Nuovo governo, Pd, Renzi e Bersani: prime pagine e rassegna stampa

Il Corriere della Sera: “Governo, favorito Amato”. E adesso pensate a famiglie e imprese. Editoriale di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi:

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“La vacanza dalla realtà è finita. Il nuovo governo, chiunque lo guiderà, dovrà dare una risposta rapida e concreta ai problemi del Paese, altrimenti Grillo lo sommergerà. All’antipolitica e al populismo c’è un solo antidoto: fare qualcosa, finalmente, e farla bene.
In campo economico ci sono due priorità: abbassare le tasse su lavoro e investimenti e far ripartire il credito a famiglie e imprese. Dopo otto trimestri consecutivi in cui l’economia si è contratta (quasi un record) non c’è tempo per altro. Se non si arresta rapidamente questa spirale deflattiva e di sfiducia, abbandonando la politica economica del governo Monti, basata solo su aumenti di imposte, l’Italia rischia il collasso. A quel punto farla ripartire sarebbe molto più difficile.
Le proposte dei «saggi» incaricati dal presidente della Repubblica sono vaghe e soprattutto sono troppe. Solo dopo che si saranno ridotte le tasse e fatto ripartire il credito si potrà pensare ad altro. Pdl e Lega hanno già chiesto che venga eliminata l’Imu. Il nuovo presidente del Consiglio sarà costretto a dire di no. Ma la riduzione delle tasse su lavoro e imprese deve essere di un ammontare maggiore dell’Imu (che nel 2012 ha prodotto un gettito di circa 24 miliardi), altrimenti la pressione fiscale non scende”.

Accuse, insulti, dietrofront E scatta la «guerra totale». Articolo di Pierluigi Battista:

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“È il caos, la guerra di tutti contro tutto. Una battaglia di proclami, di dichiarazioni sempre più squillanti, bellicose, infuriate. Nel Pd che rischia di avvicinarsi con poderose falcate alla deflagrazione finale, si sgretola anche quel minimo di solidarietà di partito che ne assicurava la sopravvivenza. Sodalizi che si sbriciolano per una battuta. Ultima in ordine di tempo: Rosy Bindi che impallina preventivamente Enrico Letta in un’intervista concessa a Maria Latella per Sky. Il suo «vicesegretario» non può diventare presidente del Consiglio in un governo delle larghe intese, dice severa. Solo «governo di scopo». Senza Letta, il «vicesegretario» del Pd sull’orlo dell’autodissoluzione. Tutti contro tutti, appunto.
E tutto per il gusto della battuta, della twittata, del post da esibire su Facebook. Si frantuma ogni nesso che dovrebbe segnalare almeno la concordia sui principi fondamentali. Tutto appare in liquidazione, attraverso dichiarazioni sempre più fragorose. Matteo Renzi vuole dir la sua sui candidati al Quirinale? Ecco due battute devastanti su Anna Finocchiaro e Franco Marini. E ha fatto rapidamente scuola. Il giorno decisivo in cui il Pd, dopo aver subito due catastrofiche disfatte, cerca una possibilità dall’avvitamento nel suicidio optando per Giorgio Napolitano, Fabrizio Barca, autorevole neoiscritto al partito, fa un indiretto endorsement per Stefano Rodotà. Qualcuno va oltre ed esplicitamente fa a modo suo, come se il Pd nemmeno esistesse. E subito Laura Puppato dichiara di votare Rodotà anziché Napolitano”.

Intervista di Francesco AlbertiDaniela Ferrari, la moglie di Bersani:

“L’ultima volta c’era la neve. E Lucianino, Sandrino, Camillo, Fausto, ben carburati da due frizzantini alla trattoria “Agnello”, si stringevano sghignazzanti, le espressioni birichine di quando lo facevano da ragazzi, per rientrare nell’obiettivo del fotografo e farsi immortalare («Per i posteri, per i posteri!») al fianco di “Pigio”, che in jeans e giaccone, «accidenti, chi m’ha fregato il bicchiere?», pareva il più felliniano di tutti in quell’amarcord in salsa piacentina: lui, Pier Luigi Bersani, 61 anni, indiscusso e indiscutibile leader pd, favorito alle elezioni di febbraio, premier in pectore. La «lenzuolata» formato matrimoniale dell’artista Piero Bonvini gridava a tutta piazza Colombo ciò che il futuro avrebbe riservato ai compaesani e all’Italia intera: «Bersani presidente». E la Marcellina, signora del circolo pd, davvero non stava nella pelle. Era il 20 gennaio scorso. Bettola, 3 mila anime, porta d’ingresso della Val Nure, dove le colline diventano montagne e da dove un giorno di tanti anni fa Pier Luigi detto “Pigio”, figlio del meccanico e benzinaio Giuseppe, partì, scandalizzando la madre cattolica e democristiana, per scalare le vette del Pci-Pds-Ds-Pd”.

