Paolo Virzì, Andrea Vitali: “In Brianza siamo talmente avari che ci impicchiamo per i nostri operai”

La prima pagina di Libero
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ROMA – “Soldi pubblici al film che insulta chi lavora” scrive Maurizio Belpietro su Libero: “Il regista Virzì, con la grancassa di Repubblica, attacca la Brianza gelida, ostile e minacciosa. Ma da lì viene gran parte del cospicuo finanziamento che ha avuto”.

L’editoriale di Belpietro:

Che ai nostri intellettuali o aspiranti tali facciano schifo i ricchi non è una novità. Giornalisti, scrittori e attori in cerca di ruolo sono uniti da un insano ribrezzo e da un manifesto complesso di superiorità per chi ha fatto fortuna. Un disprezzo che non hanno nei confronti dei ricchissimi: quelli no, quelli sono adorabili, soprattutto se si chiamano Agnelli o De Benedetti. I ricchissimi, se progressisti, un po’ verdi e attenti a invitare bene nelle loro ville o sui loro yacht o semplicemente a casa loro per sentire cos’ha da dire l’intellettuale di sinistra, i ricchissimi – dicevamo – sono glamour. No, a essere detestati, insultati, sbeffeggiati e derisi sono i ricchi, quelli che hanno da poco messo fuori la testa dalla “mediocrità”del cetomedio, quelli che inseguono il sogno di avere una villa con un bel parco, la piscina riscaldata, il Suv parcheggiato, la moglie carina. Quanto sono cafoni questi ricchi. Quanto è volgare la loro voglia di emergere e di avere successo. E quanto sono pieni di luoghi comuni i nostri presunti intellettuali. Sono talmente gonfi di conformismo e di indignazione che se non trattengono il fiato rischiano di scoppiare. Ne sono prova gli articoli usciti in questi giorni sull’ultimo film di Paolo Virzì.

Marchette pubblicitarie che l’intellettuale di complemento non nega mai al regista del momento. I migliori esempi di queste recensioni-adulazioni si sono potuti leggere sulle pagine di Repubblica, a firma di Natalia Aspesi e Concita De Gregorio, due indignate speciali che non perdono occasione per recitare la parte della cronista snob dal naso perennemente arricciato. Comincia la prima, che anche per età dà prova di una certa esperienza. Il film di Virzì è un libero adattamento dell’opera di uno scrittore americano e la cronista chiede al regista perché ambientare la storia in Brianza, forse – suggerisce – perché la pensa più “americana”, più rapace, più spietata? Risposta dell’artista: «Cercavo un’atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso». Capito? Noi pensavamo che la Brianza fosse un distretto da prendere a esempio per l’impegno, la voglia di fare, la capacità di creare mobili e oggetti noti in tutto il mondo. E invece ci sbagliavamo perché la Brianza è gretta, non ha il «senso di responsabilità verso il loro Paese che gli americani hanno ereditato dai loro padri fondatori». La nostra borghesia, spiega Virzì intervistato da una giornalista che tra una sfilata di moda e l’altra denuncia l’ingordigia di denaro e potere, ha «pochissimo senso civico«, è «molto egoista e carente verso il bisogno degli altri». Colpa, ovviamente, di Berlusconi, che avendo ville in Brianza, non può che essere il responsabile numero uno della volgarità e dello spreco, oltre che dell’alta densità di truffatori. Non è da meno Concita, che il giorno dopo l’intervista a tutta pagina, rispiega a tutta pagina il viaggio del regista nella terra dei ricchi. La maestrina dalla penna rossa che un tempo dirigeva l’Unità racconta che Virzì ha messo «in valigia i suoi attrezzi di sarto di storie» insieme con «le stoffe pesanti per il freddo che c’è dentro casa e anche fuori, su al Nord, le sete per le sere di festa, le lamette per la disperazione, l’al – col per non pensarci». Perché su al Nord ci sono i ghiacciai dei sentimenti e ogni casa è una Siberia di angosce da cui la gente fugge con la bottiglia in mano o tagliandosi le vene. La miseria morale, il degrado di un Paese, l’imbar – barimento di una comunità sono tutti concentrati lì, in Brianza, tra «villette pretenziose dove si celano illusioni e delusioni sociali e quello dei grandi spazi attorno a ville sontuose da cancelli invalicabili». I capannoni industriali, i grandi centri commerciali, le luccicanti vetrine dei negozi sono tutta una finzione dietro cui si nasconde una borghesia avida e corrotta.

