Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “La “spintarella” da Cicerone a Mussolini”

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "La “spintarella” da Cicerone a Mussolini"
Il Fatto Quotidiano del 18 novembre

ROMA – “La “spintarella”, da Cicerone a Mussolini”, questo il titolo dell’articolo a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano del 18 novembre:

Il porgitore della presente”: è la classica formula d’apertura della lettera di raccomandazione dell’Ottocento e del primo Novecento. Ed è anche il titolo di un libro dedicato appunto al vezzo, o al malvezzo, della raccomandazione, edito da una neonata casa editrice di Segrate, “Triangulus”, in una preziosa edizione numerata e corredata di raffinate illustrazioni. Il volume è stato scritto “a sei mani”, e gli autori – un collezionista di autografi, Terzo Maffei, un commentatore, Sergio Coradeschi e una biografa, Paola Bitozzi – inaugurano con esso un “genere letterario” del tutto inedito: l’antologia delle missive commendatizie.

Ne esce un ritratto in agrodolce dell’Italietta della “spintarella”, una carrellata ironica e impietosa di personaggi celebri colti nell’atto di raccomandare o di farsi raccomandare. Ci sono tutti, anche i più insospettabili: da Ungaretti a Tommaseo, da Rossini a Malaparte. Ma su tutti svettano, come osservano gli autori, “tre personaggi fondamentali: il raccomandato (inerme e sovente derelitto), il raccomandante (umile e cerimonioso), il raccomandatario (elogiato e circuito)”.

Le origini della raccomandazione si perdono nella notte dei tempi. Era già in voga all’epoca degli antichi Romani, se Cicerone, in una lettera, scriveva con una cert’aria di stizza: “Quella persona deve capire che la mia non è una raccomandazione qualsiasi”. A quei tempi si chiamava “littera commendaticia”; nel ‘700 si chiamò “lettera di preghiera”; in Francia la chiamano con un’espressione più colorita, “coup de piston”, colpo di pistone.

Neppure il Fascismo riuscì a estirpare questo vizio nazionale, nonostante in tutti gli uffici del Regime campeggiassero enormi cartelli con su scritto, “Non si fanno raccomandazioni, è abolita la stretta di mano, è abolito il lei, il fascista sale a piedi”. Il fascista magari saliva a piedi, ma le raccomandazioni le faceva.

A cominciare da Mussolini, seguito a ruota dai più alti gerarchi del Regime: Balbo, Farinacci, Thaon di Revel, Grandi, Bottai, Galeazzo Ciano. I primi due facevano raccomandazioni “specializzate”: il maresciallo dell’Aria Italo Balbo raccomandava un figlio d’aviatore; il bellicoso Farinacci un giovane reduce dell’Africa Orientale. Quanto a Bottai e Ciano, nelle loro lettere si premuravano di far notare che il loro protetto era “con prole e di razza ariana”.

E Starace aveva un bel ripetere, nei suoi “Fogli d’Ordine” del Partito, che la raccomandazione “è vietata ai fascisti, i quali non devono né dedicarsi ad essa, né subirla” perché “il costume fascista ha abituato a contare esclusivamente sulle proprie forze”. Nell’archivio privato del Ministro delle Finanze Mosconi (1928-32) è stato addirittura rinvenuto un timbro con le voci “Raccomandato, Raccomandante; Persona a cui si raccomanda, Argomento”. (…)

Persino D’Annunzio e Pelloux riescono a stupire. Il “vate d’Italia” si prende a cuore la disavventura giudiziaria di un poveraccio. Mentre il generale e capo del governo, noto per la sua militaresca rigidità, dapprima rifiuta di promuovere a sottotenente un soldato raccomandato ritenendolo troppo povero per quel grado, ma poi ci ripensa e lo accontenta. (…)

Chi non ha una raccomandazione nascosta nell’armadio? Malcostume, mezzo gaudio, scherzava Totò. Forse l’unico rimedio è proprio questo: riderci sopra, ironizzare, “affogarla nel ridicolo”. È il messaggio del libro: le crociate moralizzatrici “alla Starace” lasciano il tempo che trovano e ogni tentativo di “bandire le lettere di raccomandazione in via ufficiale… è tempo perso”. È più che un consiglio. È una raccomandazione.

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