ROMA – “Polli Arena” è il titolo dell’articolo a firma di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano:
Da un paio di giorni, in un crescendo direttamente proporzionale all’approssimarsi della testimonianza di Napolitano al processo Trattativa, si moltiplicano gli articoli di giornale su quel bugiardo di Massimo Ciancimino e su quei cialtroni (pm e cronisti) che lo stavano a sentire. Quale sarebbe la notizia, cioè la novità? Che la Procura di Caltanissetta ha ottenuto il suo rinvio a giudizio per calunnia contro Gianni De Gennaro, accostato al “signor Franco” o “Carlo”, cioè l’uomo dei servizi che a suo dire consigliò il padre per 30 anni. Repubblica spara: il misterioso spione è stato finalmente individuato in un barista dei Parioli. E qui parte la risata omerica dei giuristi per caso, che nulla sanno del processo Trattativa, ma ne parlano – appunto – come si fa al bar. In prima fila, il solito mèchato di Libero, il solito Bordin del Foglio, Riccardo Arena de Il Giornale di Sicilia-La Stampa-il Foglio-Panorama, e purtroppo anche Michele Serra. Per Serra, Ciancimino era un’“indiscussa e contesa star dei talk show”: siccome però, a parte Annozero, nessuno l’ha mai conteso né invitato, indovinate con chi ce l’ha Serra. Per il mèchato, Ciancimino è “il cocco di Travaglio”.
E per Arena “la coppia Santoro-Travaglio per anni hanno (sic, ndr) pompato le sue menate”. Ora, siccome c’è un limite a tutto, è bene raccontare come e soprattutto dove nascono le dichiarazioni di Ciancimino jr. sulla trattativa. Nascono il 19-12-2007 da un’intervista a Panorama diretto da Maurizio Belpietro (che ora dirige Libero, infatti il mèchato si guarda bene dal citarlo). E, trattandosi di gravi notizie di reato, i pm Ingroia e Di Matteo lo convocano e interrogano per mesi, facendogli consegnare o sequestrando 55 documenti del padre che la Scientifica perizierà come originali autentici o fotocopie non manipolate. La stampa, talvolta, fa il suo dovere: informa i cittadini delle dichiarazioni di Ciancimino. Francesco La Licata de La Stampa pubblica con lui un libro-intervista (infatti Arena non lo cita e preferisce prendersela con la coppia Santoro-Travaglio: non su La Stampa, dove scrivono lui e La Licata, ma sul Foglio che è più di bocca buona e non butta via niente). Ciò premesso, sempre perché c’è un limite alle balle (specie quelle dei giuristi per caso, che superano ampiamente quelle di Ciancimino), è bene che si sappiano alcune cose.
1) Con buona pace di Arena&C., Ciancimino non è più “il superteste” del processo Trattativa: è imputato per concorso in associazione mafiosa e calunnia ai danni di De Gennaro; e, come tutti gli imputati, può parlare; poi spetta ai magistrati vagliare quali sue parole sono veritiere, quali menzognere e quali impossibili da riscontrare dopo 22 anni.
2) Non è vero che la Procura di Palermo abbia coperto le sue calunnie: appena ne ha scoperta una (finora l’unica: un documento artefatto col Photoshop che metteva De Gennaro in collegamento con la Trattativa), l’ha fatto arrestare e rinviare a giudizio (e anche condannare in primo grado per possesso di esplosivi).
3) Non è vero che Ciancimino si sia presentato ai pm a dire che il signor Franco-Carlo era De Gennaro: il collegamento fra i due lo fece al telefono con alcuni giornalisti e al bar con un agente della Dia che fece rapporto ai pm di Caltanissetta; e lì spiegò che il padre gli aveva dipinto Franco-Carlo come legato a De Gennaro.
4) Non è vero che tutte le carte di Ciancimino, papello di Riina compreso, si siano rivelate false (55 autenticate dalla Scientifica, papello incluso; una falsa, quella su De Gennaro).
5) Non è vero che il signor Franco-Carlo sia un barista dei Parioli (Ciancimino jr. racconta che De Gennaro si interessò nel 2004 per procurare i passaporti alla sua famiglia, tramite una catena di intermediari di cui fa parte tal Franco M., che ha un bar ai Parioli, ma nessuno ha mai indicato come signor Franco-Carlo).
6) La Procura nissena non ha mai detto che Franco-Carlo non esista: la sua presenza accanto a Vito Ciancimino è provata da riscontri diversi dalle parole del figlio, infatti le indagini per identificarlo e scoprire chi suggerì a Massimo di non farne il nome proseguono a Palermo e Caltanissetta.