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Nuovo governo: Amato, Letta e Renzi. Direzione Pd e Grillo: prime pagine e rassegna stampa

di Gianluca Pace |24 Aprile 2013 8:44

Il Corriere della Sera: “Amato è avanti, Letta in corsa”. Il sospetto universale. Editoriale di Ernesto Galli della Loggia:

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“Molti italiani si stanno ormai abituando a giudicare la politica nell’ottica di quest’unica categoria demonizzante, e quindi a vedere le cose e gli uomini della scena pubblica del loro Paese in una sola luce: quella del sospetto universale.
La prima caratteristica della categoria dell’inciucio, quella che la rende così facilmente utilizzabile, è la sua indeterminatezza. L’inciucio, infatti, come insegnano i suoi denunciatori di professione, si annida dovunque. Potenzialmente esso riguarda tutto e tutti. Può consistere nella sentenza di un tribunale, in un articolo di giornale, nella decisione di qualunque autorità, in una trasmissione televisiva, in tutto. Ma soprattutto è inciucio la trattativa, l’accordo, il compromesso espliciti, così come pure — anzi in special modo! — l’intesa tacita che su una determinata questione si stabilisce per così dire spontaneamente tra gli attori politici di parti diverse. Tanto più che perché di inciucio si possa accusare qualcuno non c’è bisogno di alcuna prova. Per definizione, infatti, l’inciucio si svolge nell’ombra, al riparo da occhi indiscreti. E dunque, paradossalmente, proprio la circostanza che di esso non si abbiano tracce visibili diviene la massima prova della sua esistenza. In questo senso la categoria d’inciucio, nella sua indeterminatezza e nella sua indimostrabilità, costituisce una sorta di versione in tono minore di un’altra ben nota categoria, da decenni ai vertici dei gusti del grande pubblico: la categoria dei «misteri d’Italia» con la connessa tematica del «grande complotto». Ogni vero inciucio, infatti, contiene inevitabilmente un elemento di «mistero», e d’altra parte ogni «mistero» non implica forse chissà quanti inciuci?”

Come chiudere un conflitto permanente. La nota politica di Massimo Franco:

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“Anzi, punta a qualcosa di più: al riconoscimento della nuova realtà da parte di avversari che si sono combattuti aspramente, troppo, fino a poche settimane fa. Eppure, i partiti non potranno che dirgli di sì, nonostante i malumori e i lividi ancora da smaltire. Il Pd cerca di limitare e circoscrivere nel modo più indolore e asettico la svolta, con un occhio all’elettorato. Il Pdl, invece, vuole sottolineare e perfino esaltare la novità, forse con la speranza segreta di una spaccatura della sinistra.
Il risultato è quello di scaricare sul Quirinale il compito di azzerare le ultime resistenze; o almeno di abbassarle fino a una soglia che renda accettabile la sua mediazione. D’altronde, passare da una lettura mitica del risultato elettorale del 24 e 25 febbraio alla realtà prosaica dei numeri esige un cambio di prospettiva che il Pd fatica a darsi: anche perché deve archiviare una sconfitta politica recente e una mentalità radicatasi in vent’anni; sebbene sia comune anche a larghi settori di un centrodestra educato all’anticomunismo. Ma il via libera al «governo del presidente» è obbligato. Molti dei dubbi su un’intesa con Berlusconi sono cadute una a una durante la direzione del Pd di ieri pomeriggio”.

La lite, i veti, il fuorionda: Bindi furiosa i casi. Articolo di Monica Guerzoni:

“Con quella giacca di pelle che a qualcuno, su Twitter, ha fatto venire in mente il Gordon Gekko di «Wall Street 2», l’immagine di Rosy Bindi rimbalza da un social network all’altro, da un sito Internet a un tiggì. In una giornata cruciale per la crisi politica la presidente dimissionaria del Pd conquista la scena. Ma a fare notizia non è tanto l’astensione in direzione rispetto al documento approvato dal Pd, ma il combinato disposto tra un fuorionda che sa di gaffe, un video in cui minaccia cazzotti e il veto su Enrico Letta.
La giornata terribile di Rosy comincia alle quattro, quando arriva in via di Sant’Andrea delle Fratte e trova il partito assediato, dalla stampa e dai contestatori. Sono poche decine e attaccano in ordine sparso, c’è il militante deluso e c’è il signore di destra venuto a seminar zizzania in campo altrui. Indossa una felpa con scritto «Ny» e si vanta di aver dormito a Regina Coeli, il carcere della Capitale. «Mascalzoni! Avete rubato con la Serravalle, dovete ridare 200 milioni!» inveisce l’uomo, avvicinandosi minaccioso alla Bindi. «Non ne so niente, io», schiva l’assalto l’ex ministro. Un militante invita a lasciarla stare perché è «la più onesta», ma il tipo non molla e all’onorevole saltano i nervi: «Io gli do un pugno!». Il servizio d’ordine e la portavoce Chiara Rinaldini la prendono in custodia e la scortano al riparo, nel chiuso del Pd”.

La prima pagina de La Repubblica: “Berlusconi boccia Renzi premier”.

La Stampa: “Premier, si va verso Amato”. Alla politica non basta solo il Web. Editoriale di Gianni Riotta:

“Se oggi manderete una mail, o vi collegherete con un sito web, è probabile che la vostra posta, o la vostra ricerca, passino da Porthcurno, in Cornovaglia, dove tra cemento, vetro, cavi, centraline e giganteschi impianti di raffreddamento, funziona uno dei crocevia europei più trafficati del web. Andrew Blum, giornalista del periodico Wired, ne parla nel volume «Tubes, viaggio al centro di internet», reportage nella struttura fisica della rete. La letteratura tecnologica fa di internet un universo di «Nuvole», «Realtà virtuali», «Anima Digitale», ma invece è concretissima, come un mattone, un bullone, una chiave inglese”.

