Libero: “Ora Letta traballa. Le intese si fanno strette: al Senato solo 10 voti”

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Libero: “Letta traballa”

ROMA – Quella di ieri, infatti, a Palazzo Chigi non è stata vissuta come una giornata positiva. Anzi. Il premier Enrico Letta (e con lui il Pd, a partire dallo stato maggiore) si rende benissimo conto di quanto si sia fatto in salita il cammino per il governo delle larghe intese.

Scrive Marco Gorra su Libero:

(…) Principalmente perché adesso le intese sono diventate strettine. I tempi sono ancora prematuri per azionare il pallottoliere con precisione assoluta (finché non si costituiscono formalmente i nuovi gruppi il numero dei relativi effettivi conserva margini di alea), ma una proiezione in linea di massima si può fare. E la proiezione dice che, senza Forza Italia, la sopravvivenza del governo in Senato è appesa a un pugno di voti: forse dieci, forse una dozzina, non più di quindici nello scenario migliore. Scomputando Forza Italia dalla maggioranza (…), si verifica un sensibile smottamento nei numeri: Forza Italia più Cinque stelle più Lega più Sel più i lealisti del Gal fa 144. Se ne deduce che la maggioranza (Pd, Scelta Civica, Nuovo centrodestra, Autonomie e transfughi grillini) si ferma a 171. Cioè dieci voti sopra la fatidica soglia dei 161 voti di maggioranza.

I rapporti, come detto, sono suscettibili di arrotondamento: la reale stazza degli alfaniani è ancora sconosciuta (…), ma da queste previsioni non si dovrebbe finire per discostarsi più di tanto. Resta infine l’incognita dell’atteggiamento dei sei senatori a vita (…). Che una maggioranza tanto risicata sia destinata ad essere soggetta a rilevanti scossoni è evidente. Anche perché aree in sofferenza non mancano, a partire da quella renziana. Il sindaco di Firenze rischia di finire stritolato nel tandem di opposizione Grillo-Berlusconi e non ha intenzione di logorarsi facendo lo scudo umano del governo. Incidentalmente, la pattuglia di senatori fedeli al sindaco di Firenze conta una dozzina di effettivi. Quanti ne servono per giocare a Letta lo scherzo della vita. Tutto questo senza dimenticare che non è nemmeno detto che i guai per l’esecutivo debbano per forza arrivare dall’aula.

Gli effetti del rimescolamento del centrodestra, infatti, si faranno sentire nelle commissioni ancora prima che nell’assemblea. E in questo momento il destino vuole che il centro del mondo sia la commissione Bilancio di Palazzo Madama, dove è in esame la legge di Stabilità da cui dipendono le sorti del Paese tutto in generale e del governo Letta in particolare. Ebbene, a seguito della scissione del Pdl gli equilibri in commissione Bilancio risultano modificati come segue: se presidente della commissione (Antonio Azzollini) e relatore del provvedimento (Antonio D’Alì) sono due alfaniani di sicura e provata fede, nel resto della delegazione pidiellina arriva il terremoto: dei cinque azzurri rimanenti, infatti, almeno quattro sono su posizioni berlusconiane. Tra opposizione e maggioranza, a quel punto, la distanza si ridurrebbe ad un’incollatura. Occasioni per contarsi (a partire da pensioni e vendita delle spiagge) non mancheranno.

Come se non bastasse, manca meno di un mese alle primarie del Pd. Ovvero all’evento che Palazzo Chigi teme sia destinato ad innescare la disgregazione del partito e, di conseguenza, quella del governo. Le certezze sono due: primo, che vince Renzi; secondo, che il Rottamatore al timone del Nazareno è una bomba ad orologeria sotto la sedia del premier. Anche (anzi, specialmente) se si dovesse riuscire a passare indenni la prova della manovra, le insidie piazzate sulla via dell’esecutivo da un Renzi sempre più bisognoso di elezioni anticipate sarebbero svariate, a partire dal caso Cancellieri. (…)

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