Peccato che da quella Brianza tanto disprezzata e criticata vengano gran parte delle tasse con cui lo Stato finanzia film come quelli di Virzì, al quale sono andati 700mila euro. Già, perché intellettuali, artisti e registi quando devono comporre un’opera battono cassa e si rivolgono al ministero e il ministero apre il portafogli finanziando generosamente anche i film che nessuno vuole vedere. Anzi, per incentivare la visione della pellicola la mano pubblica addirittura è prodiga di sgravi fiscali verso le sale cinematografiche che tengono più a lungo in cartellone lo spettacolo. Gli spettatori sono pochi? Non importa: un’opera di alto valore artistico va sostenuta anche se il popolo è ignorante, anche se il popolo si annoia a vedere la «boiata pazzesca». Un tempo gli intellettuali discutevano della banalità del male. Purtroppo adesso ci sarebbe da discutere della banalità dell’intellettuale.

L’intervista allo scrittore comasco Andrea Vitali:

«Mi ha colpito quel che ha scritto la De Gregorio a proposito della partenza di Virzì che si prepara al freddo di queste parti…». Scrive che Virzì «ha messo in valigia (…) le stoffe pesanti per il freddo che c’è dentro casa e anche fuori, su al Nord, le sete per le sere di festa, le lamette per la disperazione, l’alcol per non pensarci, uno zainetto e una tuta per scappare, caso mai».

«Sembra che stia andando in Siberia. Dice che siamo freddi, ma ricordo che qui è ambientata la grande storia d’amore di Renzo e Lucia. Qui ai funerali si piange poco, è vero, ma il dolore lo proviamo anche noi. Abbiamo il nostro pudore, diciamo “ti amo”al – lenostre donne,ma inprivato. Enessuno deve pretendere di snaturarci. Quanto all’alcol e allo zaino per partire… Mi sembrano cose un po’ fan – tozziane, non mi pare che in Brianza ci siano tutti questi pericoli. In quello che dicono Virzì e la De Gregorio c’è un sottofondo di meraviglia che mi ha stupito. Parlano di villette e di muri che le circondano. Ma da dove vengono questi? Hanno presente Roma?».

Sembra una rappresentazione un po’ stereotipata del Nord.

«Queste menti illuminate predicano da annil’integrazione fra Norde Sud. Spesso noi del Nord riportiamo dei pregiudizi sul Sud. Per questo io ho sempre ripetuto che amo il Sud, la sua cultura e gli scrittori che ha prodotto. Ma questi signori non fanno altro che alimentare lo stereotipo. Io da queste parti non vedo avvoltoi che vivono della morte altrui».

La De Gregorio descrive la terra di quelli che «hanno scommesso sulla rovina del nostro Paese, e hanno vinto». Quelli che «calcolano con un algoritmo quanto costa la tua morte».

«In Brianza impera la religionedel lavoro, a scapito del divertimento e talvolta degli affetti. Ma grazie a Dio che esiste. Attorno a me non ho mai visto gente che fa calcoli sulla morte altrui. Il brianzolo non è così. Piuttosto è uno che si ammazza di lavoro, ma non se ne approfitta. È geloso della sua ricchezza, ma non invidioso di quella altrui. Semmai ci sono imprenditori che si impiccano perché non possono più vivere la loro vita di lavoro e non possono più farla vivere ai loro dipendenti. E poi una visione isterica della Brianza l’ha già prodotta, e molto meglio, Antonio Albanese con il suo Perego».

La sensazione è che sul film di Virzì e sulle recensioni lette finora aleggi un antico pregiudizio antiborghese…

«Da che pulpito! Evviva la borghesia che lavora, risparmia ed è generosa con gli altri, magari senza farsi troppa pubblicità. Se lo mettano in saccoccia, il loro pregiudizio antiborghese. Non abbiamo bisogno di sermoni di questo tipo. A me sembra abbiano visto solo quel che volevano vedere. Quando vorranno fare un salto al Teatro Sociale di Como, li accompagno io».

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