Da Fassina a Gasparri, la caccia in strada al politico. Articolo di Alessandra Arachi:

“Stefano Fassina non ha ancora smaltito il panico. Sospira: «Non mi era mai capitata una cosa simile». Il giovane turco deputato del Pd sabato pomeriggio ha rischiato il pestaggio. Racconta adesso: «Sono uscito da Montecitorio dopo l’elezione del presidente Napolitano. Sono uscito dalla porta di dietro e mi sono trovato addosso un gruppo di manifestanti che mi ha aggredito».
È uscito dalla porta che da su piazza del Parlamento Stefano Fassina, un po’ temeva quella piazza davanti che andava surriscaldandosi da ore. Non immaginava l’inferno che lo aspettava dietro. «Non mi è mai successo, davvero. Nemmeno in mezzo agli operai disperati ho visto tanta rabbia e tanta aggressività. È dovuta intervenire la polizia. Un cordone di trecento poliziotti che mi ha scortato per difendermi dalla folla inferocita. Neanche fossi stato uno stupratore».
La verità è che di questi tempi sembra proprio che basta essere un politico per finire nel mirino delle proteste. Già, in questi giorni di marasma istituzionale è successo a molti parlamentari di essere contestati, in una protesta assolutamente bipartisan”.

Tutti aggrappati alla Rete Così la nuova politica finisce in balìa dei tweet. Scrive Aldo Cazzullo:

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“La «democrazia on line» non esiste. È un ponte sospeso sul vuoto. Ma è anche una suggestione irresistibile, una forza che sta cambiando la storia. Può distruggere la democrazia tradizionale, quella rappresentativa. Ma può concorrere a costruire una democrazia nuova, davvero partecipata. Purché la si usi con discernimento e con rispetto reciproco. Senza cedere all’esaltazione e alla paura. Insomma, senza ripetere quel che è accaduto in questi giorni. Non è negativo che l’opinione pubblica entri nel Palazzo, anzi. Purché non si confondano i 4 milioni di italiani che twittano con l’insieme dell’opinione pubblica. E si trovi la serenità di decidere da uomini non sordi ma liberi.
Il totem della Seconda Repubblica furono i sondaggi. Berlusconi orientava le sue scelte in base alle rivelazioni di Pilo o di Crespi. Le rare volte in cui indulgeva a passeggiare in Transatlantico, ai suoi deputati o a quelli pronti a passare con lui sussurrava in un soffio: «Sapessi, i sondaggi… ». I capi della sinistra, che andavano maturando i rancori culminati venerdì nel killeraggio di Prodi, trovavano sempre sondaggisti che li davano in netto vantaggio, fino all’apertura delle urne”.

La prima pagina de La Repubblica: “Renzi: Così rifonderò il Pd”.

La Stampa: “Napolitano, subito il governo”. Così il Colle prepara il cambiamento. Editoriale di Marcello Sorgi:

“La sorpresa del bis di Napolitano ha portato con sé un imprevisto effetto collaterale. Anche se il Presidente, fin dal momento in cui ha annunciato la propria disponibilità, ha tenuto a precisare che solo di riconferma, e non di altro, si era parlato, nei colloqui preventivi con i leader, s’è egualmente diffusa la voce che il suo primo atto, dopo la proclamazione e il giuramento, sarebbe la nomina di un esecutivo guidato da Amato o Enrico Letta, e appoggiato da una maggioranza Pd-Pdl”.

Retromarcia sul Colosseo “Beppe ci ha lasciati soli”. Scrive Mattia Feltri:

