».
Il rischio, per il governo, è che le richieste annunciate da Renzi in caso di elezione si sommino alle perplessità di Mario Monti, incline ad alzare i toni sulle riforme mancate: al punto da ipotizzare l’uscita dalla coalizione. Il secondo nasce da una diffidenza di Bruxelles nei confronti dell’Italia, che l’incertezza politica non contribuisce a smentire. Soprattutto nella filiera dei Paesi del Nord Europa, persiste uno scetticismo al limite del pregiudizio sulla capacità di prendere misure in grado di risollevare l’Italia”.

Feste e soldi al circolo del rugby Le nuove accuse al sistema Lazio. Scrive Fiorenza Sarzanini:

“La festa organizzata allo Stadio dei Marmi da Carlo De Romanis con i consiglieri travestiti da maiali è ormai un evento cult. Ma a leggere la lista delle spese dei consiglieri della Regione Lazio ai tempi della giunta guidata da Renata Polverini, le sorprese non appaiono affatto finite. Perché uno degli esponenti del Pdl, Stefano Galetto, è riuscito a finanziare con i soldi pubblici il suo circolo del rugby, mentre la collega Lidia Nobili ha giustificato con false fatture gli acquisti, le cene e tutti gli eventi mondani organizzati a Rieti, sua città natale. È tutto documentato nell’avviso di conclusione indagine che i magistrati di Roma hanno notificato ieri agli indagati. Sono quattro i politici che rischiano il processo e vanno ad aggiungersi all’elenco che già comprende “Er Batman” Franco Fiorito e l’ex presidente del consiglio Mario Abruzzese, finiti in altri fascicoli d’inchiesta. Ma anche agli esponenti del Pd iscritti nel registro degli indagati della Procura di Rieti. Nomi altisonanti come quello di Esterino Montino, ex capogruppo alla Pisana e ora sindaco di Fiumicino, e quello di Enzo Foschi, capo della segreteria del sindaco di Roma Ignazio Marino. Entrambi accusati di peculato insieme a Mario Perilli, ex vicepresidente della Regione e al consigliere Giuseppe Parroncini. Tutti evidentemente uniti quando si trattava di spartirsi la torta dei finanziamenti ai partiti. Tutti d’accordo nel “coprire” gli esborsi personali sotto la voce «rimborsi a fini politici». In tutto fanno centinaia di milioni di euro sui quali anche la Corte dei conti ha già disposto controlli”.

 La Stampa: “L’Europa ci chiede altri 6 miliardi”

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Totonomine per la squadra di MatteoFassino in pole per la presidenza. Scrive Carlo Bertini:

“Se si domanda in giro ai renziani, subito i volti arrossiscono e il timore di dirla sbagliata e di finire nel cono d’ombra cresce, quindi meglio risalire alla fonte primaria, cioé Matteo Renzi in persona. Il quale fin dalla Leopolda di un mese fa ha in testa un solo nome sicuro e indiscutibile per la sua segreteria, cioè il suo braccio destro Luca Lotti: giovane, biondo e scarmigliato deputato, fiorentino come lui, al quale il sindaco da sempre affida le pratiche più delicate, dalle candidature nelle liste ai rapporti col gruppo parlamentare. E proprio per questo Lotti sarà una sorta di «reggente» del Pd per suo conto, con un incarico di crocevia quale è il coordinatore della segreteria.

E se questa è la casella sicura, le altre dodici, metà donne, «tutti scelti senza giochini tra le correnti» garantisce Renzi, sono ancora incerte. Il personaggio non lesina mai sorprese. Quindi fino all’ultimo le cose potrebbero cambiare, anzi cambieranno, assicurano quelli del cerchio più stretto. La seconda cosa certa è che Lotti sarà il solo fiorentino della compagine, per non trasmettere l’immagine di un leader chiuso a riccio con i suoi: e anche per questo il volto più noto del renzismo, Maria Elena Boschi, organizzatrice della Leopolda e spesso presente in vari talk show, non entrerà in segreteria, così come l’altra parlamentare molto vicina a Renzi, Simona Bonafé, che lo segue fin dal camper delle scorse primarie contro Bersani”.

La prima pagina di Repubblica: “Riforma elettorale, ecco il piano”.

Il Fatto Quotidiano: “Porcata continua”.

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Il clan politico di Cl si attovaglia per spartirsi la torta dell’Expo. Scrive Davide Vecchi:

“Un miliardo 300 milioni di euro valgono una pace. Il clan politico di Comunione e liberazione si è ricompattato con un obiettivo chiaro: Expo 2015. Dimenticati gli attriti degli ultimi anni, le inchieste giudiziarie e le spaccature create in Cl, Roberto Formigoni, Mario Mauro e Maurizio Lupi sono tornati a lavorare come un sol uomo. Ciascuno ha il suo ruolo e gioca la sua parte. Formigoni, per dire, tiene ancora le redini del potere lombardo, ma con l’assenso suo e di Mauro è Lupi a mostrarsi in pubblico con il neogovernatore Roberto Maroni, intento a offrire un’immagine di spaccatura tra la sua Regione e quella un tempo guidata dal plurindagato Celeste. I tre, se necessario, fanno squadra. Quando nel 2011 l’impero politico di Silvio Berlusconi era in procinto di crollare, i tre andarono a palazzo Grazioli a parlare con il Cavaliere. Ma prima si erano spartiti i ruoli: Formigoni invocava le dimissioni dell’allora premier, Lupi invece lo sosteneva, Mauro moderava. Nessun vincitore, nessuno sconfitto”.

Il Giornale: “Berlusconi spacca il Pd”. Partiamo dalla patria e rifacciamo l’Europa. L’editoriale di Marcello Veneziani:

Sì, Presidente Napolitano, ha ragione, l’Europa deve cambiare rotta. Ma deve cambiare anche meta. Quest’Europa non funziona così come è stata conge­gnata. No, non fraintendete. La soluzione non è uscire dall’Europa, ma entrare finalmente in Europa. Non sto pazziando. La soluzione non è barricarsi negli Stati nazionali, sognare l’au­tarchia e gridare l’antieuropa. La vera scom­messa è invece rifare l’Europa sul serio, ovvero fondarla come soggetto politico, militare, so­ciale, culturale coeso rispetto all’esterno e libe­ro al suo interno. Il contrario di quel che è oggi l’Europa, un continente di latta rispetto al­l’esterno e una caserma di piombo rispetto ai suoi popoli e ai suoi cittadini. L’Unione europea di oggi è incapace di una sua politica estera, di una politica protettiva ri­spetto all’esterno, anche protezionistica, se oc­corre; è incapace di una politica unitaria da­vanti all’immigrazione, è fragile e divisa rispet­to alle crisi internazionali e alle turbolenze me­diterranee; è incapace di sfidare l’egemonia statunitense, di arginare l’offensiva cinese, di frenare la minaccia islamica e di riconoscere la sua matrice mediterranea; è priva di una sua forza militare unita, è senza un governo politi­co eletto dai cittadini, magari dopo un referen­dum costitutivo del sovrano popolo europeo, dimentica le sue radici e la sua civiltà. In com­penso è oppressiva al suo interno mediante i diktat agli Stati, i rigidi parametri e le tirannie economico-finanziarie; è un’Europa feroce­mente astratta, come la finanza speculativa, preoccupata della contabilità e non della vita reale dei popoli e delle famiglie. Il razzismo im­perante si chiama rating, come le omonime agenzie. Quest’Europa è complice e succube del col­po di stato contro i popoli europei, ben docu­mentato da Luciano Gallino nel suo libro omo­nimo uscito in questi giorni”.

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