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Letta, Napolitano, Porcellum e Ue: prime pagine e rassegna stampa

di Gianluca Pace |3 Dicembre 2013 8:32

Il Corriere della Sera: “Napolitano chiede un programma”. Intrappolati in un girotondo. Editoriale di Giovanni Sartori:

“Specialmente noi — anche se non soltanto noi — ci siamo intrappolati in un girotondo vizioso che era facile prevedere ma che non è stato previsto. Sorvoliamo sulle colpe. Il fatto è che abbiamo creato una Comunità europea indifesa e indifendibile nella sua economia produttiva e nei suoi livelli di occupazione. Eppure era ovvio che aprirsi alla globalizzazione in un mondo nel quale i salari dei Paesi poveri, i Paesi del cosiddetto Terzo mondo, erano 5, 10, a volte persino 20 volte, inferiori ai nostri salari, avrebbe costretto le nostre industrie, specie le grandi industrie, a dislocarsi dove il lavoro costava meno.
Dunque la globalizzazione dell’economia produttiva comportava la disoccupazione europea. I Paesi più efficienti e meglio governati hanno sinora fronteggiato la situazione. Ma in parecchi membri dell’Unione Europea la globalizzazione ha gonfiato il debito pubblico a livelli non sostenibili e ha gonfiato a dismisura la burocrazia dello Stato o comunque a carico dello Stato. Oggi siamo costretti a dimagrire: per cominciare, via gli enti inutili, via le Province, via le burocrazie clientelari e gonfiate delle Regioni. La soppressione delle Province forse andrà in porto: ma con l’assicurazione che il loro personale verrà salvato e manterrà lo stipendio che aveva. E allora siamo sempre nel circolo vizioso di partenza”.

Passaggio in Aula per togliere pretesti a chi vuole la crisi. La nota politica di Massimo Franco:

“Continuità nella «discontinuità». Il colloquio di ieri sera tra Giorgio Napolitano ed Enrico Letta non dovrebbe essere considerato un evento straordinario ma fisiologico. È il presidente della Repubblica che riceve in udienza il capo del governo. Il fatto che abbia assunto un rilievo politico inusuale si deve alle minacce alla stabilità provenienti da alcuni settori del Parlamento e della stessa maggioranza; e dal ruolo decisivo che Quirinale e Palazzo Chigi hanno assunto come garanti della legislatura. Per questo, la decisione di spedire il governo alle Camere per registrare la nascita di una nuova coalizione, dopo il passaggio all’opposizione della Forza Italia di Silvio Berlusconi, non prelude a una crisi; e probabilmente nemmeno a un altro governo a guida Letta.
Il Parlamento sembra chiamato a prendere atto dello strappo berlusconiano. Ma il «sì» dato al Senato sulla legge di Stabilità già prefigura la fiducia «anche nella nuova situazione». Non solo. Il passaggio parlamentare dovrebbe avvenire la settimana prossima, l’11 dicembre. Dunque, dopo l’elezione del segretario del Pd, prevista per domenica. E questo va incontro alle richieste del favorito, Matteo Renzi, che non voleva trovarsi di fronte un equilibrio preconfezionato. L’esigenza di «segnare la discontinuità» tra «la precedente e la nuova maggioranza» serve dunque a stabilizzare e non a terremotare il governo: almeno nelle intenzioni del capo dello Stato e del «suo» premier.
L’idea è quella di non offrire pretesti a quanti sperano di acuire le tensioni al punto tale da provocare una rottura entro la fine dell’anno. Gli attacchi e gli insulti di Beppe Grillo sono scontati. In parte erano prevedibili anche quelli che arrivano dalle file di Forza Italia dopo la scissione del Pdl e la decadenza di Berlusconi da senatore. Il fronte che più preoccupa, tuttavia, è quello interno al Pd. L’aggressività di Renzi cresce mentre ci si avvicina all’8 dicembre e alle primarie. E nonostante Letta tenda a liquidarla come un’esigenza tattica di tipo congressuale, sa che si tratta di qualcosa di più. Tra i sostenitori del presidente del Consiglio si accusa Renzi di fare più danni del Cavaliere e di Grillo”.

La prima pagina di Repubblica: “Debito, l’Ue accusa l’Italia”.

La Stampa: “La corsa a ostacoli di Letta”. Ora al verifica ma il calvario non è finito. L’editoriale di Marcello Sorgi:

“Non saranno affatto una passeggiata la fine delle larghe intese e l’avvio della fase nuova, che dovrebbe prendere corpo dopo il dibattito e il voto di fiducia della prossima settimana. Il comunicato quasi a doppia firma, uscito dal Quirinale dopo un’ora di colloquio tra Napolitano e Letta, conferma che c’è una perfetta unità di vedute tra i due presidenti. Ma la lunga vigilia che ha preceduto il varo della verifica formale, in Parlamento, della maggioranza ristretta, ha già fatto capire che il calvario del governo non è finito.

Non è un mistero, infatti, che Letta, e in un primo momento anche Napolitano, puntassero a evitare lo stress di un altro passaggio parlamentare nel bel mezzo dell’interminabile discussione sulla legge di stabilità, tra l’altro ancora in corso e con la grana infinita dell’Imu che stenta a chiudersi. D’altra parte, il governo aveva dimostrato di avere la maggioranza al Senato, cioè nella Camera dai numeri più incerti, anche dopo la decisione di Berlusconi di passare all’opposizione.
Ufficialmente perché insoddisfatto dei contenuti della manovra di fine anno, di fatto come reazione al voto del Pd in favore della sua decadenza. Ma l’atteggiamento intransigente di Forza Italia, reso esplicito da una delegazione salita a questo scopo al Quirinale, ha convinto Napolitano dell’impossibilità di evitare la liturgia della verifica. La scelta del Presidente della Repubblica è racchiusa tutta in quella parola – «discontinuità» – inserita nel comunicato di ieri sera e subito sottolineata con soddisfazione dai due capigruppo di Forza Italia Brunetta e Romani. Era quel che volevano i berlusconiani, per dimostrare che la rottura è seria e le conseguenze non stanno affatto trascurabili”.

