ROMA – “Sotto il secchio niente” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di domenica 24 agosto 2014:
Nell’estate del coatto trionfante, del presidente del Consiglio dei ministri che si prende a secchiate d’acqua per fare beneficenza a favore di telecamera e soprattutto a costo zero, delle ministre ritratte in retrospettiva col photoshop che fa quello che può, della riforma costituzionale in quattro e quattr’otto col trolley dietro la porta, delle vecchie armi arrugginite inviate ai curdi come le perline colorate agli indios e i farmaci scaduti agli africani, per giunta da parte di politici che confondono il Kurdistan col cardigan, va rovesciato il vecchio adagio “un popolo ha la classe politica che si merita”. Semmai è vero il contrario: una classe politica ha il popolo che si merita. I turisti italioti che sfoderano il pisello a Barcellona sono l’effetto collaterale degli auto-gavettoni e dei tweet tamarri del premier a base di “maddeche”. Ve li immaginate De Gasperi, Einaudi, Togliatti, Fanfani, Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa che s’infradiciano d’acqua gelida su richiesta di Fiorello? Poi uno si meraviglia se il presidente del maggior partito è Matteo Orfini, che non avrebbe sfigurato con Totò sul wagon-lit: “Onorevole lei, con quella faccia? Ma mi faccia il piacere!”.
L’altro giorno Orfini, nel penoso tentativo di nascondere il patto Pd-Berlusconi sulla giustizia, non ha trovato di meglio che twittare (comunica solo così, come i ragazzini ipnotizzati dall’iPhone): “I grillini rifiutano il confronto sulla riforma della giustizia… coi terroristi bisogna interloquire, ma guai a farlo col governo…”. Solennissima sciocchezza, visto che Di Battista non s’è mai sognato di affermare che i 5Stelle debbano dialogare con l’Isis: semmai le diplomazie. Renzi, altro compulsivo dell’hashtag, ha subito ritwittato l’orfinata, salvo poi accorgersi che era troppo grossa persino per i suoi standard. Allora ha precisato che non era sua intenzione accusare la forza politica più votata in Italia nel 2013 di parlare solo coi terroristi. Ma Orfini ha ribadito il concetto a Repubblica, che proprio non sapeva come riempire una pagina: “I 5Stelle vogliono aprire il dialogo con i jihadisti dell’Is e poi rifiutano di parlare col governo del loro paese”. Non è ben chiaro che cosa c’entri un’analisi sul Medioriente con la presunta riforma della giustizia in Italia. Ma la domanda è oziosa: le parole, per Orfini, sono riempitivi accidentali per dimostrare la propria esistenza in vita.
Alla tenera età di 40 anni, l’altro Matteo è già riuscito a essere dalemiano, bersaniano, giovaneturco e renziano. Nell’aprile 2013 giurava: “Fra Marini e Rodotà scelgo Rodotà”. Poi votò Napolitano. Larghe intese con B.? Giammai: “Un governo Pd-Pdl e senza Grillo è impensabile, non esiste in natura. Al governo con Berlusconi ero e resto contrario”. Poi votò il governo Letta, con B. e senza Grillo. Il 26 agosto disse all’Unità: “Se il governo Letta cade non vedo altra strada che il voto”. Poi Renzi iniziò la fronda a Letta e Orfini lo ammonì: “Basta provocare, faccia il segretario e la smetta con certe guasconate”. Poi Renzi pugnalò Letta e prese il suo posto con l’appoggio di Orfini, promosso a presidente. Lui che due mesi prima aveva votato Cuperlo contro Renzi, “sedotto dalle sirene liberiste di questi ultimi venti anni”. Infatti – tuonava – “Renzi premier sarebbe una follia”, “è l’ultimo giapponese di una linea abbandonata in tutto il mondo”, “mi ricorda i Righeira e gli Europe, fa scelte estetico-musicali da paninaro (…)
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