Morta dopo aborto farmacologico: aperta inchiesta. Ginecologo: “Nessun nesso con Ru486”

Aborto, donna muore in ospedale a Torino dopo aver preso la Ru486
Aborto, donna muore in ospedale a Torino dopo aver preso la Ru486

TORINO – La procura di Torino ha bloccato e rinviato a lunedì prossimo l’autopsia sulla donna di 37 anni morta all’ospedale Martini dopo la somministrazione della pillola dell’aborto RU486. È stata aperta un’inchiesta, per ora senza indagati né ipotesi d’accusa.

Anche il ministero della Salute ha annunciato un’indagine degli ispettori per far luce su una morte tanto tragica quanto inaspettata. Intanto, il vicesegretario vicario dell’Udc, Antonio De Poli, ha chiesto al ministro Beatrice Lorenzin un approfondimento e una relazione in Aula.

Racconta La Stampa:

Resta il mistero, a due giorni dal decesso. Il primario di Ginecologia dell’ospedale Martini, dottor Flavio Carnino, nella ricostruzione dell’accaduto, ripete: «Escludo categoricamente che ci sia stato un errore medico, lo escludo al 300 per cento». Spiega: «Non c’era alcuna patologia pregressa che sconsigliasse l’interruzione di gravidanza farmacologica. L’unico problema della signora era un’allergia al lattosio, che non ha nulla a che vedere con la RU486». Anche il fatto che la paziente fosse stata dimessa dopo la somministrazione del mifepristone – prima di assumere la pillola che provoca l’espulsione della mucosa e dell’embrione – è considerato «assolutamente insignificante» alla luce della tragedia: «Quando la signora ha avuto la prima crisi respiratoria, poi diversi arresti cardiaci – sottolinea il direttore sanitario dell’Asl To1, Paolo Simone – era in ospedale». Nello stesso ospedale dov’è avvenuta la tragedia, nel 2013, sono state 60 le interruzioni di gravidanza farmacologiche, 25 quest’anno: «E nessuna complicanza né rischio per le pazienti», precisa sempre il primario della Ginecologia di via Tofane.

Il dramma di Torino ha riaperto ieri parte delle polemiche sull’aborto farmacologico: la pillola abortiva, approvata in Italia nel 2009, è stata autorizzata in Francia 20 anni prima, nel 1988. E nel 98,7 per cento dei casi le interruzioni volontarie di gravidanza sono avvenute entro i 49 giorni di gestazione, come indicato in Italia. Secondo l’ultima relazione al Parlamento sulla legge 194/78 del ministero della Salute, inoltre, nel 97 per cento dei casi non c’è stata alcuna complicazione immediata: la necessità di ricorrere alla «revisione» chirurgica della cavità uterina per terminare l’intervento si è verificata solo nel 5,3 per cento dei casi.

Prima di morire, mercoledì, la donna ricoverata in Rianimazione al Martini ha avuto numerosi episodi di fibrillazione ventricolare e più arresti cardiaci. Un’ipotesi presa in considerazione ieri mattina in ospedale per spiegare la morte è anche quella del batterio clostridium sordellii, «che può causare infezioni latenti che non si manifestano inizialmente con sintomi eclatanti, ma poi diventano vere e proprie setticemie», spiega il direttore sanitario del Martini. Ma la crisi respiratoria della donna sarebbe stata troppo vicina alla somministrazione del secondo farmaco per avvalorare la tesi di un’infezione. Soltanto l’autopsia sembra dunque destinata a far luce sul dramma.

Ma Silvio Viale, ginecologo, attraverso un’intervista a La Stampa, esclude un nesso fra la morte e la pillola Ru486:

Perché?

«Perché anche se sarà l’autopsia a dare maggiori chiarimenti su questa morte improvvisa in gravidanza per complicazioni cardiache, sin da ora posso affermare che non vi è alcun nesso teorico di causalità con il mifepristone, cioè l’Ru486, perché non ci sono i presupposti farmacologici e clinici. E respingo ogni strumentalizzazione»

Lei come la spiega la tragedia dell’ospedale Martini?

«L’episodio ricorda la prima e unica morte in Francia nel 1991, agli inizi del suo uso, che indusse a modificare il tipo di prostaglandina per tutti gli interventi abortivi introducendo il misoprostolo (Cytotec). Sono gli altri farmaci, gli stessi che si impiegano per gli aborti chirurgici, i maggiori sospettati di un nesso con le complicazioni cardiache. Sono decine di milioni le donne che hanno assunto la Ru486 nel mondo e 40.000 in Italia».

Cosa bisognerebbe fare?

«Questa tragica fatalità dovrebbe favorire la creazione di servizi specialistici adeguati, dove le donne possano avere le migliori informazioni e i migliori trattamenti. I rischi di eventi eccezionali sono inevitabili e non rassicura di certo che siano inferiori a quelli che si corrono con la gravidanza».

 

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