ROMA – “Presunzione di indecenza”, questo il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di giovedì 20 marzo:
Alla notizia dell’arresto disposto dal gip di Messina (Camera permettendo) per Francantonio Genovese, deputato renziano, viene in mente Franca Rame. Poco più di un anno fa, il Fatto pubblicò l’elenco degli impresentabili del Pd che aspiravano a un posto al sole in Parlamento. Fra questi troneggiava il ras di Messina, per cui non valeva il detto “ha più conflitti d’interessi che capelli in testa” solo perché è pelato. Franca lanciò un appello a Bersani perché non candidasse questi signori. Dopodiché si riunì la famosa e fumosa “Commissione di garanzia” per vagliare la presentabilità o meno dei pretendenti al seggio e stabilì che, nella nutrita pattuglia delle quote marron siciliane, Crisafulli e Papania meritavano l’esclusione.
Francantonio – come pure, fuori dall’isola, l’imputato Bubbico – invece no. Figlio del sei volte senatore dc Luigi Genovese, nipote dell’otto volte ministro Nino Gullotti, lui stesso nato nella Dc, poi passato al Ppi, alla Margherita e al Pd, deputato regionale nel 2001, sindaco di Messina nel 2005, coordinatore regionale del Pd dal 2008, prima veltroniano, poi franceschiniano, poi bersaniano, ora naturalmente renziano, Genovese è soprannominato “Franzantonio” perché azionista e dirigente della “Caronte”, la società dei traghetti dello Stretto controllata da Pietro Franza. Non c’era bisogno di attendere il suo arresto per sapere che uno così non avrebbe mai dovuto sedere in Parlamento, ma neppure in Comune: i suoi conflitti d’interessi erano noti a tutti, bastava leggere Avanti popolo di Gian Antonio Stella (2006) o Se li conosci li eviti di Peter Gomez e del sottoscritto (2008). Eppure Veltroni, che oggi celebra Berlinguer e la sua “questione morale”, gli affidò nel 2007 il neonato Pd in Sicilia e nel 2008 la stesura delle liste elettorali nell’isola. Dove, ça va sans dire, campeggiava il suo nome.
Lo stesso fece un anno fa Bersani, incurante di una memorabile puntata di Report sugli scandali degli enti di formazione professionale siciliana finanziati dalla Regione, in gran parte controllati dalla famiglia Genovese. La società Lumen presieduta dal deputato regionale Franco Rinaldi, cognato di Genovese e soprattutto marito di Elena Schirò, che lavora alla Lumen. Rinaldi e Genovese soci nella Training Service. L’Nt Soft in mano ai nipoti di Genovese e Rinaldi. L’Esofop presieduta dalla cognata di Rinaldi e amministrata da Chiara Schirò, moglie di Genovese. La sede dell’Enaip e dell’Aram affittata da una società in cui compare Genovese. E così via. Ciononostante, anzi proprio per questo, Francantonio restò in lista: grazie al suo capillare sistema clientelare, alle primarie di Capodanno aveva incassato 19.590 preferenze, risultando il più votato d’Italia.
Per questo il centrosinistra non ha mai neppure pensato di fare la legge sul conflitto d’interessi: non solo per salvare B., ma anche per proteggere i propri capibastone. Per loro i conflitti d’interessi non sono un handicap, ma un elisir di lunga vita e di tanti voti. Appena rieletto, Genovese fu puntualmente indagato (con moglie arrestata). E nessuno fece un plissè. Neppure Renzi, che se lo ritrovò alleato alle primarie e folgorato sulla via della rottamazione (altrui). Venghino, signori, venghino. Ora che ha sul groppone un mandato di cattura per peculato, truffa, riciclaggio e associazione a delinquere, inscena la classica pantomima di “autosospendersi dal partito” che avrebbe dovuto cacciarlo da un pezzo (…)
I commenti sono chiusi.