ROMA – Priorità ai tagli fiscali, risorse da tagli di spesa (5 miliardi subito) e coperture transitorie. Ecco i passaggi più importanti dell’intervista al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Scrive Fabrizio Forquet sul Sole 24 ore:
Ministro c’è già chi fa scommesse sul numero di settimane che passeranno prima che lei pronunci per la prima volta il fatidico: “Questo no, altrimenti mi dimetto”…
Voci, appunto. Guardi, glielo dico nel modo più chiaro, le barriere e le contrapposizioni all’interno delle grandi organizzazioni fanno male e farebbero molto male a questo governo. Lo so per esperienza diretta. L’Ocse è organizzato un po’ come un governo e quando sono arrivato, nel 2007, dipartimenti e segretariato generale erano compartimenti stagni. Poi abbiamo progressivamente abbattuto i muri e ora a Parigi si lavora per progetti integrati. Nel governo Renzi dobbiamo fare la stessa cosa: una strategia compatta, unica, e non pezzetti di strategie autonome.
Intanto Renzi spinge a tutta forza sui provvedimenti per la crescita: 10 miliardi di cuneo fiscale, 60 miliardi di pagamenti alle imprese, Jobs act, edilizia scolastica, credito di imposta per la ricerca. Tutte cose buone. Ma lei sa dove prendere i soldi?
Mi faccia dire prima di tutto che io condivido totalmente che la priorità assoluta di questo Paese sia la crescita. L’economia italiana ha ritrovato un percorso di sviluppo, ma la ripresa è ancora fragile e va consolidata. Per farlo abbiamo bisogno di una strategia articolata, con vari tasselli funzionali uno all’altro. Servono misure immediate e misure strutturali.
Al primo punto?
Dobbiamo aggredire le cause di fondo della debole competitività delle imprese: quindi al primo punto c’è la questione dell’eccessivo cuneo fiscale che pesa su salari e costo del lavoro. Su questo sono d’accordo tutte le raccomandazioni internazionali. Dobbiamo dare un segnale forte. E io credo, sulla base dell’esperienza, che sarebbe utile concentrare tutto l’intervento in una direzione. I casi limite sono: tutto sulle imprese, e quindi Irap e oneri sociali, oppure tutto sui lavoratori, attraverso l’Irpef. Questo è il modo per avere l’effetto più efficace dalle risorse coinvolte nell’operazione. Ci sono pro e contro in entrambi questi casi limite, che riguardano, tra l’altro, la capacità di creare nuovi posti di lavoro.
Un intervento da 10 miliardi significherebbe dare quel segnale di fiducia che Letta non è riuscito a imprimere. Ma, insisto, ci sono le risorse per farlo?
Stiamo verificando la possibile entità dell’intervento e i relativi tempi. Su questo diventa essenziale la spending review. Servono tagli strutturali perché la riduzione del cuneo è strutturale.
Quanto pensate di poter ricavare dai tagli di spesa per il 2014?
La revisione della spesa è un’operazione complessa perché per essere davvero strutturale deve comportare anche una riforma dell’amministrazione e dei meccanismi di spesa, in modo da poter risparmiare e contemporaneamente offrire un miglior servizio ai cittadini. Ci poniamo nel solco triennale del piano Cottarelli. In questo ambito credo sia possibile fare per il 2014 qualcosa in più rispetto ai tre miliardi immaginati dal precedente governo. Diciamo che 5 miliardi su base annua è una cifra non irragionevole.
Non basterebbero comunque a coprire un taglio del cuneo di 10 miliardi…
Sia il taglio del cuneo sia la revisione della spesa si articoleranno in misure che intendiamo avviare in modo simultaneo ma che produrranno i loro effetti con tempi diversi. Ci sarà una fase transitoria, in cui i risultati della revisione della spesa non saranno ancora a regime, durante la quale potremo anche utilizzare provvisoriamente per le coperture risorse una tantum o da riallocare all’interno del bilancio.
Per esempio?
