Nepal, Giuseppe Antonini: “Non ho potuto salvare Gigliola Mancinelli”

Gigliola Mancinelli
Gigliola Mancinelli, in alto a sinistra (ansa)

ROMA – “Senza Gigliola non lascio il Nepal. Adesso torno lassù, a Langtang, a riprendermela”. Da un satellitare di fortuna, si disperava da Katmandu, Giuseppe “Pino” Antonini, lo speleologo di Ancona sopravvissuto al crollo della montagna spezzata dal terremoto.

Gigliola Mancinelli, anconetana, medico rianimatore di cardiologia ed esperta di Soccorso alpino, è stata uccisa sul colpo. Antonini, con un istinto di sopravvivenza, seppur semi-sommerso dal torrente di rocce, è riuscito a liberarsi e estrarre dalle macerie i compagni di spedizione Oskar Piazza (vivo e poi deceduto), trentino, e il genovese Giovanni Pizzorni. Un eroe, ma lui non si dà pace.

L’articolo a firma di Giovanni Sgardi sul Messaggero.

«La valanga di ghiaccio e pietre ha frantumato parte del lodge e si è portata via Gigliola. Io e gli altri siamo rimasti sotto i detriti» ha raccontato ieri Pino ai parenti più stretti, aggiungendo quello che prima non era riuscito a dire per le difficoltà di comunicazione. È una ricostruzione inedita della tragedia degli speleologi quella di “Astigo” (elastico in dialetto anconetano) Antonini.

Sabato scorso il team era riunito nel rifugio di Langtang perché le condizioni meteo impedivano di aprire nuove vie di esplorazione delle cascate locali, scopo della missione di canyoning. «Travolto dalla frana, Pino aveva un braccio e parte della testa fuori dalla coltre di sassi – spiega il fratello Roberto Antonini -. Piano piano è uscito fuori poi, scavando a mani nude, ha liberato gli altri due compagni. Li ha portati in una piccola stalla e ha acceso un fuoco per tenerli al caldo. Il posto era stretto e fuori pioveva, così lui ha trascorso la notte in un rudere con altri nepalesi sopravvissuti».

Tenebre polari, il paese raso al suolo, morte ovunque. «Pino era scalzo – prosegue Roberto -. Ha scavato ancora e ha recuperato degli indumenti e degli scarponi». E all’alba si è messo alla ricerca di Gigliola, rapita dalla frana. L’ha trovata più in basso dal punto in cui lui era rimasto intrappolato con gli altri speleologi. Ha accarezzato il volto intatto, le ha dato l’ultimo bacio, ha pianto e fatto l’unica cosa che potesse fare: ha ricoperto il corpo con un telo e lo ha messo in sicurezza con delle pietre, perchè non venisse profanato dagli animali. Poi ha seguito Giovanni Pizzorni, che ha riportato la frattura del bacino, all’ospedale di Katmandu (…)

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