Il Corriere della Sera: “Francesco e due uomini coraggiosi”. Un momento di verità. Editoriale di Danilo Taino:
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L’Europa è ancora in grado di stupire in positivo. Alla vigilia delle elezioni di maggio, è curioso che si tenda a non riconoscere che il suo tessuto democratico ha tenuto, nonostante i colpi drammatici portati da cinque anni di Grande Crisi. È vero che i partiti anti euro e anti Ue guadagneranno consensi: tra il 15 e il 25 per cento di chi voterà potrebbe sostenerli, dicono i sondaggi. Significa però che almeno tre quarti di chi andrà alle urne continua a voler restare nel solco dell’Europa. E anche chi le voterà contro lo farà spesso su posizioni di protesta ma non necessariamente di chiusura nazionalista. Niente di paragonabile alle depressioni economiche del secolo scorso che portarono al potere i fascismi e gonfiarono il nazionalismo armato. Ciò nonostante, i partiti tradizionali — popolari, socialisti, liberali — non possono pensare che nel Vecchio Continente non sia urgente un momento di verità.
I cittadini europei sanno che uno dei grandi moltiplicatori della crisi scoppiata nel 2008, probabilmente il più rilevante, è stato l’euro, moneta unica costruita su basi politiche poco solide, in modo affrettato, con un’architettura fragile e monca che alla prime vere turbolenze di mercato ha vacillato paurosamente. Se le istituzioni e i partiti che delle scelte di oltre quindici anni fa sono responsabili non chiariranno gli errori fatti, soprattutto la poca trasparenza e la mancanza di coinvolgimento democratico che portarono alla nascita dell’euro, nessuno crederà che quegli errori possano essere corretti.
Il Colle e l’emergenza carceri: misure urgenti per i detenuti. Articolo di Alessandro Arachi:
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ha usato mezze parole: «A distanza di oltre sei mesi dal messaggio da me rivolto al Parlamento sull’emergenza carceri è ora di fare il punto sulle misure adottate e da adottare, anche in ossequio alla nota sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo».
Persino in piazza San Pietro, dopo la santificazione dei due Papi, il capo dello Stato ieri mattina ha voluto approfittare della vicinanza con papa Francesco per tornare sul dramma delle carceri del nostro Paese. Lo ha fatto rivolgendosi al Papa direttamente in piazza San Pietro e prendendo spunto dalla vicenda del malore al leader radicale Marco Pannella.
Ha spiegato infatti in una nota il presidente Napolitano: «Nel salutare il Pontefice a conclusione della storica cerimonia in piazza San Pietro ho voluto ringraziarlo per il generoso gesto della sua telefonata di qualche giorno fa a Marco Pannella che si espone a un grave rischio per la sua salute per perorare la causa delle migliaia di detenuti ristretti in condizioni disumane in carceri sovraffollate e inidonee».
Il punto adesso per l’Italia è l’imminenza della sentenza della Corte europea. Scadrà infatti fra un mese esatto (il 28 maggio prossimo) l’ultimatum lanciato all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Siamo già stati sanzionati dalla Corte, l’8 gennaio del 2013, per via delle nostre carceri troppo affollate e disumane: la famosa sentenza Torreggiani, con la quale Strasburgo ha accolto il ricorso di sette detenuti giudicando le loro condizioni una violazione degli standard minimi di vivibilità. Abbiamo pagato 100 mila euro per ognuno di quei detenuti. Ma non solo: la Corte è entrata nel merito e ha denunciato che il sovraffollamento delle prigioni del nostro Paese ha carattere strutturale e sistemico. Non hanno avuto dubbi a Strasburgo: «Il sovraffollamento deriva da un malfunzionamento cronico del nostro sistema penitenziario». La Corte europea aveva verificato che nelle nostre prigioni i detenuti non avevano nemmeno tre metri quadrati di spazio a disposizione per ciascuno.
I giovani tentati da Grillo e il fronte degli anziani Strategie parallele in tv. Scrive Tommaso Labate:
L’uno se la gioca sul concetto di «velocità». L’altro sull’idea di «umanità». Il trentanovenne presidente del Consiglio punta a non concedere l’elettorato degli under 25 al M5S. Il settantasettenne che l’ha più volte preceduto a Palazzo Chigi sogna di accaparrarsi quella fetta consistente di elettori «over 65» che oggi stabiliscono la linea di confine fra il tracollo di Forza Italia e la sua possibile risalita. Entrambi attaccano Beppe Grillo, ovviamente con i rispettivi distinguo, il primo dicendo che «è l’altra faccia della medaglia di Berlusconi», il secondo derubricandolo a «sfasciacarrozze». E implicitamente, nelle ultime ventiquattr’ore, entrambi riconoscono imperitura verità alla famosa frase di un loro avversario comune, Massimo D’Alema, che per classificare l’«azienda Mediaset» una volta usò la formula «patrimonio culturale del Paese».
Perché Matteo Renzi e Silvio Berlusconi — il primo in trasferta, il secondo «tra le mura amiche» — se la giocano proprio a Mediaset la loro prima, vera, sfida catodica a distanza delle elezioni Europee del 2014. Una sfida lunga una settimana, come quelle partite sospese per pioggia che poi vengono riprese dopo qualche tempo. Il primo tornerà oggi da Maria De Filippi, negli studi di «Amici», dove l’anno scorso un’apparizione col giubbino di pelle gli valse il riconoscimento di una somiglianza col Fonzie di Happy Days e – di conseguenza – anche il soprannome «Renzie». Ma sarà una registrazione che, per l’appunto, verrà trasmessa solo sabato prossimo. L’ex Cavaliere, invece, s’è abbandonato ieri pomeriggio al divanetto di Barbara D’Urso, a «Domenica Live». Dove proprio la D’Urso, guarda caso, ha fissato nel preambolo di una domanda quello che adesso rappresenta il target elettorale dell’ultima Forza Italia. «Presidente, ci sono anziani che hanno cagnolini e gattini, e che proprio a causa della pensione bassa…». La naturale e fisiologica continuazione della frase era in tre parole, «non possono mantenerli». Ma a questo, elaborando la promessa di un welfare gerontocentrico-animalista, fatto di canili aboliti e di pensioni minime di 800 euro, ci avrebbe pensato l’ex premier, a rispondere.
