Padellaro (Fatto): Matteo Renzi non ha rottamato il Pd ma i suoi dirigenti”

Padellaro (Fatto): Matteo Renzi non ha rottamato il Pd ma i suoi dirigenti da..."
Antonio Padellaro: Matteo Renzi non ha rottamato il Pd ma i suoi dirigenti da Veltroni in giù

ROMA – Il Pd era in disfacimento da anni, non è stato Matteo Renzi a mettere in crisi il modello, sono stati i dirigenti Pci, Pds, Ds, Pd che lo hanno preceduto, avverte Antonio Padellaro sul Fatto. Non c’è nostalgia nel suo articolo, ma amarezza e anche un po’ di disprezzo e dileggio.

Antonio Padellaro, che prima di fondare il Fatto ha diretto l’organo dell’ex Pci, l’Unità, toglie il velo dell’ipocrisia e della polemica contingente a una realtà che può constatare direttamente chiunque passi davanti a una sezione del Pd o ha constatato chi si sia recato a votare a qualche primaria in quei locali dove era nettamente percepibile una atmosfera da maso chiuso, da entropia inesorabile.

Non ci voleva la Sibilla, scrive Antonio Padellaro, per sapere

“che gli iscritti del Pd fossero in fuga dal Pd […o] che il gruppo dirigente democratico avrebbe finito per scannarsi in preda a un’insofferenza col- lettiva quasi fisica.

Bastava andare al cinema per capire anche il perché. Il film si chiama Arance e martello, autore e protagonista Diego Bianchi, in arte Zoro, narratore embedded di quella sinistra romana che dà il cattivo esempio alla sinistra tutta.

Non racconteremola storia, ma gli epifenomeni che l’avvolgono come un sudario funebre.

La sezione di partito a conduzione familiare, desertificata e adibita a l o ca t i o n di calciobalilla e fancazzisti.

La canonica raccolta di firme per ingannareil tempo.

Pallosi dibattiti sul nulla e microscissioni caratteriali. Si votano mozioni, ma non si capisce mai chi ha vinto e chi haperso.

Renzi ancora non c’è, ma preannuncia lo spirito del nuovo tempo una ricercatrice dalle belle gambe che vuole rottamare il mercato rionale per farne un biomarket.

“Non resta più niente, i militanti se ne vanno”, osserva intristito l’ex tesoriere Ugo Sposetti che su Repubblica lamenta la fine del partito-comunità che era “come una famiglia”.

A scavare su Google, si trova che non è nemmeno questo una novità. Già nel 2013 su Repubblica Giovanna Casadio lanciava l’allarme.

Poi Sposetti, prosegue Padellaro,

presenta il conto, rivelando che il Pd sta in milleottocento circoli di proprietà dei Ds, “e non paga né Tarsu né Imu né condominio”. Fatto è che quella roba da quel dì è stata distrutta pezzo dopo pezzo con furia iconoclasta. Via le feste dell’Unità e poi via la stessa Unità, le vecchie sezioni liquidate dal partito liquido di Veltroni, mentre della dolce “famiglia”sopravvivono i parenti-serpenti dell’apparato sparsi nelle ex regioni rosse, che si spartiscono con le tessere residuali rendite di posizione e tutto il sottogoverno possibile.

La verità è che Renzi non poteva rottamare ciò che già era stato raso al suolo, ma da furbo qual è ha fatto credere il contrario, avendo bisogno di totem da abbattere mentre sgominava mummie e statue diceva (salvo poi, conle primarie, accogliere tutti sul carro del vincitore perché tutto fa brodo).

Pierluigi Bersani che piange sul “partito che muore” fa una certa tenerezza perché l’hanno capito tutti che nel Pd la minoranza cerca soltanto un compromesso onorevole e qualche candidatura alle prossime elezioni.

E che la difesa dell’art. 18è il ridotto inValtellina da cui la cosiddetta sinistra sta uscendo alla spicciolata con le mani alzate. No, nessuna nostalgia: e di cosa poi?

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