Per esempio le risorse del rientro dei capitali. Una somma difficile da valutare, ma che ci sarà. Così come dobbiamo anche capire con l’Unione europea come utilizzare al meglio i fondi europei che oggi non vengono spesi. È un altro capitolo importante quando si parla di coperture.
Ma l’Unione europea è sempre stata molto restia a permettere un uso di quei fondi fuori dagli obiettivi riconosciuti.
L’obiettivo è il rafforzamento strutturale delle economie. Quindi perché non si potrebbero utilizzare quelle risorse su due capitoli oggi prioritari per quel rafforzamento: il mercato del lavoro e la capacità di competere delle imprese? È interesse dell’Europa intera, non solo dell’Italia.
L’Europa proprio oggi ha richiamato all’ordine il nuovo governo: il debito non scende, sulla competitività è stato fatto poco, gli squilibri economici sono eccessivi. Cosa dirà lunedì al suo primo Eurogruppo?
Quello che ha detto il presidente del Consiglio in Parlamento: dobbiamo abbattere il debito non perché ce lo chiede l’Europa ma per noi e soprattutto per i nostri figli. Noi siamo impegnati duramente per le riforme strutturali. E il richiamo europeo è un motivo in più per dare forza alla nostra strategia. Dopodiché il problema della crescita è sentito a livello continentale esattamente come in Italia.
Nel 2015 il deficit strutturale tornerà a crescere, chiederete più flessibilità sul 3 per cento?
Siamo da poco usciti dalla procedura di infrazione grazie al fatto che siamo scesi sotto il 3% e questo ci dà più agibilità sul deficit. Ma non possiamo permetterci di tornare sopra il 3. Sarebbe un errore. Se sapremo crescere attraverso le riforme strutturali guadagneremo automaticamente più spazio sui conti pubblici.
Sul debito pesano anche i contributi che l’Italia ha pagato ai fondi europei di salvataggio. Trasferire, come ha chiesto il Sole 24 Ore, il debito Efsf e i prestiti bilaterali tra Stati (Italia-Grecia) all’Esm potrebbe farci risparmiare, per pure questioni contabili, un bel po’ di miliardi in termini di minor debito.
È un’idea su cui possiamo lavorare. Tutto quello che può aiutare sul debito va considerato. Intanto dobbiamo proseguire e rafforzare il programma di privatizzazioni, che potrà ridurre un po’ il debito già da quest’anno.
Renzi ha annunciato che porterà il Jobs act mercoledì in Consiglio dei ministri. Si parla di un assegno universale come garanzia in caso di perdita del lavoro. Ma, anche qui, dove si trovano i soldi?
Le riforme del mercato del lavoro e degli ammortizzatori costano. Dobbiamo riconsiderare gli strumenti esistenti, utilizzando anche risorse che già vengono impiegate all’interno del sistema di welfare. C’è un lavoro di riallocazione da fare, che coinvolge anche la cassa in deroga. Eppoi mi ricollego a quanto dicevamo prima, sull’occupazione dobbiamo utilizzare meglio i fondi europei.
A proposito di coperture, si è parlato tanto di un aumento della tassazione delle rendite finanziarie. Può dirci come stanno le cose?
Su tutte le imposte, non solo sul cuneo fiscale, va fatta un’analisi accurata dei costi e dei benefici. Le rendite finanziarie sono tante cose molto diverse. Per ciascuna bisogna valutare gli effetti sul gettito, ma anche l’impatto sul reddito delle famiglie e sui mercati. Ci riserviamo un approfondimento molto serio per decidere se intervenire. Dobbiamo essere prudenti su questo.
Sempre in tema fiscale Renzi ha parlato in Parlamento della possibilità di un allargamento del credito di imposta per la ricerca e l’innovazione. È una misura attesa dalle imprese.
Sull’efficacia di questa misura c’è un mix di valutazioni a livello internazionale. Ricerca e innovazione vanno sicuramente sostenute: stiamo esplorando i veicoli più efficienti (…)
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