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Massimo D’Alema, chi finanzia la sua fondazione Italianieuropei

di Elisa D'Alto |3 Aprile 2015 14:19

Massimo D’Alema

ROMA – Chi finanzia Italianieuropei, la fondazione di Massimo D’Alema? L’ex premier, finito sui giornali (non indagato) per una partita di vini da lui prodotti acquistata da imprenditori in seguito indagati, vorrebbe rendere trasparente la lista di finanziatori. Nel frattempo Jacopo Iacoboni e Gianluca Paolucci de La Stampa ricostruiscono finanziatori e organizzazione della Fondazione.

Furono 22 – da quanto risulta alla Stampa – le persone o le società che finanziarono il patrimonio iniziale, che oggi sarebbe pari a 517.456 euro (un miliardo di lire, allora). Il primo socio fu la Lega delle Coop, guidata da Ivano Barberini: la catena di supermercati Coop, con 103 mila euro, e poi 100 mila euro la Cooperativa estense, 50 mila l’Associazione nazionale cooperative e la Lega coop di Modena, 25 mila la Lega coop di Imola. Subito dopo, una serie di grandi imprese del capitalismo italiano – con cifre tra i 25 mila e gli 80 mila euro – tra cui Romed di Carlo De Benedetti, Fiat, Pirelli; la svedese Ericsson; o singoli imprenditori come Guidalberto Guidi, gli Angelucci con Tosinvest, Francesco Micheli, Vittorio Merloni. Tra i finanziatori principali c’era Alfio Marchini (sopra i 25 mila euro), c’era Claudio Cavazza, fondatore della Sigma-Tau. Ma anche il discusso consulente aziendale Leonello Giuseppe Clementi.

L’amministratore e i finanziatori principali. Chi gestisce i conti è il segretario, uomo di grande fiducia di D’Alema, Andrea Peruzy, che abbiamo contattato senza ottenere informazioni. Peruzy – che siede anche nei cda di una dozzina di importanti imprese – è un manager capace di mediare tra mondi, mettere in contatto l’ex premier con l’universo-Renzi o quello Caltagirone. Uno snodo per nomine delicate, o per la gestione di importanti partite economiche. Siamo in grado di dire che ancora nel 2012 Italianieuropei era finanziata da soggetti istituzionali come Finmeccanica e Poste, con cifre oltre i 25 mila euro annui. Che attualmente grandi inserzionisti sulla rivista sono Piaggio, Fs, British american tobacco, Finmeccanica.

Che alcuni finanziatori sono stati assai discussi, soprattutto Viscardo Paganelli (ad della compagnia aerea Rotkopf) e Pio Piccini (ad di Omega): Italianieuropei li ha espunti negli ultimi due anni, dopo che finirono a processo per una storia (anche) di licenze aeree, e per i voli concessi a D’Alema (che fu assolto). Di certo c’è che negli ultimi anni le fonti di finanziamento si sono ristrette: quando il consiglio d’amministrazione approva i conti del 2011 e il budget del 2012 – un documento ufficiale che è stato possibile reperire, una sorta di «Gronchi rosa» del mondo delle fondazioni – D’Alema e Peruzy scrivono: «La Fondazione ha subito una diminuzione dei contributi per specifiche attività». Proprio quell’anno, alcuni storici finanziatori come Telecom Italia hanno chiuso in tutto o in parte i finanziamenti. Così D’Alema illustra le attività internazionali del 2012, «che saranno svolte in collaborazione con la Feps – Foundation for European Progressive Studies», think-tank di Bruxelles che coinvolge molti nomi illustri della sinistra europea. Presieduto da D’Alema.

La pubblicità. La fondazione avrebbe oggi un milione e duecentomila euro di fatturato, ha una dozzina di dipendenti, un sito, e s’è data sedi nobili e dall’affitto costoso (Palazzo Borghese, piazza Farnese). Molti dei soldi arrivano come pubblicità alla rivista, che ha sempre avuto una pubblicità assai superiore al valore dei suoi (circa) mille abbonamenti. Lo spiegò Peruzy: pacchetti da 30 mila euro comprati da investitori tipo Mps, Enel, Eni, Unicredit, Rai, Aeroporti di Roma, per citare i principali. Se il bilancio della fondazione non è noto, lo sono i bilanci della Solaris, la srl che edita libri e riviste della fondazione. Il bilancio negli ultimi tre anni ha chiuso sempre in perdita (-115.941 euro nel 2011, -214.671 nel 2012, -154.150 nel 2013), ma Italianieuropei interviene sempre e ripiana. Cala la pubblicità (nel 2009 gli introiti furono 615.520 euro, nel 2013 sono 375.460), calano le vendite (32 mila euro nel 2012, 16 mila nel 2013), calano gli abbonamenti. Consentono però a chi li riceve di restare pur sempre – sia pure nel declino politico – un crocevia tra politica, imprese e affari.

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