Marco Travaglio. Enrico Berlinguer: Beppe Grillo e Matteo Renzi entrambi indegni

Marco Travaglio. Enrico Berlinguer: Beppe Grillo e Matteo Renzi entrambi indegni
Enrico Berlinguer: per Beppe Grillo come per Matteo Renzi una pesante e ingombrante eredità

ROMA – Marco Travaglio si cimenta nel confronto fra Enrico Berlinguer e Matteo Renzi, costretto a nominare il predecessore dal tentativo di Beppe Grillo di accaparrarne l’eredità.
In realtà il confronto dovrebbe essere tra il Pci di ieri e il Pd di oggi, ma qui il terreno si può fare scivoloso ma la differenza tra ieri e oggi è comunque impressionante nel paragone che Marco Travaglio fa tra esponenti del Pci di ieri e del Pd di oggi, che è più in generale un paragone fra la classe politica di ieri e di oggi.
Non c’è dubbio che Beppe Grillo sia quello che più di tutti agita, col suo Movimento 5 Stelle, la questione morale che fu il cavallo di battaglia di Berlinguer per penetrare la roccaforte della borghesia italiana: non poteva certo proporre il modello sovietico, mentre, essendo ruberie e malversazioni intrinseche alla vita politica in qualunque era e sotto qualsiasi latitudine e costituendo la loro denuncia un must della lotta politica in tempi di tribolazione, quella fu una scelta giusta e sacrosanta.
Che poi adottare il moralismo come metro di giudizio politico porti al benessere e al progresso è un’altro film, ma ieri, come oggi, il tema non è stare meglio, è eliminare l’avversario.
In ogni caso, nota Marco Travaglio,
“nella sua esagitata campagna elettorale, Beppe Grillo almeno un risultato l’ha ottenuto: costringere Matteo Renzi a nominare – per la prima volta in vita sua, o quasi – Enrico Berlinguer. Il che dimostra uno dei tanti paradossi dei 5Stelle: volenti o nolenti (spesso a loro insaputa), svolgono la stessa funzione dei predatori in natura: migliorano le prede che vogliono cacciare, aiutandole dunque a sopravvivere.

Senza i 5Stelle in Parlamento col cavolo che il Pd avrebbe votato subito e col voto palese per la decadenza di B. e per l’arresto di Genovese (nel 1998-’99 avevano salvato persino Previti e Dell’Utri).

Se poi Renzi fosse sincero fino in fondo, dovrebbe ammettere che, senza il terrore di Grillo, il Pd allora dalemian-lettian-bersaniano non gli avrebbe spianato la strada alla segreteria e poi al siluramentodelgovernoLetta.

“Sciacquatilabocca quando parli di Berlinguer”, ha urlato giovedì il premier a Grillo da una piazza del Popolo semipiena o semivuota. E, se Grillo si fosse paragonato all’ultimo vero leader della sinistra italiana, da cui quasi tutto lo divide, si sarebbe meritato anche di peggio. La verità è che non l’ha fatto: anzi, ha precisato di avere tutt’altra storia, però ha raccontato un fatto vero e facilmente verificabile.

E cioè che l’avvocato Giuseppe Zupo, responsabile giustizia e legalità del Pci di Berlinguer (posto ora occupato dalla Morani e dalla Picierno, per dire l’evoluzione della specie), ha scritto una lettera a Grillo e rilasciato un’intervista a Micromega in cui riconosce ai 5Stelle il loro impegno sulla questione morale di Berlinguer abbandonata dai suoi presunti eredi”.

L’altro giorno, ricorda Marco Travaglio, Matteo Renzi ha rinunciato,

“dimettendosi dall’azienda di famiglia, alla sua pensione privilegiata, nata da un trucchetto che è già costato processi e condanne ad altri politici che l’avevano tentato e che il Fatto ha svelato in beata solitudine.

Berlinguer si sarebbe fatto beccare con un simile sorcio in bocca? Berlinguer fu pubblicamente processato da Napolitano & miglioristi sfusi perché non voleva allearsi con Craxi (lo chiamava “il gangster”), e finché ebbe un respiro in gola denunciò l’inquinamento della P2: ve lo vedete mentre riceve il compare di Craxi, tessera P2 n. 1816, per concordare non solo la legge elettorale (mossa obbligata dopo il diniego di Grillo), ma anche la riforma della Costituzione? Ve l’immaginate che risponde a Berlusconi “del presidenzialismo se ne può parlare?”.
Ve lo figurate che governa col piduista Cicchitto? Che nomina un rinviato a giudizio vice-ministro dell’Interno e tre inquisiti sottosegretari? Che candida alle Europee imputati, inquisiti e (in Sicilia) il professor Fiandaca, noto giustificazionista della trattativa Stato-mafia? Che piazza Emma Marcegaglia, azionista e dirigente di un’azienda condannata per tangenti all’Eni, alla presidenza dell’Eni?

Che si tiene nel partito Giancarlo Quagliotti, condannato con Greganti per una tangente Fiat sui rispettivi conti svizzeri, dunque braccio destro del sindaco renziano Fassino?”.

In questo caso si va un po’ sul lepego, perché il Pci del mito qualche zona d’ombra la conserva: non si trattava di malversazioni certo, solo di omicidi politici, per non parlare di foibe e altre barzellette, e tutto va riferito al momento storico e al contesto geopolitico, guerra inclusa. Però quei dolorosi ricordi dovrebbero ricordare a tutti che nessuno è così senza peccato da lanciare pietre.

È quindi coerente che Marco Travaglio dissenta da Matteo Renzi sull’atteggiamento da tenere nei confronti degli inquisiti in politica:

“La sua posizione, purtroppo, è la stessa di tutto il resto della vecchia casta: la presunzione di innocenza come scudo e alibi per non cacciare nessuno. Per Renzi non c’è alcuna differenza fra chi è indagato (o addirittura imputato) e chi non lo è: sono tutti gigli di campo, anche dopo il rinvio a giudizio, come se i magistrati si divertissero a inquisire e a mandare a processo la gente così, per sport, a casaccio.

Per lui la differenza la fanno solo le condanne in Cassazione. Dunque, visti i tempi della giustizia, qualunque delinquente può restare in politica e nelle istituzioniper dieci anni. Se, per dire, il suo vicino di casa fosse indagato o imputato o condannato (ma non definitivo) per pedofilia, Renzi gli affiderebbe serenamente i suoi figli quando si assenta da casa e attenderebbe la Cassazione per rivolgersi a qualcun altro. Ma qui non c’è neppure bisogno di scomodare la buonanima di Berlinguer, o di sciacquarsi la bocca: basta collegarla al cervello”.

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