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Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Alfetta”

di FIlippo Limoncelli |4 Ottobre 2013 8:16

Letta e Alfano (LaPresse)

ROMA – “Alfetta” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano in edicola oggi, venerdì 4 ottobre.

II trapasso dal governo Lettusconi al governo Alfetta viene salutato dalla stampa italiana (quella estera ha cose più importanti di cui occuparsi) con unanime giubilo, pari soltanto a quello di Letta jr. che parla di giornata “storica” e biforca le dita a “V” come vittoria, manco fosse Churchill. Purtroppo per lui, Churchill aveva appena vinto la Seconda guerra mondiale, mentre il Nipote ha appena vinto una compagnia della buona morte composta da Angelino Jolie, Giovanardi, Formigoni, Cicchitto e Lupi, più un’altra serie di facce da museo Lombroso (si parla persino di Schifani).

I turiferari a mezzo stampa dipingono Lettino come l’uomo che dopo vent’anni ha sconfitto Berlusconi, ma c’è un equivoco: B. s’è sconfitto da solo col più classico e comico degli harakiri; se aspettava Letta e il Pd, poteva campare altri 200 anni. Sull’Unità di Claudio Sardo, che è sempre l’ultimo a sapere, titola che B. “perde la faccia” (come se ne avesse mai avuta una) e santifica gli Alfanidi: non male, per un presunto giornale che due mesi fa chiedeva le dimissioni di Alfano per il sequestro e la deportazione di una donna e di una bimba kazake, decisi al Viminale sotto l’occhio da triglia del cosiddetto ministro dell’Interno, ora promosso ad alfiere di un “nuovo centrodestra” che vuole “condividere l’obiettivo della presidenza italiana dell’Ue, riformare il sistema politico e soprattutto contrastare la linea della rottura istituzionale adottata da Berlusconi dopo la condanna”. (…)

Prendete Massimo Franco, il pompierino della sera: ora esulta per l’“emancipazione davvero moderata dei ministri e di molti parlamentari” del Pdl da B. e per l’avvento di “una vera maggioranza politica delle larghe intese”, eroicamente “forgiata passando attraverso una strettoia drammatica” da quel grande statista di Alfano “che non può essere sminuito con la categoria dei transfughi o dei complici della sinistra”. Insomma, splende nel firmamento “una nuova maggioranza” con “forte identità” e “più marcata omogeneità”, “protetta e consigliata da Giorgio Napolitano”, slurp, al posto dell’orripilante “ammucchiata numerica” che sosteneva Letta fino all’altroieri. Che strano: cinque mesi fa, quando nacque il governo Letta, non si ricordano intemerate di Franco o del Pompiere contro gli inventori dell’“ammucchiata numerica”, da Napolitano in giù.

Al contrario, si rammentano solo lodi sperticate alle “larghe intese” che ci avrebbero presto regalato l’agognata “pacificazione” fra guardie e ladro. (…) Ieri applausi al governo Lettusconi, oggi standing ovation al governo Alfetta, domani dipende. Pigi Battista è tutto bagnato per “il delfino Alfano che ha trovato il suo quid” e, soprattutto, “non ha fatto l’errore di Fini” di “rinnegare la storia del berlusconismo”. Virman Cusenza, sul Messaggero , riesce addirittura a vedere negli Alfanidi abbarbicati alla cadrega “l’anima liberale e quella cattolica”. Marco Tarquinio, su Avvenire , si emoziona perché “finalmente il bene comune ha prevalso sugli interessi personali e di fazione”. E persino un fuoriclasse come Massimo Gramellini, su La Stampa, si entusiasma per la “maggioranza europea” partorita da quel genio di Napolitano. Europea? Ma le ha viste le facce dei 35 Scilipoti all’incontrario?

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