Senato, il compromesso possibile: elezione indiretta e meno sindaci. Articolo di Monica Guerzoni:
I tempi delle riforme si allungano. Ma dopo settimane di braccio di ferro, con i partiti e dentro il Pd, a Palazzo Chigi si sono convinti che un primo compromesso sul Senato delle autonomie sia a portata di mano. La moral suasion del capo dello Stato sembra aver placato gli animi dei senatori e convinto anche i renziani che il prendere-o-lasciare sia un metodo rischioso quando di mezzo c’è la Costituzione. A parole i fedelissimi del segretario mantengono il punto e insistono nel dire che sul passaggio più controverso — la non elettività dei futuri senatori — il governo non cambia idea. Ma intanto, dietro le quinte, si tratta.
Il ministro Maria Elena Boschi e il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, hanno tenuto anche ieri i contatti con Denis Verdini e Paolo Romani per rabbonire Forza Italia e smussare alcuni spigoli del testo che non convincono Berlusconi. Lo scoglio più alto, però, resta l’ala «dissidente» del Pd e sul fronte interno oggi si muoverà Matteo Renzi: vedrà la presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, parlerà con il capogruppo Luigi Zanda e, domani alle 9, affronterà i senatori. Non sarà una riunione al buio, perché il leader da giorni lavora a una possibile soluzione. Intervistato da Lucia Annunziata a In mezz’ora Renzi ha aperto uno spiraglio alle istanze della minoranza del Pd: «Oggi la linea di fondo è che i consiglieri individuano al proprio interno quale consigliere regionale va al Senato, questo può essere un punto di mediazione».
La relatrice Finocchiaro sta lavorando al testo base che sarà incardinato mercoledì a Palazzo Madama in tandem con il relatore di minoranza, Roberto Calderoli. E dai partiti trapela che i quattro pilastri di Renzi — i senatori non votano la fiducia, non percepiscono indennità, non votano leggi di bilancio e non vengono eletti dai cittadini — restano saldi. L’ultimo punto è il più delicato. Poiché in commissione si è saldato un fronte favorevole al disegno di legge di Vannino Chiti, che prevede l’elezione diretta, Renzi deve trovare un punto d’incontro per scongiurare che in Aula si scateni la battaglia degli emendamenti. Gaetano Quagliariello (Ncd) ritiene «una cosa di buon senso» l’apertura di Renzi alle proposte di Calderoli e del lettiano Francesco Russo sull’elettività e la spiega così: «Quando si eleggono i consigli regionali, alcuni consiglieri vengono designati come senatori e poi sarà il Consiglio a scegliere, tra i designati, chi dovrà andare a Palazzo Madama». Una via di mezzo tra elezione diretta ed elezione di secondo grado, che (nelle interpretazioni più spinte) prevede appositi listini collegati ai consigli regionali.
La prima pagina de La Repubblica: “Renzi, ecco il nuovo patto sul Senato”.
La Stampa: “Bollette, è ora di tagliare. Pressing sul governo”.
Il Giornale: “Le vergogne di Scalfari”. Editoriale di Alessandro Sallusti:
Eugenio Scalfari, fondatore di La Repubblica , nei giorni scorsi ha festeggiato il novantesimo compleanno, una età alla quale a un uomo è quasi tutto permesso. Ma è anche una età nella quale la memoria tradisce. Se alla carenza di fosforo si aggiunge poi una cronica overdose di malafede, ecco che il pensiero diventa falso e l’uomo ridicolo. Ieri, sul suo giornale, Scalfari ha scritto «di provare vergogna per il mio Paese e per me che ne faccio parte » per la mitezza con cui è stata applicata la condanna di un anno per una presunta evasione fiscale a Silvio Berlusconi: «È grave – , scrive Scalfari – che l’uomo possa andare in televisione, alla radio o in qualunque altro luogo a occuparsi di politica in piena libertà».
Detto che Berlusconi, primo contribuente italiano, si è sempre proclamato innocente. Detto che il processo in questione, e tutto ciò che ne è seguito, è un concentrato di anomalie, forzature e illegalità. E detto che la legge prevede che qualunque condannato ai servizi sociali può tranquillamente continuare a svolgere il proprio lavoro ( quello di Berlusconi è appunto fare politica), vorrei rinfrescare la mente a Scalfari su tre questioni. La prima: provo vergogna per il mio Paese e per me che ne faccio parte che Scalfari non abbia mai pagato dazio per essere stato tra i primi firmatari del manifesto-condanna a morte che ha portato all’assassinio del commissario Calabresi. La seconda: provo vergogna per il mio Paese e per me che ne faccio parte che il condannato Eugenio Scalfari (15 mesi di prigione erogati nel 1968 per i falsi dell’inchiesta su un falso tentativo di colpo di Stato) per evitare il gabbio elemosinò alla casta della politica l’immunità parlamentare facendosi eleggere alla Camera nelle liste del Psi (a quei tempi funzionava così, caro il mio direttore).
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