ROMA – “Come aveva annunciato – scrive Maurizio Belpietro su Libero – Matteo Renzi nel mese di maggio metterà 80 euro nella busta paga di alcuni milioni di italiani, forse dieci o forse meno, e ciò ha consentito ieri al presidente del Consiglio di cantare vittoria durante la presentazione del Documento di economia e finanza, cioè del cosiddetto bilancio di previsione del prossimo anno”.
Obiettivo centrato dunque? Sì,ma per quanto ci riguarda non abbiamo mai dubitato delle parole del premier, convinti che l’ex Rottamatore avrebbe trovato il modo di far fronte agli impegni entro le scadenze concordate. Il problema per noi non era se Matteo Renzi avrebbe trovato o meno i soldi per liquidare gli 80 euro in busta paga, ma quando questi soldi se li farà restituire dagli italiani.
A differenza di quanto ha giurato e spergiurato il capo del governo, le coperture per tagliare l’Irpef ai lavoratori che percepiscono un reddito lordo annuo inferiore ai 25mila euro non c’erano e non ci sono. Altro che «abbiamo trovato il doppio delle coperture»: da quanto ci risulta non esiste nemmeno la metà di quei fondi. Il presidente del Consiglio sta onorando sì la parola data, ma lo fa impegnando gli ultimi denari rimasti incassa.E lo fa come un vero e proprio giocatore d’azzardo. Ricordate? All’inizio il premier aveva parlato di usare il margine fra il 2,6 e il 3 per cento di deficit, avvicinandosi pericolosamente alla soglia che avrebbe fatto scattare la procedura d’infrazione dell’Europa. Ma non avendo trovato molte aperture da parte di Bruxelles e dei partner comunitari, Renzi è stato costretto a cambiare idea. Pure i famosi fondi strutturali europei che parevano un tesoretto a portata di mano, alla fine sono evaporati come neve al sole, perché gli occhiuti controllori dei nostri conti hanno fatto sapere che quei soldi non avrebbero potuto essere impiegati per ridurre l’Irpef,ma semmai per investimenti. Risultato, in queste settimane i tecnici del ministero dell’Economia hanno fatto e rifatto i conti (dagli annunci con le slide ad oggi è passato più di un mese) per arrivare alla conclusione che i quattrini non ci sono e l’unica possibilità permettere 80 euro in busta paga agli italiani consisteva nell’iscrivere a bilancio risparmi e tagli che ancora non ci sono. Fidarsi insomma delle parole più che dei soldi,nella speranza che poi le parole si traducano in qualcosa di concreto e spendibile. Le coperture dei tagli in pratica sono appese alla riduzione della spesa pubblica, cioè alla missione quasi impossibile affidata a Carlo Cottarelli. Perché impossibile? Perché molte delle sforbiciate annunciate sono solo virtuali. Si prenda il caso del Senato, che per alcuni dovrebbe lasciare nelle casse dello Stato circa mezzo miliardo. In realtà la riforma in discussione in queste ore non farà risparmiare quella cifra ma probabilmente un decimo, in quanto rimanendo Palazzo Madama in servizio anche se non esisteranno più i senatori, i soldi non spesi saranno limitati agli emolumenti dei rappresentanti del popolo, vale a dire cento milioni. Somma però destinata a dimezzarsi perché chi sostituirà i senatori eletti non si sposterà certo gratis ma pretenderà un congruo rimborso spese e magari anche un assistente nella Capitale. Risultato: da cento è probabile che i milioni risparmiati scendano a cinquanta. Il Senato naturalmente è un esempio, ma i conti si potrebbero fare pari pari per le Province, ufficialmente abolite ma pronte a risorgere. Del resto, i primi a esprimere dubbi sulle promesse di risparmio sono stati i giudici della magistratura contabile.Vedremo poi se gliannunciati tagli agli stipendi di burocrati e manager corrisponderanno al vero o se, come qualcuno sospetta, la riduzione sarà virtuale, compensata cioè da premi o sotterfugi vari. Il consuntivo della spending review è cioè tutto da verificare, ma per intanto Renzi ha deciso di spendere, con rischio di dovere a fine anno tappare un buco di alcuni miliardi.
Stessa copertura teorica con i risparmi derivanti dallo spread. Che il micidiale tasso sia sceso è fuor di dubbio,ma che continui a rimanere basso è per ora una speranza. Ciò nonostante il presidente del Consiglio ha deciso di mettere a bilancio anche la speranza. In altri tempi e in altri giornali, i signori commentatori avrebbero a questo punto parlato di finanza creativa. Ma, non essendo Renzi un Tremonti qualsiasi, a lui invece che critiche riservano saliva. Per quanto ci riguarda, auspichiamo solo che il premier non si riprenda con gli interessi ciò che ora dona.
Anche perché, a differenza di quanto è accaduto a Firenze negli anni scorsi e che raccontiamo nelle pagine interne, in questo caso non è possibile alcuna sanatoria. Lì, per risarcire il Comune dei soldi regalati ai dipendenti, arriverà il salva Firenze benedetto dal governo guidato dall’ex sindaco di Firenze. Ma nel nostro caso il conto lo dovranno pagare gli italiani.