ROMA – “Liberalizziamo le droghe leggere“. Questo l’appello di Umberto Veronesi la mattina del 20 febbraio su Repubblica. Dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi, è necessario per Veronesi riaprire il dibattito in Italia.
Veronesi nell’appello pubblicato da Repubblica scrive:
“Con la bocciatura della legge, che equiparava droghe pesanti e leggere e prevedeva pene fino ad 20 anni di reclusione, si è calcolato che le condanne dovranno essere riviste per 10.000 detenuti, perché connesse all’uso di droghe leggere, dunque per reati di lieve entità. È un numero enorme, che corrisponde quasi alla metà di tutti i reclusi per droga, complessivamente circa il 40% dei carcerati. Ora, si stima che circa il 50% dei nostri giovani faccia uso di cannabis, oltre a molti adulti. Significa che metà dei giovani italiani è criminale? Se fosse così, ci sarebbe un motivo in più per ritenere la Fini-Giovanardi un totale fallimento. Mettere sullo stesso piano droghe leggere e pesanti è antiscientifico. Lo spinello è considerato dai giovani una droga “ludica” ed innocua e vietarlo serve solo a stimolare la loro propensione alla trasgressione. Ben diverso è il contesto di chi affonda nell’eroina fino a rischiare la vita”.
Per Veronesi la proibizione implica un fallimento nell’azione educativa e alimenta il traffico illegale;:
“Del resto le esperienze di paesi europei come la Svizzera, l’Olanda e recentemente il Portogallo, che hanno adottato politiche di liberalizzazione nei confronti della droga, parlano chiaro: se liberalizziamo la droga, non ne aumentiamo l’uso, riduciamo invece la mortalità da overdose e la criminalità collegato alla produzione e allo spaccio. Secondo molti esperti la liberalizzazione estesa metterebbe in ginocchio i grandi trafficanti e le economie che si basano sul narcotraffico come quella talebana in Afganistan e quella colombiana in Sud America. Da noi, la mafia.
L’esempio di fallimento del proibizionismo, scrive il medico, è l’esperienza americana degli anni ’20:
“in soli tredici anni di divieto di consumo di alcol fiorirono in maniera esponenziale il consumo clandestino, il mercato nero gestito da bande criminali e il costo dell’alcol che faceva da volano alla criminalità. Si calcola che la mafia incassi per la droga circa 60 miliardi di euro ogni anno. Un giovane che cade nella “dipendenza”, se non è ricco, ha solo tre possibilità per procurarsi una dose: rubare, prostituirsi o spacciare. In ogni caso diventa un fuori legge”.
Liberalizzare ed educare è lo strumento, non vietare, scrive Veronesi nel suo appello:
“È anche il momento per ridare alla cannabis lo spazio che merita nella cura del dolore. Già molte regioni hanno reso accessibile la cannabis ad uso terapeutico. È assurdo, per il resto del Paese, rinunciare ad un potente antidolorifico solo perché ha la “colpa” di essere anche una sostanza stupefacente. Il dolore è il più grande nemico dei malati, annienta la loro dignità, spegne le loro energia e la volontà di combattere. Il dolore va affrontato con ogni mezzo a nostra disposizione. Anche con la cannabis”.
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