“Alle 17 di ieri, ventiquattro ore e mezzo dopo aver scritto sul blog che era in corso un colpo di stato, Beppe Grillo ha preso il camper e ha lasciato Roma. Da tre ore la sue gente, convocata dai moderni ritrovati della tecnologia, a cominciare dal tweet mattutino di Roberta Lombardi, capogruppo a cinque stelle alla Camera, aspettava sotto il sole nella piazza Santi Apostoli. Appuntamento alle 15. I più erano arrivati alle 14 o poco dopo per guadagnare il posto migliore. La sorpresa è che, a dare un punto di riferimento, il palco non c’era. Ma tutti erano lì con la rabbia e l’entusiasmo della folla che ribalta il mondo, e avevano aspettato forse due minuti per ritmare il nome di Stefano Rodotà, qualificare Giorgio Napolitano come mafioso e intonare i cori d’ordinanza: «Tutti a casa», o «tutti in galera». Periodici boati sembravano preannunciare l’arrivo del profeta. Da un portone sbucava invece il capogruppo al Senato, Vito Crimi, che assediato dava informazioni udibili soltanto dai più vicini. Una troupe della Rai trascinava per la piazza un minuscolo palchetto per telecamere: due metri quadrati per settanta centimetri di altezza. «Glielo prestiamo perché non ne hanno uno», diceva il tecnico. Un mezzo della tv di Stato per sventare il colpo di Stato: era la logica stringente di questi giorni”.

Boston, c’era un arsenale nella casa dei terroristi. Articolo di Maurizio Molinari:

“La polizia di Boston ha trovato un arsenale di bombe rudimentali e ritiene che i due terroristi ceceni si apprestassero a compiere altri attacchi mentre l’Fbi guarda al Caucaso nella ricerca di motivi e possibili mandanti nell’attentato alla maratona. Ma affiorano tensioni con l’antiterrorismo di Mosca. È il capo degli agenti di Boston, Ed Davis, a rivelare alla «Cbs» che «abbiamo trovato un arsenale di esplosivi fatti artigianalmente» in possesso di Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev. Si tratta di bombe rudimentali inesplose rinvenute a Watertown, dopo il conflitto a fuoco di giovedì notte, e di ordigni simili lasciati dai fratelli ceceni nella casa di Norfolk Street a Cambridge. «In base alle informazioni finora raccolte credo che avessero intenzione di lanciare altri attacchi», sottolinea Davis, aggiungendo che «adesso le indagini puntano a identificare l’origine dei materiali adoperati per confezionare tali bombe rudimentali» al fine di appurare «la possibile esistenza di complici»”.

Il Fatto Quotidiano: “Prima ideona: Violante alla Giustizia”. La domenica delle salme. Editoriale di Marco Travaglio:

“Ieri, senza il Fatto (e in parte il manifesto), le edicole avrebbero potuto tranquillamente restare chiuse. Perchè ieri non sono usciti i giornali. È uscito il Giornale Unico, formula già sperimentata con successo alla nascita del governo Monti, altro Salvatore della Patria, fra l’altro molto sobrio. Anche stavolta stessi titoli, stessi commenti, stessi soffietti, stesse pompe, stessa cassa di risonanza alle parole d’ordine del Potere Unico che l’altroieri s’è trincerato dietro il suo ultimo, traballante scudo umano: Giorgio Napolitano, che tutti i quotidiani – mentre si affrettano ad assicurare che non c’è golpe, non c’è forzatura costituzionale – chiamano senz’alcuna ironia “Re Giorgio” o “Re Giorgio II” e descrivono come il capo di una Repubblica presidenziale o come il sovrano di una monarchia assoluta. L’uomo, anzi l’Uomo che oggi esporrà al Parlamento “il suo programma”, poi ci darà “il suo governo”, con i “suoi ministri”, ci farà sapere quanto intende restare in carica, e quanto durerà l’esecutivo, e cosa dovrà fare o non fare, e da chi dovrà essere composto e appoggiato, e come la stampa dovrà chiamarlo (nel primo monito del secondo settennato, il Riecco-lo ha già avvertito che non tollererà parole come “inciucio”, del che la Stampa Unica ha subito preso buona nota). E se qualche partito si azzarderà a dissentire verrà zittito con la doppia minaccia dello scioglimento delle Camere e delle sue dimissioni (anzi, della sua abdicazione). Breve viaggio nella stampa corazziera della Domenica delle Salme, primo giorno dell’anno I all’Era Napolitana”.

Il Giornale: “Sì all’accordo ma via all’Imu”. Editoriale di Alessandro Sallusti:

Con la vicenda Quirinale-Napolitano si è tornati ai tempi del discorso post terre­moto di Onna ( 25 aprile 2009) e del suc­cessivo G8 dell’Aquila. Cioè con Silvio Berlusconi e il Pdl che si prendono in spalla il Pae­se suscitando, anche attraverso una malcelata in­vidia, un consenso trasversale. In quei giorni il pre­mier raggiunse il massimo del consenso, forse troppo, visto che proprio da lì iniziò l’attacco fron­tale di magistratura e media”.

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