Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Tu quoque, Bruti”

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "Tu quoque, Bruti"
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Tu quoque, Bruti”

ROMA – “Oggi – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – il plenum del Csm dovrebbe dire la sua sulla guerra alla Procura di Milano che da mesi oppone il procuratore Edmondo Bruti Liberati all’aggiunto Alfredo Robledo, capo del Dipartimento (o pool) specializzato nei reati contro la Pubblica amministrazione”.

L’articolo completo:

Abbiamo già scritto che non è un conflitto fra primedonne gelose o carrieriste, e neppure fra magistrati collusi o insabbiatori. Il che però lo rende molto più grave e pericoloso: in gioco non c’è soltanto il prestigio della Procura più cruciale d’Italia, ma anche la sua indipendenza e, a ricasco, quella dell’intera magistratura italiana. Sappiamo com’è nato il caso: dagli esposti presentati da Robledo prima al Procuratore generale di Milano e poi (visto che nulla accadeva) al Csm contro Bruti, accusato di assegnare i fascicoli più delicati e politicamente “sensibili” a un ristretto gruppo di pm fedelissimi, aggirando i criteri organizzativi della Procura e le competenze dei vari pool. Il Csm ha affidato l’istruttoria alla Iª commissione (che si occupa dell’eventuale incompatibilità ambientale delle toghe) e alla VIIª (che giudica le disfunzioni organizzative degli uffici). La Iª s’è dichiarata incompetente, non ravvisando gli estremi per rimuovere Bruti; ha escluso che la lite fra i due abbia “turbato o pregiudicato l’esercizio dell’azione giudiziaria”, risultata comunque “efficace e tempestiva”; e ha archiviato il caso rimpallandolo ai titolari dell’azione disciplinare (Pg della Cassazione e Guardasigilli). La VIIª ha criticato Bruti per non aver motivato l’assegnazione del caso Ruby al pool antimafia della Boccassini anziché a quello di Robledo e per non aver fissato regole precise per l’assegnazione dei fascicoli; poi ha rabbuffato pure Robledo per avere svelato presunti segreti d’indagine nelle carte trasmesse al Csm; e ha girato il tutto ai titolari dell’azione disciplinare.

La lettura delle due relazioni, pilatesche quant’altre mai, fa pensare che anche al Plenum i giochi di corrente (fra i membri togati) e di partito (fra i laici) prevarranno sulle ragioni di merito e tutto finirà a tarallucci e vino: Bruti non verrà trasferito e anzi otterrà la riconferma per altri 4 anni, e anche Robledo resterà al suo posto. Ieri, in extremis, il berlusconiano Zanon e il togato indipendente di sinistra Nappi hanno riproposto di cacciare Robledo per aver denunciato il caso: un’iniziativa che – se non fosse una cosa seria – farebbe scompisciare dal ridere. Diamo dunque per scontato il finale: i due litiganti resteranno al loro posto, in attesa delle lunghe procedure disciplinari. Trattandosi di due magistrati di prim’ordine, potrebbe anche essere un esito felice. Ma solo a una condizione: che il Csm non finga di non vedere i due veri motivi del contendere: le sempre più asfissianti pressioni della politica, dal capo dello Stato (che presiede il Csm) in giù, sulle Procure più esposte, Milano e Palermo in primis; e l’Ordinamento giudiziario del 2007, firmato dal ministro leghista Castelli, ritoccato da Mastella e voluto fortissimamente dalla Casta di destra, centro e sinistra, che ha raso al suolo il “potere diffuso” dei singoli pm e riportato le Procure alla gerarchizzazione verticistica degli anni 50. Se prima, per controllare la magistratura, bisognava garantirsi l’obbedienza di migliaia di sostituti procuratori (mission impossible), da 7 anni a questa parte basta addomesticare un pugno di capi e il gioco è fatto. I capi, come nel caso di Bruti, possono essere magistrati di specchiata moralità e sopraffina professionalità, ma per loro cultura non essere affatto insensibili ai continui e pressanti richiami istituzionali alla prudenza ogni qual volta si toccano interessi forti: politici, imprenditoriali e finanziari. Non a caso, in questi anni, a Milano si è litigato sui processi a Berlusconi e a Formigoni, sul caso Sea che coinvolgeva la giunta Pisapia, sulle ruberie trasversali di Expo, persino sull’arresto o meno di Sallusti (Bruti lo salvò dal carcere sfoderando una nuova giurisprudenza ad hoc, anzi ad personam, e subito dopo Napolitano graziò). Ma, per dire, sull’arresto di un marocchino per spaccio.

Questo pretende il presidente della Repubblica (e del Csm) quando – in barba alla Costituzione – invita i magistrati a “prospettarsi le conseguenze dei propri provvedimenti in un contesto lacerato da difficoltà economiche e sociali”, cioè a rassegnarsi alla legge non uguale per tutti. Questo chiede il fedele vicepresidente del Csm Vietti quando, nel suo italiano malfermo, invita le toghe a “farsi carico dell’impatto sistemico e dell’accoglibilità sociale” dei loro provvedimenti. Sono moniti che alla lunga incidono sulla coscienza di quei capi tornati a essere i padroni assoluti delle procure: dovendo comunque fare i conti con il Csm che li nomina e poi se fanno i bravi li rinnova, devono scegliere se infischiarsi delle pressioni politiche e rovinarsi la vita e la carriera (come Antonio Esposito, reo di aver firmato la condanna di B.; o come Francesco Messineo, colpevole di non aver fermato Ingroia, Di Matteo & C. nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia); oppure “farsi carico” di quella che Luigi Ferrarella sul Corriere ha definito “la pressione atmosferica”, che mina ogni giorno non l’indipendenza esterna, ma quella interna di ogni magistrato, alto o basso che sia. Se lo scontro che dilania la Procura di Milano servirà a sciogliere questo nodo gordiano, si rivelerà persino utile. Oportet ut scandala eveniant. Ma, perché oportat davvero, il Csm dovrà mettere Bruti, Robledo e gli altri aggiunti attorno a un tavolo e imporre nuove e precise regole per l’assegnazione dei fascicoli, basate sulle competenze dei vari Dipartimenti e non sulle convenienze politiche o economiche del momento (immaginiamose, alpostodiBruti, ci fosse stato un insabbiatore o un colluso, quale abuso di quello strapotere senza regole né limiti avrebbe potuto esercitare per insabbiare le indagini su B., Formigoni, Sea ed Expo). Dopodiché, per evitare che i procuratori capi restino dittatori onnipotenti con diritto di vita e di morte sulle indagini, il Csm dovrà sollecitare il governo e i partiti che cianciano contro la corruzione a cambiare subito l’Ordinamento giudiziario restituendo a ogni pm il potere diffuso d’indagine, unica possibile garanzia d ’ indipendenza esterna e interna di tutta la magistratura, e riportando i procuratori capi al ruolo naturale di primi inter pares. Se invece il Csm si limiterà ad archiviare pilatescamente il “caso Milano” come un incidente di percorso o una bega di comari, nei prossimi mesi, con l’intensificarsi delle indagini sul malaffare che tracima ormai in tutt’Italia, di bombe del genere ne esploderanno dappertutto.

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