Marcello Dell’Utri, le grane degli interpreti che devono tradurre il “mafioso”
Pubblicato il 18 Aprile 2014 - 12:07 OLTRE 6 MESI FA
ROMA – Gli interpreti del ministero di Giustizia che devono tradurre gli atti per l’estradizione di Marcello Dell’Utri da inviare in Libano troveranno uno scoglio insormontabile: il gergo mafioso, incomprensibile in altre lingue.
Scrive Mariateresa Conti sul Giornale:
Ma punciutu , in arabo, come si dice? E mandamento , come quello alla cui guida fu posto, in qualità di reggente, un personaggio chiave dell’accusa come Vittorio Mangano? E uomo d’onore , nel senso mafiologico di affiliato alla mafia? Che l’operazione di traduzione in arabo o in francese di tutti gli atti di vent’anni di processi per concorso esterno in associazione mafiosa a Marcello Dell’Utri (quattro, quello del 9 maggio in Cassazione sarà il quinto) per ottenere l’estradizione dell’ex senatore Pdl dal Libano sia una missione impossibile (per difetto si tratta di oltre un milione di pagine, impossibile contarle, altro che tradurle) è chiaro a tutti. Ma anche limitarsi soltanto, si fa per dire, alle quattro sentenze non sarà una passeggiata. E non solo perché si tratta della bellezza di oltre tremila pagine fitte fitte (3.064 per l’esattezza: 1.800 la prima, quella della condanna a nove anni del 2004; 641 la seconda, quella del primo processo d’appello che si è concluso nel 2010; 146 la terza, quella della Cassazione che ha annullato con rinvio la prima disponendo un secondo processo d’appello nel 2012; e 477 quella del secondo processo d’Appello arrivata nel 2013, la condanna a sette anni su cui deve pronunciarsi il 9 maggio la Suprema corte) da tradurre per benino entro il prossimo 12 maggio, quando scadrà il mandato di cattura internazionale in virtù del quale l’ex senatore Pdl è stato arrestato a Beirut lo scorso 12 aprile.
Già, perché il vero scoglio contro cui rischiano di infrangersi gli interpreti del ministero di Giustizia è proprio la lingua. Non l’italiano, pur involuto e infarcito di linguaggio tecnico, di una sentenza giudiziaria. Ma lo slang sicilian- mafioso che sta alla base del gergo di Cosa nostra e che vede termini come ad esempio punciutuil mafioso ritualmente affiliato all’organizzazione criminale attraverso il rito della puntura del dito e del santino bruciato – che hanno un preciso significato nelle inchieste di mafia ma che risultano quasi incomprensibili in italiano, figuriamoci tradurli in arabo o francese. Termini di cui le stesse sentenze sono pieni zeppi, visto che le dichiarazioni dei pentiti sono lo zoccolo duro dell’accusa. Immaginate un povero interprete. Anche il migliore interprete del mondo di italianoarabo che si trovi a dover fedelmente tradurre il seguente passaggio della sentenza di primo grado (…)
Mandamento? E che sarà mai? Se il nostro traduttore è scrupoloso, studia che ti studia, scoprirà che si tratta di slang mafioso che indica l’area di influenza territoriale delle famiglie (anche loro mica semplici, papà, mamma e figli come nel resto del mondo, in Sicilia e per la mafia è tutt’altra storia). Ma anche lì il problema resta: come tradurre il concetto in un’altra lingua? Stesso discorso per punciutu , che nelle sentenze c’è dappertutto visto che i pentiti, al processo, sono chiamati a raccontare nel dettaglio la loro affiliazione. Un banale tentativo on line , col traduttore di Google , suggerisce pacatamente? «Forse cercavi “panciuto”. Una ricerca un filino più approfondita su internet svela l’arcano, ma il problema della traduzione in una lingua diversa dal palermitano- mafioso resta (…)