ROMA – Abbiamo il sì dell’Europa alla spedizione navale ma anche il no di alcuni Paesi al sistema di quote obbligatorie dei richiedenti asilo. Un bilancio da titolare degli Esteri? “Positivo – dice, intervistato da Repubblica, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni – per le decisioni prese. È stata formalmente istituita in tempi molto rapidi, non “bruxellesi”, la missione sollecitata dal premier Renzi e decisa dal Consiglio europeo del 23 aprile. Comando affidato all’Italia, base a Roma. Certo, alcune dichiarazioni pubbliche sulle quote sono meno rassicuranti. Ma la decisione sarà presa il 15 giugno nel Consiglio dei ministri dell’Interni”.
Quali saranno le tappe della missione europea?
«La prima fase, pianificazione e raccolta delle informazioni d’intelligence sul terreno, è appena partita con l’incontro a Bruxelles dei capi di stato maggiore: ogni Paese discuterà col comando italiano quali “asset” metterà a disposizione. Quindi sarà il Consiglio europeo a decidere il passaggio alle ulteriori fasi il cui obiettivo è “identificare, catturare e distruggere le imbarcazioni prima che siano utilizzate dai migranti”. Pur non essendoci dipendenza diretta, la missione europea terrà poi conto dell’eventuale risoluzione Onu».
Il testo potrebbe non essere quello di cui c’è bisogno…
«La sostanza è che il testo preparato dall’Italia e presentato dalla Gran Bretagna, sul quale c’è consenso dei Paesi europei del Consiglio di sicurezza, un dialogo molto avanzato con gli Stati Uniti e uno appena avviato con Russia e Cina, si basa sul capitolo 7 della Carta dell’Onu e prevede l’uso della forza. I punti delicati sono due: il primo è il riferimento alle azioni militari che non prelude, non nasconde e non implica l’intenzione di compiere interventi militari in Libia, che alcuni membri permanenti del CdS non accetterebbero e nessuno ha in mente di fare, ma esclusivamente azioni mirate di forza nei confronti delle imbarcazioni prima che vengano usate dai migranti. Il secondo punto è che si sta lavorando per concordare i termini di una richiesta delle autorità libiche, a partire da quelle di Tobruk riconosciute a livello internazionale».
La Francia è responsabile della destabilizzazione del Nord Africa, avendo spinto per la guerra a Gheddafi. Ora si sfila dal sistema delle quote. Deluso?
«Io mi auguro che il risveglio della coscienza europea dopo la tragedia d’inizio aprile non si riveli effimero. Noi faremo la nostra parte con forza e con tranquillità. Nelle settimane scorse c’è stata l’adozione di un principio di solidarietà, speriamo che non sia stato un fuoco di paglia sommerso da un mare di egoismi».
In compenso abbiamo il sostegno della Germania…
«La collaborazione con la Germania è esemplare, non solo sui richiedenti asilo ma anche su progetti comuni di cooperazione in paesi d’origine dei flussi migratori, in particolare nel Corno d’Africa da dove è arrivato il 37,5% dei migranti sulle nostre coste. Non si può eliminare il fenomeno migratorio con la bacchetta magica: bisogna condividere l’accoglienza, le operazioni di ricerca e salvataggio in mare, quelle di forza contro le imbarcazioni dei trafficanti, e gli interventi nei paesi di origine».
L’Isis ha conquistato Ramadi, in Iraq. Abbiamo fatto abbastanza per difenderla?
«Ramadi ci ricorda che nonostante i successi ottenuti anche in Iraq, la sfida è tutt’altro che vinta. Siamo riusciti a togliere a Daesh il 30% del territorio che controllava un anno fa. Ma la conquista di Ramadi dopo 18 mesi d’assedio, anche per il mix di azioni terroristiche e militari con cui è avvenuta, avrà ricadute propagandistiche importanti. Dobbiamo mostrare alle forze regolari irachene la vicinanza della coalizione anti-Daesh. La risposta non può essere affidata solo alle milizie sciite. Il loro contributo è utile, ma resta fondamentale quello delle forze regolari irachene e della comunità sunnita, che non possiamo regalare ai terroristi. La coalizione, che si riunirà nelle prossime settimane a Parigi, deve continuare il proprio impegno anche con azioni che dimostrino la capacità di colpire sul terreno come quella in cui è morto Abu Sayyaf (“ministro del Petrolio” dell’Isis, ndr). Non vanno alimentate illusioni o sottovalutazioni dell’avversario».
Come giudica la nuova politica estera di Papa Francesco?
«Dal Papa sono venuti messaggi e contributi straordinari ad affrontare alcune crisi come quella storica tra Washington e l’Avana. È un profilo sempre più globale quello che un Papa venuto da molto lontano sta dando alla Chiesa di Roma».