Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “#inquisitostaisereno”

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "#inquisitostaisereno"
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “#inquisitostaisereno”

ROMA – “#inquisitostaisereno” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di venerdì 7 marzo:

Ma chi li scrive i testi a Maria Elena Boschi? Si potrebbe capirla se fosse stata colta alla sprovvista dalla domanda volante di un cronista da strada. Ma l’altroieri rispondeva alla Camera a un’interrogazione del M5S sui cinque membri del governo inquisiti, dunque si era preparata la risposta per tempo e per iscritto, ufficialmente, a nome del governo e del premier Renzi. E se n’è uscita con queste testuali parole: “Non è intenzione di questo governo chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari solo sulla base di un avviso di garanzia, ma solo per problemi di opportunità politica”. E questo si era capito, anche perché tutti e cinque gli inquisiti lo erano già prima di essere nominati ministri o sottosegretari (uno, Bubbico, è già stato rinviato a giudizio e il suo processo per abuso d’ufficio è in corso da tempo) e Renzi li ha voluti con sé ciò malgrado, o forse proprio per questo.

“L’avviso di garanzia – prosegue la ministra – è un atto dovuto, non un’anticipazione di condanna”. Detta così, pare che ogni cittadino abbia diritto a ricevere almeno un avviso di garanzia. Qualcuno dovrebbe spiegare alla ministra delle Riforme che quell’atto è dovuto agli indagati, non a tutti i cittadini: per quanto possa apparirle strano, milioni di italiani non hanno mai visto un avviso di garanzia e vivono benissimo senza. Sono gli indagati che, quando il pm deve compiere atti (interrogatori, perquisizioni, sequestri) alla presenza del loro difensore, “avvisano” l’indagato perché ne nomini uno. E, per essere indagati, occorre essere sospettati di aver commesso un reato: altrimenti niente atto dovuto. “All’esito del procedimento – conclude la Boschi – il governo valuterà se chiedere le dimissioni del sottosegretario”.

Ora, è comprensibile che la giovane Boschi auguri lunga vita al suo governo: ma per quanto lunga sia la durata del Renzi I, sarà sempre inferiore a quella di un processo. Dunque non sarà questo governo a valutare l’esito dei processi ai suoi membri. Però l’equivoco sotteso al lodo Boschi è più ampio e allarmante, visto che accomuna nella stessa cultura malata i rottamatori trentenni e i rottamati ottuagenari. Nessuno vuole abolire la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva. Ma qui non si tratta di stabilire se Lupi, Barracciu, Bubbico, De Filippo e Del Basso de Caro siano colpevoli o innocenti: solo se sia opportuno che amministrino il Paese. Nessuno vuol buttarli in galera: ma fuori dal governo sì. Così come in tutte le democrazie, dove basta un sospetto (neppure un’indagine) perché l’interessato si dimetta da qualunque carica pubblica. Salvo rientrare in politica una volta assolti. Lunedì Formigoni sghignazzava in tv sul suo processo per associazione a delinquere, corruzione e favoreggiamento, e spiegava – spalleggiato dagli autorevoli Velardi e Rondolino – che in Italia gli inquisiti non devono dimettersi perché poi alcuni vengono assolti. Come se all’estero tutti gli indagati venissero regolarmente condannati, per legge. Forse questi gaglioffi non sanno che il presidente tedesco si dimise per un sospetto prestito agevolato e l’altro giorno è stato assolto. In Francia De Villepin rinunciò alle presidenziali perché imputato nel caso Clearstream, poi fu assolto. Idem Strauss-Kahn (violenza sessuale) e Sarkozy (l’affaire Bettencourt). In più in Italia c’è un libello chiamato Costituzione che all’art. 54 prescrive a chi svolge pubbliche funzioni di esercitarle “con disciplina e onore”. Che onore può vantare chi deve rispondere di un reato? Dice bene la Boschi (capita persino a lei): le dimissioni si danno per “opportunità politica” (…)

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