Più si smarca e più vince La strategia ribelle di Debora. Scrive Giovanni Cerruti:

“Jeans scuri, giubbotto rosso, zainetto verde. È una divisa, ormai. «Dammi una brioche». Alle dieci del mattino Debora Serracchiani è nella sede del Pd, più vicina alla tangenziale che al centro. Ha dormito quattro ore, c’è un aereo per Roma che l’aspetta. Ancora interviste per le tv, si è messa in coda pure quella tedesca. Ancora qui a cercar di capire come sia diventata la «Debora, risolvo i problemi»: almeno per il Pd. «Ho preso un sacco di voti più della lista, mi hanno detto dai 50 mila in su». Non sarebbe una gran sorpresa, per lei. Alle Europee del 2009, nel Nord-Est, aveva battuto Silvio Berlusconi per 10 mila preferenze. «Ma questa volta è diverso», dice senza aggiungere un «purtroppo». Tanto l’ha già ripetuto per tutta la notte, «ho vinto nonostante il Pd». E adesso, finita a metà la brioche, racconta che da Roma sono stati proprio bravi a metterla in difficoltà, «come se ci fosse un metodo tra il cinico e il diabolico». Non l’ha capito lei, figurarsi gli iscritti, i militanti, gli elettori. «La sera della decisione su Marini candidato al Quirinale venivano ai comizi per insultarmi”.

Vendetta per il Mali Distrutta a Tripoli l’ambasciata francese. Articolo di Alberto Mattioli:

“La bomba era dentro un’automobile che è stata parcheggiata davanti all’ambasciata francese a Tripoli poco dopo le sette di ieri mattina, ora locale. Pochi istanti dopo, l’esplosione ha di fatto distrutto l’edificio e ferito due gendarmi francesi, uno gravemente (ma non è in pericolo di vita) e uno in maniera leggera. Qualche ferito, pare, anche fra i vicini libici, fra i quali una ragazzina. Lo scenario, nel quartiere residenziale di Gargaresh della capitale libica, era spettrale. Dell’autobomba restavano solo i resti calcinati. Sette o otto vetture parcheggiate nei pressi erano state completamente distrutte e l’ambasciata sventrata, demolita al 60%. Tutto sommato, è andata anche bene, perché gli impiegati non erano ancora arrivati al lavoro. «L’attentato avrebbe potuto causare un autentico massacro”.

Il Fatto Quotidiano: “Pd: signorsì Napolitano”. Libro&Giorgietto. Editoriale di Marco Travaglio:

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“Il Foglio e Libero – il primo in modo spiritoso, il secondo con le mèches – smentiscono quel che abbiamo scritto negli ultimi giorni e di cui facciamo ammenda: cioè che tutti i media siano genuflessi ai piedi di Sua Castità e del suo governissimo. Essi anzi manifestano una sbarazzina tendenza alla critica che rasenta il vilipendio. Per esempio il Corriere, che assume la guida dell’opposizione con il commento al vetriolo di Antonio Polito: “Discorso breve, severo ma intriso di commozione: una lezione di virtù repubblicana”. E di Paolo Valentino: “Ci sono discorsi che cambiano la storia di un Paese. Come quello di Abraham Lincoln nel 1863 a Gettysburg… O come Lyndon Johnson, che nel 1964 pronuncia il celebre we shall over come e chiude la segregazione razziale… Il discorso di Giorgio Napolitano ha la forza retorica, l’altezza d’ispirazione e la dirompenza politica che lo rendono già un’opera prima… ha aperto una nuova pagina, restituendo dignità alla parola e regalandoci un testo di etica pubblica senza precedenti nella storia repubblicana. In un altro Paese, lo farebbero studiare nelle scuole”.

Il Giornale: “Meno tasse o voto”. Editoriale di Alessandro Sallusti:

Il ritorno dello spread a quota 300 non capitava da un anno. Ieri è successo: solo 306 punti di differenza dai Bund tedeschi. Ma se qualcuno pensa che stiamo scrivendo dei nostri titoli di Stato, si sbaglia: qui si parla dei Bonos spagnoli, che negli ultimi due giorni sono tornati a essere super richiesti. Forse che a Madrid siano ri­masti estasiati dalla riconferma di Giorgio Napolitano?O dall’imminente incarico per Palazzo Chigi? Ci sembra improbabile. Ecco perché ieri più che mai si è visto, sui mercati, quello che ripetiamo da tempo. E cioè che gli andamenti dello spread e della Borsa non sono correlati- se non in minima parte- alla situazione politica romana. Cer­to, il giuramento di Napolitano e l’eventuali­tà di un nuovo governo aiutano. Ma se si pen­sa che si è votato due mesi fa e che da allora non abbiamo assistito certo a grandi scosso­ni, allora è chiaro che l’instabilità politica ita­liana pesa fino a un certo punto. Così ieri l’indice principale di Piazza Affa­ri è salito del 2,9%, lo spread è sceso fino a 270 punti e il Btp decennale è tornato a ren­dere meno del 4% ( non accadeva dal novem­bre 2010) perché nei mercati internazionali stanno accadendo due nuovi fenomeni. Il primo è la gigantesca immissione di liquidi­tà decisa dalla Banca centrale giapponese stampando yen:l’equivalente di 60 miliardi di dollari al mese per due anni. I quali si sono sommati agli 85 miliardi già annunciati dal­la Fed Usa fino al 2014. Cosa significa? Che per chi muove enormi quantità di denaro conviene ora indebitarsi, ai tassi quasi zero di quei Paesi, in dollari e yen, valute destina­te a svalutarsi, per poi investire il malloppo preso a prestito in titoli di Stato ad alto rendi­mento”.

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