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Il giorno del giudizio per il Porcellum. Scrive Ugo Magri:

“Un pilastro traballante della politica italiana, la legge elettorale, è a rischio di crollo. Oggi la Corte Costituzionale deciderà se assestare o meno la picconata decisiva. Deve dichiarare ammissibile (o non ammissibile) il ricorso presentato dall’avvocato Bozzi, che contesta il premio di maggioranza e le liste bloccate.

Di regola, la Consulta non potrebbe nemmeno esaminare i casi sollevati da singoli cittadini, perché altrimenti ne sarebbe subissata. Però stavolta la vicenda è stata presa a cuore dalla Cassazione, che si è prodotta in una ricca argomentazione giuridica a sostegno del ricorso. Dunque ci sarebbero, secondo chi se ne intende, tutti i presupposti perché la Corte Costituzionale accetti di studiare la questione, senza cestinarla in modo sbrigativo. Una volta ammesso il ricorso, potrebbe teoricamente cavarsela dicendo «sono obiezioni infondate», e promuovere la legge vigente nota come «Porcellum». Più probabilmente, la Consulta finirebbe per riconoscere come fondate le contestazioni, cancellando il premio di maggioranza, le liste bloccate e tutto quanto dovesse ritenere contrario alla Costituzione. Si fa strada un’ipotesi addirittura più radicale: che la Corte giudichi il «Porcellum» sbagliato dalla «a» alla «z», dunque lo cancelli completamente. Come riempirebbe il «vuoto»? Riportando in vigore la legge che c’era prima, anch’essa passata alla storia con un nomignolo: il «Mattarellum» (dal nome del suo proponente, Mattarella, oggi giudice costituzionale)”.

 Il Fatto Quotidiano: “4 miliardi spediti in Cina. L’oro degli schiavisti di Prato”.

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Il Giornale: “Napolitano fa lo gnorri”. Pm sveglia, i cinesi sono berlusconiani (purtroppo anche noi). L’editoriale di Alessandro Sallusti:

Malafede.Non c’è altro termine per defini­re il modo con cui spesso viene applica­ta, o non applicata, che è poi il rovescio della medaglia, la giustizia in questo Pa­ese. Ieri il tribunale di Milano ha emesso una senten­za che ci riguarda. Il nostro collega Luca Fazzo è stato condannato a sei mesi di carcere senza condizionale per diffamazione. Aveva definito in un articolo «coca­inomane incallito» un tizio coinvolto in una inchie­sta sullo spaccio nelle discoteche della Milano bene. Il pm aveva chiesto una ammenda di tremila euro, e già la cosa ci era sembrata ingiusta. Non è una opinio­ne, vi riporto uno stralcio dell’interrogatorio-confes­sione del suddetto galantuomo: «Sono consumatore da 4 anni di cocaina e negli ultimi anni ne consumo parecchia anche dalle due alle quattro volte alla setti­mana (…) di solito funziona che al tavolo del privè del­l’Hollywood si chiede ai presenti se hanno cocaina ed effettivamente molti ne hanno disponibilità e so­no adusi a regalarla. Io e le mie amiche andavamo in bagno a consumare la sostanza». Ora, uno che am­mette di consumare regolarmente coca da quattro anni come andrebbe definito? Diversamente non co­cainomane? Perbenino? La colpa di Fazzo non è quella di aver commesso un errore professionale. Anzi, è stato come al solito un cronista scrupoloso. Paga solo il fatto di lavorare per Il Giornale ,paga per aver scritto senza remore del­l’accanimento giudiziario contro Berlusconi. Paga, insomma, il prezzo ingiusto della sua libertà. Una co­sa simile è successa, sempre ieri e sempre al tribuna­le di Milano, a Daniela Santanchè. Quattro giorni di carcere, commutati in pena pecuniaria, per aver ma­nifestato senza permesso (così dice l’accusa) contro l’uso del burqa da parte delle donne della comunità islamica di Milano. Notate bene: portare il burqa, in questo Paese, è reato, ma non risulta che quelle don­ne siano state sanzionate. Così come non c’è traccia di condanne al carcere per le centinaia di proteste non autorizzate (dai No Tav ai centri sociali) che ogni giorno bloccano e a volte devastano parti delle no­stre città. Ma si sa: anche la Santanchè è donna di centrode­stra, anche lei non tace critiche a certa magistratura. E quindi giù botte. A farla franca invece sono quei cri­minali cinesi che con i loro laboratori-ghetto schia­vizzano giovani e donne, inquinano e creano danni enormi al libero mercato. Possibile che se un nostro artigiano non rispetta anche l’ultimo cavillo delle leg­gi sulla sicurezza (non parliamo di quelle fiscali) le procure gli chiudono l’azienda e invece centinaia di cinesi possono violare leggi e diritti umani? Quei po­veri morti di Prato li ha sulla coscienza anche la magi­stratura, che invece di occuparsi di reati veri e gravi perseguita – a senso unico – la libertà di espressione”.

La prima pagina del Fatto Quotidiano
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