ROMA – “Cavilli di razza”, questo il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio di oggi, martedì 27 agosto, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano.
“Da qualche giorno, mentre la grande stampa dipinge un panorama da tregenda, con Berlusconi che sta per far saltare il governo perché Napolitano e il Pd non vogliono saperne di salvarlo, ragion per cui l’Italia orfana del-l’inciucio rischia di perdere la bellezza di 6 miliardi (il copyright della barzelletta è del Sòla-24 ore), il Fatto segue con grande passione le gesta degli “scudi umani”.
Chi sono costoro? Sono strani personaggi molto flessibili, anzi pieghevoli, posizionati preferibilmente nei dintorni del centrosinistra ma molto graditi all’occorrenza anche a destra, grondanti lauree in scienze giuridiche, lunghi curricula accademico-istituzionali e ottime entrature al Quirinale. Radiografando i loro cervelli sotto il copricapo da corazziere, si ottengono figure geometriche tortuose e irregolari dalle forme più bizzarre: ora a zigzag, ora a serpentina, ora a torciglione, ora a banana, ora a sifone del water. (…)
A quel punto, a un segnale convenuto, un fischio a ultrasuoni non udibile dai comuni mortali, questi cavilli di razza entrano in azione di sponendosi a testuggine. Il primo a partire è stato il presidente emerito della Consulta, Capotosti: aveva sempre sostenuto che il decreto Severino non ammette deroghe né interpretazioni: B., condannato in via definitiva a 4 anni per frode fiscale, decade automaticamente da senatore e non può ricandidarsi per i prossimi sei anni.
Poi però i berluscones scoprono all’improvviso che la Severino è incostituzionale perché si applica anche ai condannati per reati commessi prima della sua entrata in vigore. E riecco Capotosti argomentare con la stessa sicumera di cui sopra che forse, in effetti, a ben guardare, potrebbe aver ragione anche chi sostiene l’incostituzionalità della Severino “retroattiva”, dunque il Senato potrebbe travestirsi da giudice e sollevare eccezione di incostituzionalità della Severino dinanzi alla Consulta. In men che non si dica, si aprono le cateratte. E sbucano giuristi e costituzionalisti un po’ ovunque che si battono una mano in fronte e dicono: “Ma certo, com’è che non ci abbiamo pensato prima?!”. Giovanni Fiandaca, folgorato sulla via di Arcore, cade da cavallo, anzi da cavillo, e scopre d’un tratto che “la Severino è un ginepraio” e “va approfondita”, precisando poi che “noi giuristi siamo in grado di sostenere sia l’una sia l’altra tesi”.
Infatti segue a ruota Valerio Onida, che ribadisce: la Severino vale anche per i reati commessi prima, ma chissà che non abbiano ragione quelli del dopo, quindi si vada alla Consulta. Ed ecco Carlo Galli, passato direttamente dai soffietti napolitani su Repubblica al seggio parlamentare nel Pd: alla Consulta, alla Consulta. E poi Umberto Ranieri, aiutante di campo di Re Giorgio: consultare la Consulta. E pure Michele Vietti, vicepresidente del Csm di cui è presidente Napolitano: alla Corte, alla Corte. (…)
L’unico che non ha ancora capito come il Pd salverà B. è il segretario per caso Epifani: lui continua imperterrito a ripetere che “la legge è uguale per tutti”, “il Pd non si piega ai ricatti”, “voteremo la decadenza”. Ma non precisa quando.
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