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Massimo Fini: “È un mondo che fa star male anche chi potrebbe star bene”

di Gianluca Pace |24 Novembre 2014 13:10

Massimo Fini: “È un mondo che fa star male anche chi potrebbe star bene”

ROMA – “È l’intellettuale che la Lega di Matteo Salvini vorrebbe” scrive Goffredo Pistelli di Italia Oggi presentando l’intervista a Massimo Fini, “continua a vergare i suoi interventi corrosivi su Il Fatto e si dedica alla scrittura, cioè alla sua personale visione del mondo, permeata di un antimodernismo colto. Il suo editore, Marsilio, lo riporterà in libreria a febbraio con Una vita: un libro per tutti e per nessuno”.

L’intervista di Goffredo Pistelli:

Domanda. Senta Fini, lei se l’è sempre presa con l’industrialismo, del quale capitalismo e marxismo erano facce diverse. Ora in Italia, viviamo da tempo una crisi economica dura e la partenza della Fiat, ora Fca, verso l’America ne simboleggia il culmine…

Risposta. La crisi è un fenomeno mondiale, che ha enfatizzato tutte le negatività di quello che chiamo industrial-capitalismo, appunto.

D. Però nell’epopea di casa Agnelli, c’è un simbolismo forte, ammetterà…

R. Beh, certo c’è quello di un declino netto di una famiglia. Gianni Agnelli è stato il simbolo dell’industria italiana dal Dopoguerra in poi. E questi nuovi, gli Elkann intendo, non hanno certo il carisma che poteva avere lui. Tuttavia credo che neppure quello sarebbe bastato: siamo in presenza di un fenomeno planetario. E infatti Sergio Marchionne è il manager che meglio impersonifica la globalizzazione.

(…)

D. C’era più fame…

R. Soprattutto più voglia di vivere. Oggi l’Italia ha una cupezza davvero notevole. Si enfatizza la crisi quando, in realtà, le cose potrebbero anche peggiorare.

D. In che senso?

R. Il nostro è un sistema mondiale, di sviluppo a crescita esponenziale, ma non si può crescere all’infinito e ci sarà un tracollo. Qui si droga il cavallo dopato, col danaro inesistente, senza stampare moneta cioè, ma con il credito e la bolla iperspeculativa. E saranno dolori. Questo è un mondo che fa star male anche chi potrebbe star bene.

(…)

D. Qualcuno dice che l’Europa, cioè il mettersi assieme, anche con la medicina amara della moneta unica e dell’austerità, sia l’unica ricetta.

R. Lo penso anche io ma se l’Europa si unisce anche politicamente. Perché allora è possibile quell’autarchica che un singolo Paese non può adottare.

D. Fare coi nostri mezzi, lei dice…

R. Sì, e un protezionismo forte, almeno saremo al riparo dagli effetti globalizzazione. Ma occorrerebbe che le leadership politiche lo volessero. Da questo punto di vista la Lega Nord di Gianfranco Miglio e Umberto Bossi aveva avuto un’intuizione.

D. Ossia?

R. Che con la scomparsa degli Stati nazionali, ci sarebbe stato spazio per delle macroregioni, coese per tipo di socialità, clima, cultura.

D. Non scomparendo gli Stati nazionali, gli epigoni di Bossi, cioè Salvini e soci, attaccano «Bruxelles ladrona».

R. Secondo me è meglio cercare l’unità politica anziché sfasciare come vuol fare Salvini. Nessun paese, preso singolarmente, può resistere: anzi io sarei per un’Europa unita, neutrale, nucleare, armata e autarchica, come ho scritto qualche anno fa. L’unica possibilità per resistere agli Stati Uniti, ormai non più alleati ma al massimo competitors sleali, alla Russia, alla Cina e gli altri.

D. Dunque il neopopulismo di Salvini non la convince. Cosa salva?

R. Beppe Grillo, anche se un po’ confusionario, ma d’altra parte ha fatto il comico per tanti anni.

D. Perché le piace?

R. È l’unico che ha capito, seppure in modo frammentario, che non si può continuare con le due categorie di destra e sinistra, vecchie di due secoli e mezzo. Un tempo questo, che, tra l’altro, ha corso a una velocità stratosferica.

D. Cos’altro hanno capito i grillini?

R. Che il vero valore non è la ricchezza o le cose che questa genera, ma il tempo.

(…)

D. Matteo Renzi, ovviamente, non le piacerà…

R. Sì, perché ci vedo una prosecuzione del berlusconismo. Né mi piacciono i suoi modi, come quello di annunciare, magari via Twitter, dei provvedimenti importanti, che poi vengono rivisti. Però…

D. C’è un però?

R. Però ha il vantaggio di non parlare politichese e di farsi capire. E poi dico che non va attaccato su tutto come invece fa il giornale per cui scrivo.

D. Per esempio?

R. Per esempio questo Jobs Act mi pare una cosa ragionevole, allo stato.

D. Renzi e Jobs Act che vengono attaccati duramente dai sindacati. Oggi (ieri, ndr) Maurizio Landini ha detto che «Renzi non ha il consenso della gente onesta».

R. Il sindacato sconta errori di decenni, in cui ha tutelato solo gli occupati. Sempre. Difendendo non solo chi lavorava ma anche i lavativi. Bisognerebe ricordare quando, nella tipografia de l’Avanti, per cui io scrivevo, pisciavano sulle rotative. Ma erano difesi dai sindacati.

D. Tipografi in lotta…

R. Se è per questo anche i giornalisti non erano da meno. L’Europeo chiuse perché su 55 giornalisti, lavoravano in una ventina. Le racconto un episodio.

D. Avanti…

R. Una volta andai a lamentarmi con Lanfranco Vaccari, il direttore, di uno dei nostri strapagati colleghi: non faceva un cazzo. Tre pezzi al mese, quando andava bene, e prendeva più di tutti. Il direttore lo propose per una lettera di richiamo.

D. E l’editore?

R. La respinse, chiedendogli se era impazzito.

D. Era l’Italia della carta stampata. Ora siamo a quella dei talk show. Sebbene tutti dicano che contino solo i socialnetwork e internet, la tv continua a generare consenso…

R. Guardi i talk oggi sono una trentina ma, mi ha detto Aldo Grasso, nell’insieme hanno un’audience dimezzata rispetto a pochi anni fa (…)

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