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Marco Travaglio: Giuliano Amato, guerra ai fiammiferi monopolio Mediaset ignorato

di Marco Benedetto |25 Gennaio 2015 10:08

Marco Travaglio: quinta puntatat della biografia di Giuliano Amato, guerra ai fiammiferi monopolio, Mediaset ignorato

ROMA – Marco Travaglio è arrivato sul Fatto Quotidiano alla quinta puntata della biografia non autorizzata di Giuliano Amato, indicato come possibile candidato a Presidente della Repubblica. Gli anni al centro della quinta puntata sono anni di fuoco nella storia della Repubblica Italiana. Siamo agli inizi di Tangentopoli, nel 1993.

Nel gennaio del 1993 e prepara le dimissioni da segretario del Psi. Giuliano Amato è presidente del Consiglio, Bettino Craxi è segretario del Partito socialista ma è “sepolto sotto una raffica di avvisi di garanzia” e sta per dimettersi.  Amato lo difende. Il 9 febbraio 1993 un personaggio chiave dell’era Craxi, Silvano Larini,

“collettore delle tangenti milanesi al Psi, rientra dalla latitanza e inizia a collaborare con il pool Mani Pulite e svela i contorni del Conto Protezione: il deposito svizzero a lui intestato su cui negli anni 80 il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, complice Licio Gelli, girò una stecca di 8 miliardi di lire a Craxi su indicazione di Martelli”, che mentre Larini confessa è ministro della Giustizia.

Antonio Di Pietro e i pm del pool Mani pulite di Milano

“stanno arrivando al cuore di Tangentopoli con le indagini su Enimont-Montedison (l’affare che vede implicato l’intero vertice del pentapartito e che Amato a suo tempo seguì molto da vicino), sul Gotha della finanza italiana (Fiat, Fininvest, Ligresti) e delle Partecipazioni statali (Eni, Iri, Enel), ma anche sulle tangenti rosse (il 1° marzo verrà arrestato Primo Greganti, il “compagno G” della finanza occulta del Pci-Pds). Sta per saltare il sistema marcio e consociativo che ha retto l’Italia negli ultimi vent’anni. Ecco Amato pronto al salvamento” […che rassicura Craxi]  sul colpo di spugna che sta preparando. […] Mentre in privato assicura gratitudine e amicizia al plurinquisito e dichiara in Senato che “la questione morale è diventata di prepotenza prioritaria”, Amato lavora alla “soluzione politica di Tangentopoli”.

È lui a ispirare il decreto del 5 marzo che depenalizza il reato di finanziamento illecito ai partiti, firmato dal nuovo ministro della Giustizia Giovanni Conso, subentrato a Martelli dopo le sue dimissioni dell’11 febbraio per l’indagine sul Conto Protezione. Un mega-colpo di spugna sulle indagini su Tangentopoli, senz’alcuna sanzione neppure politica o amministrativa per i colpevoli. Scalfaro e i presidenti delle Camere, Napolitano e Spadolini, sconsigliano. Conso tentenna. Ma il premier tira dritto.

Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ha però

“posto precisi paletti alla “soluzione politica”: “Mi raccomando, dovete scrivere che chi confessa e patteggia per finanziamento illecito deve rinunciare per sempre alla vita pubblica”. Invece nel decreto c’è scritto soltanto che l’illecito finanziamento non è più reato, ma una semplice infrazione amministrativa, punibile con una semplice multa, senza alcuna interdizione dai pubblici uffici. Non solo: c’è pure il bavaglio alla stampa col ripristino del segreto istruttorio, che il nuovo Codice penale del 1989 aveva abolito per venire incontro alle esigenze dell’informazione e della trasparenza: nessuno potrà più sapere nulla delle indagini fino al processo”.

“Non è un colpo di spugna, abbiamo fatto esattamente quel che ci han chiesto i giudici di Milano, Di Pietro e Colombo”, dichiara Amato. Ma anche questa è una balla.

Per il procuratore Francesco Saverio Borrelli la misura è colma. Il 7 marzo, di domenica, convoca la stampa e legge il comunicato che lo sbugiarda: “Come magistrati abbiamo il dovere inderogabile di applicare le leggi dello Stato quali che esse siano… Non consentiamo però a nessuno di presentare come da noi richieste, volute o approvate, le iniziative in questione… Ciascuno si assuma davanti al popolo italiano le responsabilità politiche delle proprie scelte, senza farsi scudo del nostro operato o delle nostre opinioni. Che sono esattamente opposte al senso dei provvedimenti adottati. Il prevedibile risultato delle modifiche legislative approvate sarà la totale paralisi delle indagini e la impossibilità di accertare fatti e responsabilità di coloro che li hanno commessi. Senza contare che così si disincentiva qualunque forma di collaborazione”.

Migliaia di cittadini indignati inondano di fax le redazioni dei giornali e scendono in piazza in molte città per protestare. Lega, Rete e Msi sparano a palle incatenate contro il “governo degli inquisiti”. Il Pds, inizialmente tiepido, non vuol farsi scavalcare. Scalfaro convoca Amato nella sua residenza privata, presenti anche Spadolini e Napolitano. Questo decreto – gli dicono tutti e tre – non s’ha da fare. In ogni caso, il presidente non lo firma, anche perché interferisce con una materia – il finanziamento ai partiti – che il 18 aprile sarà oggetto di un referendum popolare (che l’abolirà a furor di popolo), dunque è di dubbia costituzionalità.

Ridotto a pugile suonato dal gran rifiuto di Scalfaro, Amato schiuma di rabbia contro il Pds, accusandolo di aver avallato (all’indomani dell’arresto del Compagno G) e poi impallinato il decreto: “Quella del Pds è pura doppiezza. In privato m’invitano a rimanere, in pubblico ad andarmene, e con parole di violenza inaudita, intollerabile. E anche D’Alema era d’accordo sul decreto Conso” (10-3-1993). D’Alema, vicesegretario Pds, replica al fulmicotone, definendo il suo governo “pericoloso” e il premier un cacciaballe: “Lo dico e lo ripeto: Amato è un bugiardo e un poveraccio. È uno che deve far di tutto per restare lì dov’è, sulla poltrona. Ma che devo fare? Devo dire vaffanculo…” (La Stampa, 11-3-1993).

All’indomani dei referendum sui soldi ai partiti e sulla legge elettorale maggioritaria, Amato si dimette da premier e dalla vita politica. “Per cambiare – annuncia all’aula di Montecitorio – dobbiamo trovare nuovi politici. Per questo, confermo che ho deciso di lasciare la politica, dopo questa esperienza da primo ministro. Solo i mandarini vogliono restare sempre e io sono in Parlamento ormai da dieci anni”.

Del resto, un mese prima, era stato ancor più esplicito: “Intendo dare per primo l’esempio: quando fra un giorno, fra un mese o più in là chiuderò questa esperienza di governo, mi ritirerò dalla politica. Non farò come certi che vorrebbero essere protagonisti del vecchio, del nuovo e del nuovissimo” (10-2-1993). “Con tutto il rispetto per la persona di Amato – si domanda Veltroni sull’Unità – è immaginabile un nuovo governo dell’ex vicesegretario del Psi?”. Ma sì che è immaginabile. Arriverà nel 2000, con l’appoggio di Veltroni e D’Alema.
Intanto al suo posto s’insedia il governo tecnico di Carlo Azeglio Ciampi, che fin dal primo giorno subisce i rimbalzi di Tangentopoli. Il 29 aprile la Camera nega alcune autorizzazioni a procedere contro Craxi: Amato non c’è (forse è di nuovo in bagno?) e tiene a farlo sapere: “Per me sarebbe stato particolarmente difficile decidere come votare”. Da allora se ne perdono le tracce per circa un anno (che sia rimasto chiuso nella toilette?).

Il 9 novembre 1994, Berlusconi, diventato primo ministro, sceglie proprio Amato come presidente dell’Autorità garante della Concorrenza (l’Antitrust): “È una personalità di prestigio indiscusso e di grande competenza giuridica”, spiega: “L’autorevolezza del presidente Amato è garanzia di indipendenza e di obiettività di giudizio”. Lì, per tre anni, il Dottor Sottile sarà talmente indipendente e obiettivo da non accorgersi del più spaventoso trust editoriale e pubblicitario del mondo: quello della Fininvest di Berlusconi, che lui stesso ha contribuito a creare.

In compenso spezza le reni a un trust ben più grave e minaccioso contro il libero mercato: le scatole di fiammiferi. Che – denuncia – possono ospitare pubblicità a differenza degli accendini. Furibondo, Amato scrive una lettera grondante di sdegno ai presidenti delle Camere, al premier Prodi e al ministro Bersani perché provvedano immantinente: “Fiammiferi e accendini sono prodotti che assolvono alla stessa funzione d’uso e l’esistenza di due distinte discipline normative determina una disparità ingiustificata di trattamento a favore delle imprese attive nella produzione e commercializzazione di fiammiferi”. Ecco perché non vede il caso Fininvest: ha sempre un fiammifero negli occhi.

[…]

Nel 1997 Amato si butta a sinistra. È un fedelissimo di D’Alema (quello che quattro anni prima lo mandava “affanculo”), il quale lo vorrebbe al suo fianco nel progetto della “Cosa 2”, per una nuova formazione di sinistra socialdemocratica che affossi l’Ulivo del premier Romano Prodi. Berlusconi è raggiante: “Non dobbiamo intravedere in questo progetto qualcosa di negativo per il Polo” (3-7-1996). Amato è molto tentato, ma basterà un fax da Hammamet per mandare tutto in fumo”.

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