Patrimoniale? Già Imu, troppe tasse. Contro Monti e Bersani, Alesina & Giavazzi

Mario Monti e Pier Luigi Bersani (Foto LaPresse)

ROMA – Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (professore, critico e consulente di Mario Monti) affrontano nell’ultimo numero del 2012 del Corriere della Sera un tema che sarà cruciale nella campagna elettorale 2013: la patrimoniale che, titola il Corriere, è “nelle urne”.

Ne esce una stroncatura delle ipotesi in discussione e di quello che in materia fiscale è contenuto nelle agende Bersani e Monti. Berlusconi non viene nemmeno nominato, visto il gap tra sue promesse non mantenute e comportamenti effettivi che ne hanno ridotto a zero la credibilità.

La conclusione di Alesina e Giavazzi è radicale e all’opposto di quanto indicano le varie agende:

La campagna elettorale sembra concentrarsi su quale sia il modo migliore per tassare gli italiani.

Invece si dovrebbe discutere di come riformare lo Stato, in modo che esso non pesi per la metà del Pil, con effetti fra l’altro molto deludenti sulla redistribuzione del reddito a favore dei meno abbienti.

Pierluigi Bersani dovrebbe dire in modo chiaro quale è il livello di spesa pubblica che ritiene compatibile con una ripresa della crescita;

la agenda Monti avrebbe dovuto indicare un obiettivo per la riduzione del rapporto fra spesa pubblica e Pil da attuarsi nell’arco della prossima legislatura.

Invece zero assoluto. A sostegno di questa tesi, Alesina e Giavazzi scrivono:

“Vi è molta confusione, e preoccupazione, sull’ipotesi che il prossimo governo possa introdurre una imposta patrimoniale. Sarebbe importante che chi si appresta a chiedere il voto ai cittadini spieghi [o spiegasse?] con precisione se, come, e in quale misura intende tassare la ricchezza delle famiglie. La agenda Monti fa genericamente riferimento all’opportunità di «trasferire il carico fiscale sui grandi patrimoni »”.

Segue l’elenco delle forme di patrimoniale possibili. Quella del Pd:

una imposta ordinaria (cioè che si applichi ogni anno, come accade in Francia) e che colpisca tutto il patrimonio oltre una data soglia.

e quella di Giuliano Amato,

che vorrebbe abbattere una volta per tutte il debito.

Alesina e Giavazzi le stroncano entrambe:

“Una patrimoniale una tantum sarebbe nella migliore delle ipotesi inutile, nella peggiore fatale. Per ridurre il rapporto fra debito e prodotto interno (Pil) sono necessari crescita, conti pubblici in attivo e tassi di interesse moderati. Nulla che possa essere influenzato da una una tantum”.

Spiegano:

“Una simile imposta abbasserebbe il livello del debito, ma non ne muterebbe la dinamica. Dopo qualche anno torneremmo da capo. Con l’aggravante che la riduzione del debito potrebbe diffondere l’illusione che i problemi sono stati risolti e che quindi si può ricominciare a spendere. È già successo all’inizio del decennio scorso, quando i benefici delle privatizzazioni svanirono nell’arco di una legislatura.

“Se invece si pensa a una patrimoniale ordinaria (ricordando che una in Italia c’è già, la Imu) questa andrebbe valutata all’interno di una revisione generale delle imposte: sui redditi da lavoro, sui consumi, sulla casa, sulle attività finanziarie. È possibile che il peso relativo di alcune di queste imposte sia sproporzionato. Per porvi rimedio il prossimo governo potrebbe nominare una Commissione—come quella che, nel 1972, su impulso di Bruno Visentini, propose il testo unico delle imposte dirette — con il compito di rimodulare le aliquote. Affermazioni generiche su questa o quella patrimoniale, una tantum o perenne, hanno il solo effetto di aumentare l’incertezza di cittadini e investitori.

“Ma una Commissione tecnica non potrà dire quale sia il livello di pressione fiscale ottimale. Questa è una scelta politica, che dipende dal livello di spesa che il governo ritiene desiderabile”.

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