ROMA – “Questa volta Balotelli non ha tutti i torti…” scrive Oliviero Beha sul Fatto Quotidiano (15 ottobre) “Ebbene – scrive Beha – non gli si possono imporre carichi simbolici che non sa / vuole / riesce ad accollarsi, ma si deve pretendere semplicemente che si comporti bene, civilmente, in campo e fuori, in modo esemplare tutt’affatto diverso dai risvolti simbolici che gli si possono riconoscere indirettamente, per ciò che fa di buono”.
Ecco l’articolo:
Se invece si sente, per la sua nascita, la sua storia, la sua pelle irrimediabilmente e splendidamente nera, di parlare e muoversi contro il razzismo lo faccia perché (come per la camorra, per carità) ce n’è tanto bisogno. A partire dagli stadi di calcio, per esempio, da sempre cassa di risonanza straordinaria e oggi ancora di più pantografo di quel che accade attorno a essi, cioè ben dentro a noi individui e collettività. Come sapete è in discussione la questione della “discriminazione territoriale”, stabilita dalla Corte federale e poi rinviata a un approfondimento dopo le proteste del Milan che avrebbe dovuto giocare la prossima partita in casa a porte serrate: i tifosi erano rei di offese da “discriminazione territoriale” nell’ultimo Juve-Milan, per di più recidivi.
Gli ultras del tifo organizzato nazionale dopo la decisione e prima del rinvio di essa hanno tuonato formalmente attraverso i media contro tale presa di posizione. Rivolevano gli stadi, altrimenti sarebbe stato sciopero generale (cioè avrebbero impedito ai tifosi disorganizzati di entrare negli stadi “abilitati” perché non a rischio? Non è ben chiaro). Il mio amico Massimo Fini ha difeso qui la vitalità del tifo, che così verrebbe denaturalizzato. Il presidente della Figc, Giancarlo Abete, se l’è presa con i club che non reagiscono ai ricatti degli ultras così che un Lotito viaggia da sempre con la scorta per non aver voluto sottostare alle loro richieste. Ricordo qui che già trent’anni fa un Fraizzoli, presidente dell’Inter e non di un piccolo club ricattato dalle mafie – a proposito di legalità – si definiva “ostaggio” dei tifosi. AMMETTO che questa storia della discriminazione territoriale non mi è perspicua come forse dovrebbe essere, certamente per difetto mio. Dopo aver tollerato tutto da sempre, ignorando i rischi che gli stadi facessero da sintetizzatori del malessere sociale, quindi anche “razziale” e “territoriale”, adesso di colpo si chiude: se si insultano i napoletani, piuttosto che i milanesi o i torinesi.
Mentre, devo arguire, se in un derby poniamo i romanisti offendono i laziali (va bene un leggiadro “burini di merda”?) o i laziali etichettano volgarmente i romanisti in chiave capitolina, la discriminazione territoriale cede al melting pot regional-urbano. Insomma, forse le intenzioni sarebbero buone, ma mi paiono tardive e ardue da applicare. Anche perché è il mosaico del disagio che trova sbocco nel calcio, e quindi tappi il buco qui (ammesso che si possa) e si apre una falla là. Anche per questo come per twitter prendo il meglio della nota sentimental-emotivo-cultural-naturalistica di Fini temendo però che su questa situazione ormai degenerata sia male investita. È quasi più fattibile sospendere per due anni il campionato, se non si riesce a governarlo decentemente… Figuratevi come reagirebbero a questa idea Roma e Napoli, che si giocano venerdì la leadership (mentre in Borsa, pur in tutto questo casino e nell’opacità duplicata dal binomio tra pallone e Piazza Affari, volano inspiegabilmente i tre club quotati, Lazio, Roma e Juve) in un interesse mediatico planetario! Altro che ricominciare dall’adolescenza, dalle scuole calcio (meglio sarebbe dalle scuole e basta), da una politica degna di questo nome che abbia a cuore il futuro… Per trovare notizie buone debbo rivolgermi alla Nazionale italiana di cricket che è un crogiuolo etnico di figli di extracomunitari, da ius soli post-asiatico, e non ha neppure bisogno di un Balotelli