ROMA – “La Papessa Laura”, questo il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di martedì 11 marzo:
Chissà se madonna Laura Boldrini, papessa della Camera, ha letto di recente I promessi sposi e s’è dunque imbattuta in Donna Prassede, bigottissima moglie di Don Ferrante, convinta di rappresentare il Bene sulla terra e dunque affaccendatissima a “raddrizzare i cervelli” del prossimo suo e anche le gambe ai cani, sempre naturalmente con le migliori intenzioni, di cui però – com’è noto – è lastricata la via per l’Inferno. Noi tenderemmo a escluderlo, altrimenti si sarebbe specchiata in quel personaggio petulante e pestilenziale descritto con feroce ironia da Alessandro Manzoni, e avrebbe smesso di interpretarlo ogni giorno dal suo scranno, anzi piedistallo di terza carica dello Stato.
Invece ha proseguito imperterrita fino all’altroieri, quando ha fatto sapere alla Nazione di non avere per nulla gradito l’imitazione “sessista” della ministra Boschi fatta a Ballarò da Virginia Raffaele, scambiando la satira per lesa maestà e l’umorismo su una donna potente per antifemminismo. E chissenefrega, risponderebbe in coro un altro paese, abituato alla democrazia, dunque impermeabile alla regola autoritaria dell’Ipse Dixit. Invece siamo in Italia, dove qualunque spostamento d’aria provocato dall’aprir bocca di un’Autorità suscita l’inevitabile dibattito. Era già capitato quando la Rottermeier di Montecitorio aveva severamente ammonito le giovani italiane contro la tentazione di sfilare a Miss Italia, redarguito gli autori di uno spot che osava financo mostrare una madre di famiglia che serve in tavola la cena al marito e ai figli, sguinzagliato la Polizia postale alle calcagna degli zuzzurelloni che avevano postato sul web un suo fotomontaggio in deshabillé e fare battutacce – sessiste, ça va sans dire – sul suo esimio conto (come se capitasse solo a lei), proibito le foto e i video dei lavori parlamentari in nome di un malinteso decoro delle istituzioni, fatto ristampare intere risme di carta intestata per sostituire la sconveniente dicitura “Il presidente della Camera” con la più decorosa “La presidente della Camera”. Il guaio è che questa occhiuta vestale della religione del Politicamente Corretto è incriticabile e intoccabile in quanto “buona”. E noi, tralasciando l’ampia letteratura esistente sulla cattiveria dei buoni, siamo d’accordo: Laura Boldrini, come volontaria nel Terzo Mondo e poi come alta commissaria Onu per i rifugiati, vanta un curriculum di bontà da santa subito. Poi però, poco più di un anno fa, entrò nel listino personale di Nichi Vendola e, non eletta da alcuno, anzi all’insaputa dei più, fu paracadutata a Montecitorio nelle file di un partito del 3 per cento e issata sullo scranno più alto da Bersani, in tandem con Grasso al Senato, nella speranza che i 5Stelle si contentassero di così poco e regalassero i loro voti al suo governo immaginario. Fu così che la donna che non ride mai e l’uomo che ride sempre (entrambi per motivi imperscrutabili) divennero presidenti della Camera e del Senato.
La maestrina dalla penna rossa si mise subito a vento, atteggiandosi a rappresentante della “società civile” (ovviamente ignara di tutto) e sventolando un’allergia congenita per scorte, auto blu e voli di Stato. Salvo poi, si capisce, portare a spasso il suo monumento con tanto di scorte, auto blu e voli di Stato. Tipo quello che la aviotrasportò in Sudafrica ai funerali di Mandela, in-salutata e irriconosciuta ospite, in compagnia del compagno. Le polemiche che ne seguirono furono immancabilmente bollate di “sessismo” e morte lì. Sessista è anche chi fa timidamente notare che una presidente della Camera messa lì da un partito clandestino dovrebbe astenersi dal trattare il maggior movimento di opposizione come un branco di baluba da rieducare, dallo zittire chi dice “il Pd è peggio del Pdl” con un bizzarro “non offenda”, dal levare la parola a chi osi nominare Napolitano invano, dal dare di “potenziale stupratore” a “chi partecipa al blog di Grillo”, dal ghigliottinare l’ostruzionismo per agevolare regali miliardari alle banche (…)
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