ROMA – “Battere il Renzi finché è caldo”, è il titolo dell’articolo sulle pagine del Fatto Quotidiano di mercoledì 10 dicembre a firma di Marco Travaglio:
Mercoledì, a una mia domanda a Bersaglio Mobile su La7, Renzi ha risposto che contro la corruzione non occorrono nuove leggi. Ieri ha annunciato una nuova legge contro la corruzione. Non mi illudo che mi abbia dato retta: molto più probabilmente ha fiutato, da quel notevole annusatore che è, l’aria che tira e ha capito che sventolare il bel nome di Raffaele Cantone e mandare in giro il commissario Orfini non basta a frenare l’ondata di discredito che tracima dalle carte di Mafia Capitale. La paura fa 90. Sia come sia, è una buona notizia il fatto che abbia cambiato idea. Anche se, per diventare un fatto, l’annuncio deve tradursi in un disegno di legge e, soprattutto, il disegno di legge deve passare al vaglio del Consiglio dei ministri poi della Camera poi del Senato, dove gli allergici agli inasprimenti di pena per i colletti bianchi sono legione. Molto meglio sarebbe stato ricorrere a un decreto, i cui requisiti di necessità e urgenza non c’è nemmeno bisogno di spiegare: basta leggere i giornali. Oltretutto, in base al “favor rei”, le norme più severe in materia penale valgono solo per il futuro (cioè per le corruzioni di domani, non per quelle di oggi e di ieri): dunque un decreto non lederebbe alcuna garanzia. Ma bisogna accontentarsi.
Pare che Renzi sia rimasto molto colpito dal caso di Giancarlo Galan, tuttora incredibilmente presidente della commissione Cultura della Camera, che dopo quasi tre mesi al fresco ha ottenuto di patteggiare 2 anni e 10 mesi di carcere (finto: a parte la custodia cautelare già scontata, andrà ai servizi sociali) e di restituire 2,6 milioni (una parte delle tangenti contestate dai pm). Dunque ha annunciato l’aumento della pena minima per la corruzione, dagli attuali 4 anni a 6. E alcune modifiche della prescrizione (per allungarla) e della confisca dei beni per chi ha rubato (per obbligare il condannato a “restituire il maltolto fino all’ultimo centesimo”). Domani, quando il testo uscirà dal Consiglio dei ministri e passerà dalla tradizione orale a quella scritta, ne sapremo di più.
Al momento si può dire che l’aumento del minimo della pena non incide sulla prescrizione (che si calcola sul massimo). Però può essere utile per impedire i patteggiamenti al ribasso: oggi la media delle pene patteggiate in Italia per corruzione è inferiore ai 2 anni e non solo consente al condannato di scansare la galera, ma anche di andare o restare in Parlamento (la Severino, guardacaso, salva da decadenza e ineleggibilità i pregiudicati fino a 2 anni). È vero però che non basta alzare il minimo di pena da 2 a 4 anni per garantire la galera a chi patteggia: sia perché il gioco delle attenuanti può portare a condanne inferiori ai 4 anni, sia perché le continue leggi svuotacarceri (quattro dal 2010 a oggi, una per governo: da Berlusconi a Monti a Letta a Renzi) hanno portato a 4 anni la pena totale o residua che si può scontare ai servizi sociali anziché in galera. Quanto alla confisca dei beni del corrotto, è già prevista dalla legge attuale, anche “per equivalente”: cioè, una volta dimostrato che Tizio ha incassato una mazzetta di tot milioni, gli si possono confiscare beni di pari entità, anche non in denaro (…)
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