ROMA – “Massimo Carminati, i camerati e gli “accattoni” della banda della Magliana” scrive Andrea Colombo sul Manifesto. “Vita e carriera di un estremista indipendente”.
I mitici banditi della Magliana li considerava, a parte Giuseppucci, «er Negro», il capo e il primo a essere ammazzato, «quattro cialtroni», «una banda di accattoni sanguinari». Con i Nar il rapporto affettivo era più stretto. Quando un «duro» di Ostia iniziò a prendersela con Lorenzo Alibrandi, fratello di Alessandro ma tutto il contrario dei neri armati anni ’70, un «ragazzo d’oro», Carminati arrivò di corsa per metterlo a posto. Ma neppure dei Nar ha mai fatto parte, e i soldi delle rapine è arrivato molto presto a tenerseli per sé.
Massimo Carminati è un tipo così e capirlo non serve solo a far colore: è necessario per comprendere cosa sia davvero successo a Roma negli ultimi anni. Carminati è un tipo che sfiora tutti, conosce tutti e da tutti è rispettato, ma non si arruola mai davvero. Anche per questo è sempre riuscito a cavarsela con poco danno. Se necessario sa intrecciare con grande abilità i suoi diversi mondi: come quando i banditi della Magliana, quelli veri, rapirono un neofascista, Paolo Andriani, a cui avevano affidato una sacca di armi mai più tornata indietro e proprio Carminati si presentò nell’appartamento dove il malcapitato era prigioniero e ne ottenne la liberazione.
E’ probabile, per non dire certo, che Carminati avesse a Roma rapporti stretti con i gruppi criminali organizzati, come i Casamonica o la camorra. Ma ciò non significa che fossero loro lo strumento privilegiato per trasformare il comune di Roma in una vacca da mungere in tandem con Salvatore Buzzi. Nelle carte si parla di rapporti tra Buzzi e i Casamonica, ma solo perché fondamentali ai fini del controllo sui campi rom: di intrecci con camorra o ‘ndrangheta non c’è traccia. E’ probabile dunque che, nel dare l’arrembaggio al Campidoglio, Carminati si sia avvalso essenzialmente di un’altra rete: quella degli ex neofascisti più o meno armati degli anni ’70 e ’80. Nelle faccende che riguardano «il Pirata» come veniva chiamato, quelli sì che spuntano come funghi.
Riccardo Mancini, tanto per dirne una, era l’armiere di Avanguardia nazionale. Al processo del 1989 se la cava come dissociato, ma di quelli che sconfinano nel pentitismo. Gliela perdonano perché, di famiglia facoltosa, porta in dote un sacco di soldi, ma anche perché Carminati garantisce per lui, e diventa così a tutti gli effetti il suo burattinaio. Stessa provenienza, ma con sbocco opposto, anche per il «braccio destro» Riccardo Brugia, nero di Vigna Clara vicino (ma non interno) allo spontaneismo armato. Vicinanza pagata peraltro cara da entrambi i capibastone di Mafia Capitale: a Carminati portarono via un occhio pensando che fosse Francesca Mambro. Brugia fu ripassato con interrogatori tra i più pesanti per fargli dire dove fosse nascosta la medesima Mambro.
Si fa le ossa negli stessi anni anche Gennaro Mokbel, prima dalle parti di piazza Bologna, poi all’Eur, dove diventa un beniamino di Peppe Dimitri, capo militare di Terza posizione, un mito del neofascismo romano, morto in un incidente stradale alcuni anni fa. Quando la polizia gli si presentò a casa per arrestarlo, nel quadro dell’inchiesta su Finmeccanica «Broker», Mokbel stava appunto discorrendo con Carminati. Ufficialmente sullo sfondo c’è solo un’ennesima intermediazione del Pirata: tra il commercialista Marco Iannili, debitore, e Mokbel, creditore stanco di attendere. Carminati si mise in mezzo, ottenne da Mokbel l’accettazione di un pagamento dilazionato e rateizzato, ne ricavò una villa, quella ormai nota di Sacrofano.Gli inquirenti però sospettano che ci fossero rapporti ben più stretti. L’ordinanza della procura a carico di Mokbel cita infatti una sua intercettazione: «Cioè, tipo, er Pirata quanto deve prendere ancora? Dobbiamo vedè quanto gli abbiamo dato. Dobbiamo vedè qual è la differenza tra quelli che mettono i soldi e quello che avanza». Gli inquirenti danno per certa l’identificazione del «Pirata» con Carminati, ammessa anche dal diretto interessato. Concludono che è una «circostanza dalla quale è logico far derivare un’implicita ammissione del proprio coinvolgimento dei fatti di cui all’indagine Broker» (…)