Pansa e Genova nella epopea di Repubblica

Pubblicato il 8 Febbraio 2013 - 09:36| Aggiornato il 9 Giugno 2022 OLTRE 6 MESI FA

GENOVA – “La Repubblica di Barbapapà“, il nuovo libro di Giampaolo Pansa, è stato letto da Stefano Rissetto, per il Corriere Mercantile di Genova, in una ottica peculiare, quella del rapporto fra Pansa Genova e i genovesi, la vita di alcuni dei quali si è intrecciata, in più occasioni, con la vita professionale di Pansa.

Genova, come scrive Rissetto, è ormai una città del profondo Sud, collocata altrove da se stessa per un refuso della geografia. Però, “proprio alcuni personaggi della nostra città”, prendono parte, da protagonisti assoluti del mondo dell’informazione,come emblemi cardinali, alla vicenda raccontata da Pansa.

Nonostante il più che condivisibile pessimismo cosmico di Rissetto su Genova, il giornale per cui scrive la recensione, il Corriere Mercantile, è in sé un piccolo fenomeno, se non miracolo, di eroismo che contrasta con il senso di mortale decadimento della città, è una sfida alla legge di gravità e a quelle della evoluzione e della editoria, ancora in piedi quando tutti gli altri quotidiani della sera sono morti da decenni, a Milano come a Roma, grazie alla tenacia, alla caparbietà, al rifiuto della sconfitta di Mimmo Angeli, un cronista di nera trasformato in presidente, figlio di un tipografo del Mercantile degli anni d’oro.

Il legame di Pansa con Genova  supera il mezzo secolo e risale alla tesi di laurea sulla guerra partigiana tra Genova e il Po. Pansa è di Casale Monferrato, appartiene alla schiera dei conterranei di Paolo Conte, che il mare non lo vedono ma lo sognano laggiù, oltre l’Appennino.

Qui entra la storia di Repubblica , il quotidiano italiano di maggiore successo nato nella seconda metà del Novecento, che

“diventa quasi un romanzo, realistico e anzi reale nei tratti, nel racconto di Giampaolo Pansa, che di quel giornale è stato una delle firme più seguite e autorevoli. Pansa ha avuto modo di intrattenere un rapporto dialettico inevitabilmente non povero di asprezze con Eugenio Scalfari, che fondò il quotidiano: legame di cui resta il tratto prevalente nel titolo di questo “La Repubblica di Barbapapà – Storia irriverente di un potere invisibile” (Rizzoli, p. 324, 19 euro), in libreria dal 13 febbraio.

“Unvolume assai poco autoreferenziale: l’autore riesce a raccontare, attraverso le vicende di un quotidiano delineate secondo il rapporto con la sua figura imprescindibile, quel che è stata l’Italia degli ultimi quarant’anni”.

Qui Rissetto elenca alcuni dei genovesi entrati nel racconto di Pansa, dei quali

“primo in ordine non solo cronologico è Piero Ottone, classe 1924, direttore dal 1972 al 1977 del Corriere della Sera, di cui Pansa era una delle firme di punta, dopo essere passato anche al Messaggero, lasciato dopo un conflitto interno di cui aveva dato conto, sul Mondo, un genovese d’adozione come Cesare Lanza, destinato a una grande carriera di direttore poi lasciata per entrare da sulfureo battitore libero nel mondo della tv, come autore e opinionista”.

Pansa usò il legame con Ottone per dire di no alla prima offerta di Scalfari di passare a Repubblica. In quel periodo Pansa non condivideva le posizioni di Scalfari e dellìEspresso

“sul terrorismo a Milano nei primi anni Settanta e sull’assassinio del commissario Luigi Calabresi perpetrato – come molti anni dopo la magistratura avrebbe accertato – da parte di un commando di militanti di estrema sinistra”.

Mise davanti Ottone: «Ho un patto di lealtà con Piero. Gli ho promesso che resterò con lui al Corriere .  Me ne andrò solo quando lui si dimetterà».

Racconta Rissetto:

“Dove non riuscì Scalfari in persona, avrebbe però fatto centro Carlo Caracciolo, l’editore, sottolineando come la Repubblica non avrebbe potuto fare a meno di Pansa e viceversa. Da allora, per quasi trent’anni, Pansa è stato “la” firma di Repubblica e la vicenda del quotidiano si intreccia conla sua storia personale, fatalmente ricca di riferimenti a figure a noi note: nella descrizione della corte che animava il quartier generale craxiano del Raphael, poco meno di due righe sono dedicate a un personaggio che avrebbe potuto diventare uno dei più importanti nello scenario politico nazionale, anzi lo era già diventato [Antonio Canepa]: “Il giovane deputato socialista che si drogava e senza la seduzione del buio, Canepa avrebbe svolto un ruolo di marcata potenza in città come nel Paese”.

“Le descrizioni di Pansa sono sempre laconiche quanto icastiche, secche e perfette: si vedano le righe dedicate a un protagonista della vita culturale e scientifica della nostra città come Giuliano Vassalli, tra i massimi giuristi italiani del secolo scorso, per anni ordinario in via Balbi di diritto e procedura penale: «Grigio di pelle, grigio di capelli, grigio di vestiti, autorevole fin dalla nascita». Pansa è stato uno dei grandi narratori del dramma del terrorismo e quindi tocca a lui, tra gli altri servizi, raccontare il ferimento di Carlo Castellano e intervistare il dirigente industriale genovese che gli dirà: «Ricordo gli occhi di quel giovane che mi sparava mentre ero a terra. Occhi carichi di tanto odio, come se io fossi una preda a cui far male e che non meritava alcuna pietà. Era poco più che un ragazzo, ma nel suo sguardo ho visto una cosa sola: la volontà di annientarmi».

“Il successo della Repubblica, come Pansa non manca di riconoscere, è in gran parte fondato sul talento del genovese Marco Benedetto, nato giornalista e divenuto amministratore delegato del gruppo editoriale l’Espresso. L’autore così lo tratteggia: «Un mastino, ma non solo. Un manager molto accorto, un capo azienda insuperabile, la roccia del gruppo. Aveva ben chiara in mente una verità che provo a riassumere così: se un giornale è monocorde e canta sempre una sola canzone senza cambiarla mai o accompagnarla a un motivo diverso, non può avere una gran fortuna. Le forti tirature si reggono su un complesso di lettori molto diversificato. Un direttore non deve pensare solo alla maggioranza dei suoi clienti,ma anche alle minoranze». Perciò in molti avevano visto la mano di Benedetto, quando in piena bufera per il”revisionismo” de Il sangue dei vinti , Pansa dieci anni fa tornò dal settimanale l’Espresso a scrivere per Repubblica . Durò poco. Il perché è il finale del libro”.