Orge, champagne e le attricette della Rai: vizi di Claudio Scajola secondo un latitante

di Redazione Blitz
Pubblicato il 23 Maggio 2014 - 10:41 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo del Fatto Quotidiano

L’articolo del Fatto Quotidiano

ROMA – 9 settembre 1999, Mario Ledda, ex latitante (morirà il 21 dicembre del 2001 per un tumore alla gola), condannato per violenza carnale e altri reati, scrive una lettera-memoriale indirizzata all’onorevole Claudio Scajola:

“Caro Claudio (…) Non posso disconoscere nulla: mi avete trovato e pagato la casa, sempre; mi avete fornito il telefonino in abbonamento a Nizza e sempre a nome di Roberto; mi avete finanziato in toto fino all’arresto; mi avete fatto dei grandi e numerosi inviti a pranzo e cena, anche nei miei compleanni oltre che nelle vostre normali visite a Nizza (…) Con Claudio, mi ricordo anche quel 6 gennaio ’ 98, festa italiana della Epifania, quando con l’inganno mi avete fatto salire in auto, la Bmw di Vito, con lui alla guida e tu e Pietro a bordo, per rilasciarmi, dopo le mie umili preghiere, un’ora e mezzo dopo, consegnandomi circa 22 mila franchi francesi da parte di tutti e tre, e una elegante borsetta rossa di un negozio di Roma, contente sigari toscani comprati a Montecitorio, varie agende parlamentari, la navicella e altre varie regalie, casi per tacciarmi a non parlare con estranei delle nostre complicità di rapporto. (…) Tu iniziasti contro di me a sorpresa, una gazzarra di vituperio e minacce, rimproveri e avvertimenti. (…) Mi ero già fatto un concetto dai tuoi precedenti racconti sulle orge romane fatte nella villa con piscina (…) con le “attricette” della Rai, a base di aragoste e champagne. Questa è la tua morale spudoratamente narrata. Rifletti Claudio (…) Questa mia esternazione vuole essere trasmessa lealmente a colui che aveva e ha il dovere sacrosanto di essere amico, (…) tu mi hai sempre detto: non ho mai perso un amico”.

L’indagine era partita nel 2002 a Milano con le dichiarazioni accusatorie della vedova Ledda, Maria Di Liberto, poi deceduta, e la consegna di un memoriale dell’ex latitante, morto il 21 dicembre del 2001 per un tumore alla gola. L’inchiesta è stata poi trasferita per competenza a Imperia nelle mani del procuratore Galliano poi girata alla magistratura di Imperia che non ritenne di ravvisare le prove di reati né iscrisse sul registro degli indagati Claudio Scajola e archiviò tutto.

Marco Lillo del Fatto Quotidiano ripercorre le tappe della vicenda:

Dopo la condanna definitiva nel 1998 Ledda fuggì in Francia, a suo dire aiutato da Scajola e dai suoi amici. Poi fu arrestato in Francia su denuncia dell’imprenditore Pietro Isnardi nel 1999. Dopo quell’arresto inizia una lunga serie di pressioni su Scajola. In una lettera del settembre 1999 (pubblicata sotto) Ledda chiede aiuto a Scajola dopo essere finito in carcere in Francia.

Il pregiudicato ricorda minacciosamente a Scajola il suo ruolo nell’avere favorito la sua carriera sponsorizzandolo con Berlusconi e poi richiama l’ aiuto ricevuto nella latitanza da Scajola, dallo stesso Isnardi e poi da Vito Lucia e da Roberto Mengozzi, due persone legate al ministro e a Isnardi. Il memoriale è da prendere con le molle visto che la Procura di Imperia non vi ha ravvisato reati.

Tre mesi prima di morire, Mario Ledda invia un telegramma, consegnato poi dalla vedova Ledda al pm di Milano. Zocchi ha ottenuto queste carte dell’indagine legalmente e facendone richiesta a Imperia.

Il telegramma è destinato alla moglie di Scajola. C’è scritto: “Cara Maria Teresa, sono contento per quello che leggo che anche tu diventi famosa… sulla scia di tuo marito da me portato sugli altari. A salire è facile ma è altresì rapida la discesa se si dimenticano gli antefatti alla base di un successo. Auguro lunga attività e successo rammentando a te e lui (al ministro Ndr) i tempi del felice connubio con Pietro (Isnardi Ndr); Vito (Lucia, Ndr); Mengozzi e altri, sperando con ciò che non gli sia di futuro fastidio “. Mario L”.

In pratica il condannato, rientrato in Italia e finito ai domiciliari, ricordava al ministro tramite la moglie che poteva dire i nomi di quelli che – secondo lui – lo avevano aiutato nella latitanza compiendo un reato. Un mese dopo Scajola, secondo la testimonianza della vedova Maria Di Liberto, confermata da Luciano Zocchi, interessa il suo segretario particolare per tenere buona la signora. Ma in quelle carte ricorre spesso il nome di Silvio Berlusconi. C’è un’informativa dei Carabinieri di Milano al pm Carnevali del 10 ottobre 2002 in cui si legge che Maria D Liberto in data 16 e 17 luglio 2002 aveva riferito “il nominativo della persona, ora deceduta, che aveva presentato Mario Ledda all’onorevole Silvio Berlusconi: “che era comunque una persona di fiducia del dottor Berlusconi presso la cui abitazione aveva libero accesso” ovvero tale Edoardo Teruzzi, persona che in epoca remota aveva costruito un complesso residenziale nell ’ hinterland di Milano”.

I Carabinieri in una seconda informativa della Stazione di Brugherio datata 1996 aggiungono che Teruzzi era impiegato presso la Fininvest e ‘ procacciatore di affari di Berlusconi’. Nel suo memoriale, consegnato alla vedova perché lo usasse contro Scajola per ‘ vendicarlo ’ del suo scarso aiuto, Ledda raccontava le confidenze ricevute dall’ex ministro quando erano amici perché gli era riconoscente per il ruolo giocato nel portarlo da Berlusconi. Scajola gli avrebbe riferito tra l’altro che un maresciallo in servizio al Palazzo di Giustizia di Milano si era offerto di aiutarlo ad avere notizie sulle indagini che riguardavano Berlusconi. Poteva rivelarsi molto prezioso perché vedeva le carte prima dei pm milanesi. Questa parte del memoriale che riguardava le soffiate del maresciallo sulle indagini di Berlusconi è stata stralciata nel 2002 dal magistrato della Procura di Milano che aveva in carico il caso: l’aggiunto Corrado Carnevali. Le carte quindi non sono presenti nell’archivio di Zocchi. Certamente non sarà stata trovata alcuna prova contro il carabiniere che ha continuato poi a prestare servizio per l’Arma. Il procuratore aggiunto Carnevali si era mosso con grande cautela. Allora non era filtrata nessuna notizia sull’inchiesta che sarebbe stata deflagrante per la politica nazionale: quando la vedova di Mario Ledda, dopo la sua morte, si presentata in Procura piena di risentimento e carte, Scajola è ministro dell’interno.