ROMA – È un altro paradosso del nostro squilibrato sistema televisivo, ha scritto Giovanni Valentini nella sua ormai ex rubrica sul quotidiano la Repubblica “Il Sabato del villaggio”,
“il fatto che Sky, nata come tv a pagamento e quindi necessariamente criptata, stia considerando l’ipotesi di un trasferimento “in chiaro” dei suoi canali, a cominciare da quelli “all news”. Nella “guerra dell’etere” che in Italia dura ormai da trent’anni, il progetto della pay tv controllata da Rupert Murdoch è una sfida aperta all’impero di Silvio Berlusconi destinata a disputarsi sul campo di battaglia della raccolta pubblicitaria, dopo l’assalto di Mediaset al castello dei diritti televisivi sul calcio per arricchire la propria offerta “Premium” a pagamento.
Non essendo sospetti di una particolare indulgenza nei confronti del Biscione, diciamo subito che si rischierebbe di commettere un doppio errore a tifare per Murdoch in odio a Berlusconi. Primo, perché la concentrazione mediatica che fa capo al tycoon australiano, detto “lo Squalo”, non è meno forte e incombente di quella che fa capo al nostro ex premier-tycoon, detto “il Caimano”, a parte la questione del conflitto d’interessi che lo riguarda personalmente.
Secondo, perché qui l’interesse da tutelare non è quello dell’uno o dell’altro, ma piuttosto l’equilibrio generale di un mercato nevralgico come questo, cioè il pluralismo dell’informazione e la libera concorrenza. E magari, se non vogliamo rimuovere o archiviare definitivamente la questione, anche quel riequilibrio delle risorse pubblicitarie a favore della carta stampata e di tutti gli altri media che l’ex presidente Ciampi invocava più di dieci anni fa nel messaggio alle Camere con cui respinse la prima versione della legge Gasparri.
Ben vengano, allora, anche le news “in chiaro” di Sky, se contribuiranno ad ampliare il ventaglio del pluralismo informativo. Ma bisogna sapere tuttavia che si tratta di un braccio di ferro fra due potentati televisivi e che l’equilibrio o riequilibrio del mercato non si ottiene modificando la quota dell’uno a favore dell’altro.
C’è oggettivamente il rischio, anzi, che l’ulteriore rafforzamento di uno dei due contendenti a danno dell’altro possa ripercuotersi negativamente sugli altri competitors.Qual è stato finora il “core business” di Sky Italia? La sua offerta televisiva s’è identificata sostanzialmente in un “biglietto elettronico”, per vedere film o assistere a eventi sportivi, in particolare alle partite di calcio. Non a caso il suo modello commerciale è fondato sugli abbonamenti che a giugno hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 4.730.000 clienti, per un fatturato complessivo di 2 miliardi 860 milioni di euro all’anno, di cui soltanto il 9% di pubblicità (tra i 200 e i 250 milioni). Se il “trasloco” della pay tv dovesse produrre un incremento di quest’ultima voce, ne risentirebbero verosimilmente più gli altri media — vecchi e nuovi — che i diretti concorrenti.
Quanto all’informazione, nonostante la professionalità e la modernità del prodotto, la presenza di Sky si può considerare piuttosto modesta. In base ai dati forniti dall’Ufficio stampa dell’azienda, nell’ultimo anno il Tg ha registrato uno share dello 0,4%, un’audience media di 41 mila spettatori e 2,3 milioni di contatti giornalieri. Su uno share complessivo dell’emittente che lo Studio Frasi valuta pari al 4,83% nel giorno medio, dal 1° settembre a oggi Sky Tg 24 ha ottenuto una percentuale da prefisso telefonico pari allo 0,29.
E in cifre assolute, secondo la stessa fonte, in questo periodo l’audience quotidiana è risultata di appena 29.205 spettatori, con 1.796.126 contatti («È il numero assoluto di spettatori unici che hanno visto almeno un minuto di un dato intervallo di tempo, programma o fascia oraria», spiega con precisione il professor Francesco Siliato): per crollare poi in prima serata, rispettivamente allo 0,10%, con un’audience di 25.051 spettatori e 359.793 contatti.
Ammesso pure che le news “in chiaro” di Sky riescano a raddoppiare o magari a triplicare il loro share, non sembrano destinate a influire granché sul pluralismo dell’informazione. Il vecchio duopolio, insomma, resiste eroicamente. I telegiornali della Rai, compreso il canale “all news”, superano infatti il 56% di share e le testate di Mediaset si attestano intorno al 31%, lasciando il 5,08 al Tg La 7 e le briciole agli altri”.