ROMA – “Fiat se ne può andare ma ci paghi la exit tax” dice il presidente della commissione Industria del Senato Massimo Mucchetti (Partito Democratico), intervistato da Stefano Feltri del Fatto Quotidiano.
Mucchetti, è sorpreso dalla fuga di Fiat Chrysler dall’Italia?
Il copione era scritto fin dalla separazione tra Fiat Industrial e Fiat Spa ed è diventato leggibile quando Fiat Industrial ha assorbito Cnh, portando la sede legale in Olanda, dove si possono avere azioni a voto multiplo in capo agli azionisti stabili.
Come funziona questo regime olandese?
Con il 10 per cento, per dire, puoi avere un peso del 40 o del 50 per cento avendo dividendi per il 10. In Italia le azioni a voto multiplo sono proibite, ma nella maggior parte dei Paesi occidentali sono lecite. Al mercato offri un progetto a lungo termine. Se poi ne preferisce uno a breve, legato alla contendibilità, le quotazioni lo rifletteranno.
E cosa cambierà con lo spostamento della sede legale in Olanda?
Le statistiche sugli investimenti esteri: tutto quanto è Fiat ieri era nazionale, da domani sarà internazionale. Ma come per le mucche di Mussolini in parata, sempre quelle restano le fabbriche. Che oggi sono in larga parte ferme per mancanza di modelli esportabili ad alto valore aggiunto. Ti credo che la produttività è bassa! Ora Stampa, Corriere e Gazzetta dello Sport avranno un azionista esterovestito. Tranne il caso del Mundo, testata spagnola di Rcs, non mi vengono in mente grandi quotidiani posseduti da società estere.
Perché la sede fiscale a Londra?
La City garantisce facilitazioni a società e manager. La Gran Bretagna ha un debito pubblico ufficialmente basso e agevola le transazioni finanziarie. Del resto, le multinazionali già raccolgono il denaro a Londra.
Cosa ci perde l’Italia?
Dipende. Se si trasferisce a Londra una pura holding che vive di dividendi delle partecipazioni, il calo del gettito fiscale sarebbe minimo. In Italia i dividendi da partecipazioni italiane sono tassati all’ 1, 37 per cento. E buona parte delle controllate italiane della Fiat non guadagnano. Se invece emigra la proprietà di attività materiali e immateriali generatrici di cassa o se vengono trasferite società che possiedono marchi e brevetti così da imporre royalties, e cioè costi fiscalmente deducibili, l’Agenzia delle entrate potrebbe avere da ridire. In ogni caso, questa migrazione potrebbe – dico potrebbe, non dovrebbe – far scattare l ‘ exit tax, la tassa che riguarda il trasferimento di base imponibile all’estero. E allora dovremmo pure magari ripensarne l’aliquota. Al governo si rimprovera di essere stato assente. Hanno perso tempo tanti governi. Per fare politica industriale bisogna mettere sul tavolo denari e risorse professionali. Il governo Usa si è assunto i costi di ristrutturazione di GM e Chrysler, 12 miliardi di dollari. Ma ha salvato Detroit. Lo Stato francese ha la Renault e adesso entra in Peugeot per favorirne l’internazionalizzazione in Cina, dopo che è venuto meno l’accordo privato Peugeot-GM. Licenzia, ma non sparisce dalla Francia. In Germania il lander della Bassa Sassonia è da sempre un azionista con diritto di veto in Volkswagen. L’Italia ha già speso miliardi in Ha protetto la Fiat fino alla fine degli anni Novanta, poi un’ultima fiammata di rottamazioni. Quindi il nulla. Marchionne ha continuato la caccia di incentivi pubblici, ne ha trovati ovunque tranne che in Italia, e sempre legati a precisi impegni produttivi nel Paese che li eroga. I nostri governi, non sapendo che fare, si sono finti liberisti. Qualcosa si può imparare da General Motors che ha aperto un grande centro di ricerca con il Politecnico di Torino. E magari favorire l’avvento di un altro costruttore in Italia. Marchionne si è dato un orizzonte di tre anni per rilanciare il gruppo post-fusione. Rilanciare in così poco tempo marchi che da anni languono come Fiat, Alfa Romeo e Lancia? Auguri. La finanza è fatta di colpi di scena, l’industria richiede costanza. L’Audi ha impiegato 15 anni a diventare l’Audi.
Da tempo lei sostiene la necessità di un aumento di capitale per Fiat. Marchionne ora prospetta un prestito convertendo, è sufficiente?
Il convertendo è la forma timida e avara di un aumento di capitale che continua a essere necessario in un gruppo che paga un’enormità di interessi passivi su un debito junk.