Marco Travaglio: fiction su Calabresi, manca Adriano Sofri, sinistra tace…

Luigi Calabresi, ucciso da un commando di Lotta continua
Marco Travaglio: fiction su Calabresi, manca Adriano Sofri, sinistra tace…

Marco Travaglio mette il piede in una piaga un po’ purulenta della sinistra italiana: l’assassinio del commissario Luigi Calabresi, quarant’anni fa a Milano, cui è stata dedicata una fiction su una rete della Rai, tv di Stato.

Il nodo è nella conclusione. Manca nel racconto il riferimento ai colpevoli, peraltro tutti acclarati dalla Giustizia italiana:

“Da 15 anni anni è irrevocabilmente accertato che l’assassinio di Calabresi fu organizzato nel servizio d’ordine di Lotta continua, ordinato da Giorgio Pietrostefani con l’assenso del leader Adriano Sofri e materialmente eseguito da Ovidio Bompressi, con la complicità di Leonardo Marino, che rubò e guidò l’auto durante l’agguato, e di altri fiancheggiatori miracolati dalla mancanza di prove certe”.

Ma dalla fiction

“mancano i volti e le imprese dei colpevoli. Non c’è la riunione in cui si decise l’omicidio, non c’è l’ordine di uccidere, non c’è il viaggio di Marino a Pisa dove Sofri gli confermò il mandato, non c’è il processo costellato dalle bugie degli imputati e ancor più dei falsi testimoni ingaggiati dalla nota lobby.

“Nulla di nulla: nel 2013, alla Rai, è ancora proibito. S’è mai visto un film su un omicidio che non mostra gli assassini? Mai. Allora tanto valeva non farlo. Eppure questo banalissimo rilievo nessuno degli ipercritici della libera stampa ha osato muoverlo. Strano, eh? Chissà come mai”.

Travaglio si ferma lì, butta il sasso. Dipenderà dal fatto che Adriano Sofri pontifica di etica e affini dalle colonne di Repubblica, per la quale si spinge anche a reportage in Palestina corredati di fotografie? Dalla diaspora di Lotta continua, inoltre, sono usciti nomi importanti del giornalismo italiano, un blocco di potere trasversale

Nel suo articolo, Marco Travaglio così dipana il suo ragionamento:

“Le fiction Rai e Mediaset, accanto a rarissime perle di qualità, hanno prodotto in questi anni le peggiori boiate che si potessero immaginare, e pure che non si potessero.

[…]

“Ma, a leggere la stampa di sinistra di questi giorni, pare che un panorama tutto rose e fiori sia stato improvvisamente e improvvidamente guastato da una fiction brutta e abboracciata, piena di errori storici e scene menzognere: quella intitolata Il Commissario, nel senso di Luigi Calabresi, primo atto di una trilogia dedicata agli “Anni spezzati”: quelli di piombo.

“Sulla qualità dell’opera si può concordare tranquillamente. I dialoghi sono scialbi, gli svarioni ricostruttivi esistono (tipo il manifesto di Casa Pound nella stanza di un sedicente anarchico), l’ambientazione è troppo asettica, alcuni attori sono pesci fuor d’acqua.

[…]

“Eppure, come ha scritto Mario Calabresi su La Stampa, “la verità storica sulla figura di mio padre è stata rispettata”. E non è un risultato da poco in un paese dove a 40 anni e passa di distanza, il delitto Calabresi è ancora tabù.

Quello che stupisce sempre è la capacità di Mario Calabresi di controllare i propri nervi. Quando era a Repubblica passava gli articoli di Sofri senza una piega e non ha mai inveito contro l’ostracismo di esponenti sindacali del Corriere della Sera dove finora non ha potuto mettere piede proprio perché figlio di…Tanto l’odio di cui parla Travaglio è duro a morire.

“Grazie a Marco Tullio Giordana, il cinema italiano ha ricostruito la strage di Piazza Fontana, dove tutto cominciò.

“Ma sull’assassinio del commissario, ucciso ben prima degli spari da una campagna politico-giornalistica vergognosa (di cui molti protagonisti, per fortuna, hanno poi fatto ammenda), regna ancora un’omertà senza pari.

“Eppure quell’omicidio è stato scandagliato da decine di giudici, che sono approdati non a una, ma a due sentenze definitive in Cassazione (quella che condanna i quattro imputati e quella che ne conferma la colpevolezza respingendo l’istanza di revisione).

“Da 15 anni anni è irrevocabilmente accertato che l’assassinio di Calabresi fu organizzato nel servizio d’ordine di Lotta continua, ordinato da Giorgio Pietrostefani con l’assenso del leader Adriano Sofri e materialmente eseguito da Ovidio Bompressi, con la complicità di Leonardo Marino, che rubò e guidò l’auto durante l’agguato, e di altri fiancheggiatori miracolati dalla mancanza di prove certe.

“Nessuno dei condannati è in carcere: Pietrostefani è latitante in Francia senza che i nostri governi muovano un dito per riportarlo in carcere; Bompressi è stato graziato da Ciampi; Sofri è uscito anzitempo di galera per motivi di salute per non rientrarvi più; Marino – unico reo confesso – ha beneficiato dell’attenuante della collaborazione e ha visto prescriversi il reato grazie al ricorso in appello dei coimputati.

Nella fiction, queste quattro figure diventano invisibili. Non pervenute, se non nei titoli di coda che danno conto delle quattro condanne.

Uno degli aspetti più positivi del film-tv di Graziano Diana è quello di mostrare la campagna d’odio che si scatenò contro Calabresi dopo la tragica fine alla questura di Milano dell’anarchico Pinelli, ingiustamente sospettato di aver avuto un ruolo nella strage di Piazza Fontana: prime pagine di Lotta continua e altri giornali, appelli di intellettuali, manifestazioni con slogan assassini.

“Ma il peccato originale della fiction è che mancano i volti e le imprese dei colpevoli. Non c’è la riunione in cui si decise l’omicidio, non c’è l’ordine di uccidere, non c’è il viaggio di Marino a Pisa dove Sofri gli confermò il mandato, non c’è il processo costellato dalle bugie degli imputati e ancor più dei falsi testimoni ingaggiati dalla nota lobby.

“Nulla di nulla: nel 2013, alla Rai, è ancora proibito. S’è mai visto un film su un omicidio che non mostra gli assassini? Mai. Allora tanto valeva non farlo. Eppure questo banalissimo rilievo nessuno degli ipercritici della libera stampa ha osato muoverlo. Strano, eh? Chissà come mai”.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie