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Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Alfano, al di sotto di ogni sospetto”

di Gianluca Pace |18 Luglio 2013 8:43

Angelino Alfano, la vignetta di Vauro

ROMA – “Al di sotto di ogni sospetto”, questo il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio, nel mirino il Pdl, il Pd e Angelino Alfano. “Non c’è analisi politica o sentenza giudiziaria che descriva la nostra classe dirigente meglio di un detto napoletano: “Fa il fesso per non andare in guerra” – scrive Travaglio –  Si riferisce al-l’usanza di fingersi scemi alla visita di leva per essere riformati. Ecco, noi non sappiamo quanti politici o imprenditori o manager o funzionari o alti ufficiali siano scemi e quanti fingano di esserlo.”

Questo uno stralcio dell’editoriale:

Ora c’è pure il Procaccini espiatorio che racconta: fu il ministro a chiedermi di incontrare l’ambasciatore kazako e, dopo, gli riferii le sue richieste. Ma il premier Nipote non sente ragioni: “Alfano è totalmente estraneo”, dunque resta al suon posto. In fondo è per questo che andiamo a votare: perché venga fuori una maggioranza che esprima un governo che nomini dei ministri che non sappiano una mazza di quel che avviene nel loro ministero. Totalmente estranei. Sono lì apposta: per non sapere nulla. Dunque Jolie è assolto – si dice in linguaggio penalistico – per totale incapacità di intendere e volere. Di solito, il passo successivo è il ricovero in un’apposita comunità di recupero. Ma pure il governo può andar bene. Lo stesso dicasi per i politici Prima e Seconda Repubblica, destra e sinistra, che fino all’altroieri han fatto affari con Ligresti: chi l’avrebbe mai detto che era un poco di buono. In fondo don Salvatore già vent’anni fa entrava e usciva dalle patrie galere. In fondo le sue aziende colavano a picco da anni mentre i compensi della famiglia lievitavano (nel 2008-2010, 9 milioni a Jonella più laurea honoris causa all’Università di Torino in Economia aziendale, e in cosa se no?; 10 a Gioacchino Paolo; 3, 4 a Giulia; 8 al manager Talarico; 15 al manager Marchionni). Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe tornato al gabbio. Pareva una così brava persona. E Tronchetti Provera? Sono sei anni che tutti sanno dello spionaggio ordito dalla Security Telecom del fedelissimo Tavaroli nell’ufficio accanto al suo, e tutti a domandarsi: chissà mai se Tronchetti lo sapeva. Qualcuno si sbilanciò a ribattezzarlo Tronchetti Dov’Era. Poi ieri arriva una sentenza, di primo grado per carità: forse sapeva. In un paese decente si leverebbe un coro di giubilo (anche da lui): meno male, vuol dire che almeno era un buon capo. Invece no. La comunità finanziaria è sgomenta: ma come, un top manager che sa qualcosa di quanto accade nella sua azienda? Dove andremo a finire. Quel che è certo invece da ieri – in attesa delle motivazioni – è che il generale Mori era sì un grande detective antimafia. Però prima catturava un boss e non gli perquisiva il covo; poi l’altro boss non lo catturava proprio. Ma sempre in buona fede (il fatto non costituisce reato: cioè è vero, ma senza dolo). Mica voleva favorire la mafia: semmai lo Stato, ammesso e che ci sia qualche differenza. Anche lui agiva a sua insaputa, mirabile emblema di una classe dirigente al di sotto di ogni sospetto. Alla fine però chi fa il fesso è furbo. Il vero fesso – scriveva Giuseppe Prezzolini – “è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo”.

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