ROMA – Luigi Zingales: le “cicale” sono le banche tedesche. Per superare la crisi economica è necessaria un’Europa più integrata, più unita. Un passo decisivo verso una maggiore integrazione è l’Unione bancaria, con la Bce nel ruolo di controllore e unico supervisore. E’ giusto e condiviso il principio, non è facile introdurre, per contro, regole comuni su come trattare i casi di una banca insolvente: chi paga eventuali ristrutturazioni o salvataggi?
Sulla proposta della Commissione (fallimento ordinato) non sono d’accordo i tedeschi: temono che le “cicale” del sud Europa, quelle dei conti pubblici truccati e delle banche sovraesposte a rischio insolvenza, siano alla ricerca del’ennesimo stratagemma per scaricare su di loro, le virtuose “formiche”, i costi dei rischi assunti senza coperture adeguate.
E’ propaganda questa, secondo l’economista Luigi Zingales. Ne scrive sul Sole 24 Ore di domenica 21 luglio. E’ propaganda, spiega, che confonde gli stessi contribuenti tedeschi: il sistema bancario tedesco è il più sovvenzionato d’Europa (cioè anche coi soldi dei contribuenti europei) e mina la concorrenza comunitaria per gli ingenti e ripetuti aiuti di Stato. Per dire (ed è anche per questo che ci vuole l’unione bancaria), in quasi tutti gli altri settori industriali e commerciali gli aiuti di Stato meritano sanzioni e interdizioni (nel 2008 lo Stato tedesco ha salvato numerose Landesbanken dopo la crisi dei mutui subprime in America). Mettiamoci anche la maggiore garanzia implicita di solidità che per se stessa la Germania conferisce a una sua banca (a prescindere dai fondamentali economici):
Il risultato è che per le banche tedesche il costo della provvista è molto più basso e la redditività – a parità di altri fattori – molto più alta. Nella misura in cui questo minor costo si traduce in sconti per i clienti, anche le aziende tedesche godranno di un costo del capitale inferiore, ottenendo un vantaggio iniquo rispetto ai loro concorrenti europei. Un modo per evitare questa distorsione sarebbe creare un meccanismo per salvare tutte le banche con soldi europei. Ma un approccio di questo tipo, oltre a pesare soprattutto sui contribuenti tedeschi, creerebbe anche incentivi perversi nell’intero sistema bancario europeo, ingigantendo l’instabilità.
La proposta europea di risoluzione degli istituti di credito è nota: prima di ricorrere ai soldi pubblici, a salvare la banca siano gli azionisti, gli obbligazionisti e i grandi depositanti. E un fondo europeo di salvataggio. Su questo le riserve tedesche hanno qualche ragion d’essere, ma nel senso che i tedeschi dovrebbero spingersi a migliorare il testo non ad affossarlo, è l’opinione di Zingales.
Nel 2008, quando si scoprì che le Landesbanken erano imbottite di mutui subprime americani, il governo di Berlino intervenne a salvarle con uno stanziamento di 500 miliardi di euro a spese dei contribuenti. Nel 2010, quando le banche tedesche erano molto esposte – per qualcosa come 535 miliardi di euro – verso i titoli di Stato di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna, i contribuenti europei e la Bce diedero una mano a riportare a casa buona parte di quel denaro. La minaccia più seria per i contribuenti tedeschi non è la dissipatezza del sud Europa, ma le banche teutoniche. Da questo punto di vista l’unione bancaria non è un complotto per caricare sulle spalle dei tedeschi le perdite delle banche del Sud Europa che dichiarano bancarotta, ma un meccanismo per costringere tutte le banche (comprese quelle teutoniche) a farsi carico dei propri errori, riducendo l’onere per i contribuenti di ogni Paese. È tempo che gli elettori tedeschi capiscano che le cicale più grandi stanno nel centro delle loro città.