ROMA – Mentre quasi 500mila studenti in tutta Italia sono nel bel mezzo degli esami di maturità, come ogni anno ci si chiede se la maturità stessa sia da abolire o meno.
Il botta e risposta tra chi la ritiene inutile e chi invece sostiene sia fondamentale per i ragazzi, va in scena sulle pagine del Giornale. Da una parte c’è il vice direttore del Giornale Vittorio Feltri, dall’altra Paolo Isotta, critico musicale di Opera, che scrive per il Corriere della Sera ma che viene interpellato dal Giornale per parlare in questo caso di scuola.
Scrive Vittorio Feltri:
Quando una cosa è totalmente inutile, tutti ne parlano con foga. Pagine e pagine di giornale. Servizi televisivi a iosa. Perfino dibattiti. Il superfluo appassiona. Pensate che ogni anno, in questa stagione, puntuali come il destino arrivano gli esami di maturità. E nelle riunioni noiose e ripetitive di redazione c’è sempre un tizio con le lenti da miope che salta su e dice: chi fa il pezzo sulla maturità? Il direttore alza gli occhi al soffitto e sbuffa:già,me n’ero dimenticato.Si capisce lontano un chilometro che non è seccato perché colto in fallo di memoria: figuriamoci.
Il problema è che non ne può più di occuparsi degli studenti che per la prima volta nella vita affrontano una prova seria, presentandosi davanti a una commissione di professori (esterni) che li giudicheranno degni o no di essere considerati adulti e preparati. Preparati a che? In redazione non manca mai uno spiritoso rompiballe che sghignazzando risponde: preparati all’adulterio. Che battuta! Quando si parla di esami di maturità emerge in ciascuno di noi, inevitabilmente, il liceale di terza B che fu e che non perde occasione per divertire i compagni ( i colleghi). Quando, ai tempi, eravamo in aula e qualcuno diceva una qualsivoglia sciocchezza, la classe si sbellicava. L’insegnante sopportava dieci secondi poi, scocciato, con un pugno sulla cattedra, invitava a smetterla di fare i fessi. Tornava il silenzio. Ma durava poco. Bastava che cadesse sul pavimento un astuccio da un banco e la ridarella – notoriamente contagiosa esplodeva di nuovo. Il docente sconfitto sorrideva e scuoteva la testa.
La replica di Paolo Isotta:
Carissimo Vittorio, leggo oggi (ieri, ndr ) il tuo bell’articolo nel quale proponi l’abolizione dell’esame di maturità; fatto mio il tuo auspicio, ne formulo uno io: aboliamo direttamente la scuola. Tu infatti sostieni che se un taluno giunge alle soglie dell’università dopo cinque anni di scuole elementari, tre di medie, due di ginnasio e tre di liceo, senza che nessuno gli abbia sbarrato la strada, vuol dire ch’è in qualche modo idoneo. Eh, no, caro Vittorio; so bene che la tua è un’argomentazione di carattere retorico; tuttavia tu sai benissimo che negli ultimi decenni la scuola è stata considerata da coloro che ci hanno governato, tutti indistintamente, un ammortizzatore sociale: come anche quella criminalità che i politici definiscono micro.
Gl’insegnanti hanno l’ordine di promuovere tutti indistintamente (mi ripeto: ma non a caso) gli alunni a prescindere dal profitto; e ciò è causa di gravissima discriminazione sociale, non potendo quelli provenienti da ceti sociali umili consentirsi la preparazione privata che un tempo non era necessaria. Ammortizzatore sociale, e nei due sensi: ovvero sia che significhi tenere per qualche anno ancora in parcheggio quelle che diventeranno pericolosissime torme di disoccupati; sia per mantenere turbe di «professoresse» fumanti colla Repubblica in mano come simbolo di appartenenza e di «personale ausiliario» che in vita sua non ha mai visto una scopa: esistono infatti le squadre di pulizia fatte di tossici ed ex detenuti.
Quando insegnavo, il ministero su richiesta degli alunni inviò un ispettore al Conservatorio di Napoli perché ero troppo severo agli esami; ciò che questo insegnante di Fisica sostenne nella relazione di censura su di me; sono vent’anni che non insegno più. Tutte queste cose sono da me dettagliatamente narrate nel libro La virtù dell’elefante che uscirà a ottobre per Marsilio.