ROMA – Paolo Emilio Signorini ammette che avere consentito che il patron del Mose, Giovanni Mazzacurati, gli pagasse una vacanza in Toscana, fu un errore ma per il resto proclama la propria probità e indipendenza da ogni lobby. Intervistato da Claudio Gatti, penna di diamante del Sole 24 Ore e uno dei pochi esemplari del giornalismo d’inchiesta, Paolo Emilio Signorini non spiega, né Gatti insiste a chiedere, come fece Giovanni Mazzacurati a sapere della vacanza e il nome dell’albergo né perché telefonò a Mazzacurati per ringraziarlo invece di maltrattarlo.
Quello di Incalza ci è stato presentato come un sistema di potere. E sia i media sia i magistrati di Firenze fanno di lei un tassello importante di quel sistema – un uomo di Incalza. Come risponde?
Premesso che è costume dei funzionari pubblici esternare poco, e questo motiva il riserbo da me finora avuto, la prima considerazione da fare è quella di capire come si arriva in certe posizioni apicali. È chiaro che se tu arrivi per cooptazione, il sospetto di essere uomo di qualcuno è più forte. Io invece ci sono arrivato sgobbando, lavorando per ministri, governatori, presidenti del consiglio. Vengo da Yale, da Banca d’Italia e ho servito al ministero dell’economia e a Palazzo Chigi… Detto questo, l’ordinanza di Firenze è di 268 pagine – ci sono decine di nomi, telefonate, affari, cene, c’è un mondo – ma io praticamente non compaio.
Veramente in quelle pagine i magistrati dicono che Incalza avrebbe fatto in modo che la Struttura tecnica di missione fosse salvata e che lei ne fosse nominato capo. E parlano di «influenza» di Incalza su di lei.
Smentisco seccamente. E le chiedo: non le sembra strano che in un documento di quasi 270 pagine, io come uomo di Incalza non compaia? Negli unici casi citati, io risulto non essere allineato. Io sono tranquillissimo. Non so chi sia questa gente qua. Non li ho mai frequentati. Nessuno di questi. E in tutti gli atti che ho visto non vedo un solo atto da cui si vedrebbe un rapporto di asservimento a Incalza. E poi perché mai dovrei essere asservito a Incalza?
Perché, secondo i magistrati, era il deus ex machina delle grande opere.
Io so solo che in tutte quelle pagine non trovo niente che giustifichi quella conclusione.
Non è solo un discorso di corruzione e reati, c’è anche un discorso di etica e di comportamenti.
Condivido totalmente. E penso che questa inchiesta sia un vulnus pazzesco. Proprio da quel punto di vista lì. Io mi ritengo totalmente estraneo a questo, ma penso che, prescindendo dai risultati giudiziari del processo, l’inchiesta abbia messo in mostra una contiguità tra politica e affari del tutto incompatibile con una sana amministrazione.
Ma se dei magistrati che sembrano aver fatto un lavoro meticoloso la ritengono «uomo di Incalza», forse è perché lei aveva in passato prestato il fianco a questa interpretazione. Mi riferisco al suo rapporto con l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, emerso dall’indagine sul Mose. Lì viene dipinto come uomo di Mazzacurati.
I magistrati di Venezia non hanno neppure ritenuto di dovermi sentire. E in quell’inchiesta non risulto mai oggetto di indagine o di reato. L’unico episodio che viene citato è una fesseria.
Perché una fesseria? Si parla di una vacanza in Toscana fatta con sua moglie e pagata da Mazzacurati che il Gip ha definito un «presente» del presidente del Mose.
Io sono stato due notti in Toscana e quando sono andato a pagare mi hanno detto che aveva “fatto” l’ingegnere. Io ho richiamato Mazzacurati dicendogli che la cosa andava sistemata. Ma poi, alla fine, ha pagato lui. Sicuramente, ex post, è stato un errore. Ma si può qualificare questo come indizio di asservimento in 20 anni in cui ha gestito centinaia di opere pubbliche?
Io faccio riferimento alla premessa che lei mi ha detto di condividere – e cioè ai comportamenti e della percezione di conflitto di interesse.
Ma lei lo sa quante prebende legittime può avere un funzionario pubblico? Qui al ministero e nella pubblica amministrazione io avrei potuto avere negli anni incarichi nelle commissioni di gara, consigli retribuiti, collaudi di opere. Invece non ho mai preso un euro. Anche se sarebbe stato legittimo. Ma se parliamo di contiguità, di asservimento… sa quanto sono pagati i collaudatori del Mose? Trecentomila euro, quattrocentomila euro. Ed è legittimo! Per tutto questo, dico che l’asservimento nei fatti non c’è stato… Vuole che i magistrati non mi abbiano controllato? Io ho uno stipendio, un mutuo e una casa. Finito. Così da 20 anni (…).
Resta il fatto che Incalza ha sponsorizzato lei per il posto che lui si prestava a lasciare.
Se lei avesse la possibilità di sentire tutte le telefonate che stanno avvenendo in questo momento nei ministeri romani, lei sentirebbe mille, duemila persone che sponsorizzano altre 10mila persone… Ma non voglio eludere la domanda. Se mi chiede perché Incalza dice che è bene che rimanga Signorini? Perché Incalza sa che, quando vado a fare il capo della Struttura di missione, non mi metto a perseguitare, a cercare colpevoli o a indagare a destra e manca. Faccio il capo, la cambio, la rinnovo – come sto facendo.
E il rinnovamento è quello che interessava a Incalza? Non è l’immagine che emerge dall’inchiesta.
Quello che dico è che i magistrati prendono un’intercettazione in cui si dice «rimanga lui». Ma qui a Roma in questo secondo ci sono 2.000 persone che stanno facendo la stessa cosa su 2.500 nomi. L’altra cosa è che Incalza facendo il mio nome, fa il nome di uno persona che non è uno sfascista. Questa per me è l’unica interpretazione possibile. Anche perché negli atti dell’indagine non c’è niente che giustifichi altre spiegazioni.
Quindi lei, nella vita professionale, pensa di aver fatto un solo errore di cui si pente, quella vacanza pagata da Mazzacurati?
Quello è stato sicuramente un errore. Ma, come ho detto, penso che conti molto di più l’onestà sulle cose vere: gli incarichi, i collaudi, i doppi stipendi. Penso che per valutare l’onestà di un funzionario pubblico conti quello.
Non ha risposto: quella vacanza è l’unico errore che pensa di aver fatto?
Sì, assolutamente sì. Ma vorrei aggiungere una cosa: con inchieste che partono da un dato evidente di qualcosa che non funziona a livello di sistema, come questa, si creano situazioni indistinte. Per cui sui giornali c’è Incalza, c’è Signorini, come se fosse tutta una stessa parrocchia (…).