Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Rogito, ergo sum”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 12 Marzo 2014 - 08:04 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Rogito, ergo sum"

Claudio Scajola (LaPresse)

ROMA – “Rogito, ergo sum”, il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 12 marzo:

Sono finalmente uscite le motivazioni della sentenza del Tribunale di Roma che a fine gennaio ha assolto Claudio Scajola per la casa pagata per due terzi a sua insaputa dal costruttore Diego Anemone (colpevole, ma salvo per prescrizione). Meglio del miglior vaudeville. La trama. Nel 2003 il noto senzatetto, che è anche ministro per l’Attuazione del programma del governo B., cerca disperatamente una casa. E, come tutti i senzatetto, chiede aiuto a un alto dirigente dei Lavori pubblici, Angelo Balducci (liquidato nella sentenza come “persona vicina al Vaticano… inserita nel contesto politico”), uomo di buon cuore che “si mostra disponibile ad aiutarlo”. Il ministro precisa di avere “un budget di 600 mila euro”. Balducci gli trova un appartamento di 210 mq vista Colosseo, opzionato da Anemone per 1,7 milioni. Anche Anemone è un buon samaritano: rinuncia all’opzione, stanzia 1,1 milioni per dargli una mano, incarica l’amico Angelo Zampolini di consegnarli in assegni circolari alle sorelle Papa (le proprietarie). E, non contento, si fa in quattro per ristrutturare l’alloggio “in economia”: 60-70 mila euro che Scajola paga “in contanti” (è un cittadino modello): le fatture “non sono intestate al proprietario, bensì ‘caricate’ su appalti pubblici”. Del che Scajola “non sa spiegare il perché”. Per la cronaca, nel 2001 Anemone ha avuto appalti dal Viminale retto da Scajola, ma la sentenza glissa: sennò si potrebbe sospettare un atto di gratitudine (o di corruzione). “Scajola – prosegue il giudice, restando serio – ricorda di non aver fatto parole del prezzo con le sorelle Papa”. Cioè: l’acquirente parla con le proprietarie, ma evita di informarsi su quanto costa la casa? Oltre alle virtù civiche per cui è arcinoto, Scajola è anche la discrezione in persona. Siamo al 7 luglio 2004, giorno del rogito nell’ufficio di Scajola. Ma lui entra ed esce da una porta all’altra sfarfalleggiando tipo Houdini. Al notaio, alle Papa e al direttore di banca, Scajola fa “un breve saluto”. Ma – vedi alle volte la sfiga – quando entra Zampolini con gli assegni, “si era allontanato per ragioni di servizio”. Salvo ripresentarsi per la “lettura del rogito”. Ma tutti lo tengono proditoriamente all’oscuro del prezzo giusto.

Per il giudice, fra l’altro, la casa valeva 987 mila euro: Anemone poteva cavarsela con 400 mila, invece ne promise alle Papa 1.700 rimettendocene 700 mila. Chissà mai perché. Del resto – ragiona il giudice – se Scajola avesse saputo, avrebbe preteso “modalità operative” meno “sospette” e “grossolane” degli assegni circolari. Viene in mente Alberto Sordi avvocato che difende un ladro e spiega al giudice che il suo cliente è innocente perché ha la faccia da ladro e insospettirebbe le vittime: per essere ladri bisogna avere la faccia da onesti, sennò si resta disoccupati. C’è, è vero, un’“obiezione di indubbio impatto suggestivo”: che interesse aveva Anemone a regalare 1,1 milioni “senza che il beneficiario lo sapesse”? Ma ecco pronta la risposta, “per nulla inverosimile”, anzi dotata “sul piano logico della stessa valenza di quella della Pubblica Accusa”: prevedendo “un netto rifiuto dello Scajola a un’offerta di aiuto economico”, Balducci&Anemone pagarono due terzi della casa a sua insaputa per “porlo di fronte a un fatto compiuto, in una situazione di sudditanza psicologica e condizionamento”, per poi ricattarlo “in vista di eventuali richieste di favori” facendo leva sulle “implicazioni negative nel caso in cui la notizia fosse divenuta di dominio pubblico”. Già, ma per ricattarlo avrebbero dovuto informarlo: e il giudice afferma che Gatto & Volpe non gli dissero mai nulla. (…)