Pd, Ingroia, Monti e Berlusconi: rassegna stampa e prime pagine

Fallisce il vertice tra Pdl e Lega. Il Corriere della Sera: “Non c’è intesa sull’alleanza tra Pdl e Lega. Berlusconi sulle sue dimissioni da premier: ci fu un complotto, se vinco farò un’inchiesta su Monti”.

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Quel sapore antico. Editoriale di Pierluigi Battista:

“È difficile definire cosa sia il «nuovo» in politica. Più agevole capire cosa invece rischia di emanare un sapore di antico. E di già visto. La coalizione che si ispira all’Agenda di Mario Monti può essere tante cose, e raccogliere molte anime. Può essere il punto di riferimento né centrista né moderato di una borghesia moderna che, assieme al rigore finanziario che ha caratterizzato oltre un anno di governo tecnico, esige più liberalizzazioni, meno bardature burocratiche, uno Stato più snello, un mercato del lavoro meno punitivo con i giovani, la promozione della meritocrazia, un fisco meno opprimente. Oppure può annacquare la sua novità imbarcando nelle sue scialuppe un personale politico logorato. O addirittura facendo il verso, stavolta con una massa elettorale meno cospicua ma con una spinta molto accentuata del mondo cattolico e financo dei vertici vaticani, ai fasti di ciò che fu la Democrazia Cristiana”.

Il retroscena. Bersani valuta l’effetto Monti: ma chi non vince non fa il premier. Scrive Maria Teresa Meli:

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“Pier Luigi Bersani non rinuncia alla flemma di sempre. Non perché non pensi anche lui quello che Enrico Letta pensa e dice: «Monti può toglierci dei voti». Ma il segretario è ottimista: «È da tempo che cercano di metterci sotto: non ci sono riusciti finora e non ci riusciranno neanche domani». E poi il leader del Pd è convinto, come ha detto ai suoi, che il Monti bis a questo punto non sia più proponibile: «Non può diventare premier chi non vince le elezioni».
Il che non significa che Bersani prenda sotto gamba la situazione: «Ogni parola di Monti verrà amplificata dai media, ogni gesto esaltato», spiega ai suoi il segretario. E Bersani sa anche che nello scontro Berlusconi-Monti il Pd rischia di essere costretto a «giocare in seconda battuta». Per questo ritiene opportuno non andare appresso alle accuse che i due si scambieranno di qui alle elezioni: «Il Pd farà la sua campagna elettorale». 
Con i compagni di partito il segretario non ha nascosto di non aver gradito «l’incoerenza» del premier che da tecnico super partes si è trasformato in protagonista della politica. Ai vertici del Pd non è piaciuto nemmeno il fatto che un consulente del governo come Bondi venga utilizzato per affari di partito, o che il vice segretario generale di palazzo Chigi Toniato partecipi alle riunioni del movimento montiano: «Se l’avesse fatto Berlusconi o l’avessimo fatto noi si sarebbe gridato allo scandalo. E invece con Monti silenzio». 
Ma Bersani sa che il Pd non può «fare campagna elettorale contro Monti», perché «lui ora è un nostro concorrente, ma in futuro potrà essere un nostro alleato». Perché la prossima dovrà essere «una legislatura costituente» in cui i moderati e il centrosinistra saranno chiamati a collaborare. Quanto meno per varare «le grandi riforme istituzionali e le grandi riforme di struttura», chiosa Stefano Fassina”.

Candele e rabbia. L’India piange la sua ‘Amanat’. Articolo di Cecilia Zecchinelli:

“Per il suo ritorno a casa ieri l’India ha acceso migliaia di candele. Dalla meravigliosa città-isola di Cochin alla tecnologica Bangalore, dalla mecca del cinema Bollywood alla capitale Delhi, e poi a Calcutta, Chennai, Hyderabad, ovunque un fiume di persone, soprattutto giovani e donne, è sceso nelle strade per darle l’addio. Nelle stesse ore il cadavere della ragazza stuprata da sei uomini il 16 dicembre tornava da Singapore su un jet mandato dal governo indiano, la bara dorata avvolta in una bandiera bianca. La studentessa 23enne il cui nome non è stato diffuso e che alcuni media hanno chiamato «Amanat» (tesoro) è diventata il simbolo dell’India che si ribella all’omertà millenaria, all’ingiustizia che colpisce soprattutto le sue donne, di ogni fede o etnia”.

Bilanci e prospettive 2012-2013 La Cina e l’Africa, lo spread e gli Azzurri: cosa accadrà nelle prossime 8.760 ore?

 “Dimenticheremo lo spread? L’Europa farà un passo verso l’unità politica? A chi fa paura l’Italia? La crisi sfocerà in ripresa o in conflitto sociale? Come domerà il debito pubblico (e la minaccia di atomica iraniana) l’America di Obama in versione superpotenza soft? Che conseguenze avrà il rallentamento dell’economia cinese? Cosa hanno da imparare Angela Merkel (e i capi prossimi venturi) dalla leadership «aperta» di Lady Gaga? Perché nell’Africa subsahariana cresce la classe media che altrove (anche nei Paesi delle primavere arabe) fatica o indietreggia? E l’ambiente? Dobbiamo temere più gli uragani o i terremoti? 
Domande. Queste e altre: preoccupate, speranzose. Ogni inizio d’anno si apre con il suo botto di interrogativi. Il 2013 non è da meno. Molti (impellenti) li ha ereditati dal 2012. Alcuni sembrano indicare che viviamo un tempo di passaggi epocali (più che annuali) in un mondo dove se l’economia ristagna il resto va velocissimo. Paradossi della contemporaneità: magari si vive al quarto d’ora più che alla giornata — come dice la battuta — massimo mezz’oretta. Eppure l’orizzonte si allunga, e tutto è più collegato (anche se non sempre illuminato)”.

Bersani: Monti sbaglia, lo sfido. La Repubblica: “Primi scogli per i centristi: Passera non si candida, veto del Pd sulla Cancellieri. Casini: scelgo io e non Bondi chi mettere nelle liste Udc”.

Per favore professore non rifaccia la Dc. Editoriale di Eugenio Scalfari:

“Se gli avessero chiesto di dare il suo contributo alla realizzazione di quel programma, era pronto ad assumerne la responsabilità. Un bellissimo discorso, di chi opera nel presente guardando al futuro, all’insegna di uno slogan che era molto più di uno spot: il cambiamento contro la conservazione.
Ma appena due giorni dopo aveva già iniziato colloqui riservati con l’associazione di Montezemolo e con i centristi di Casini e di Fini, avendo come consiglieri i suoi ministri Riccardi e Passera; poi aveva incontrato il giuslavorista Ichino in rapido transito dal Pd alla montiana coalizione centrista; i dissidenti del Pdl guidati da Mauro, mentre cresceva il numero dei ministri del suo governo interessati a proseguire con lui l’esperienza iniziata un anno fa.
Intanto fioccavano gli “endorsement” da quasi tutte le cancellerie europee e americane ed uno decisivo da ogni punto di vista del Vaticano, proveniente dai cardinali Bertone e Bagnasco e dall’“Osservatore Romano”. La Chiesa, o almeno la sua gerarchia, lo vorrebbe alla guida dell’Italia per i prossimi cinque anni”.

La Lega: “No a Silvio premier” Berlusconi: “Così è rottura e voglio una inchiesta su Monti”. Scrive Silvio Buzzanca:

“L’incontro fra Silvio Berlusconi e i leghisti per sciogliere il nodo delle alleanze nazionali e in Lombardia è andato male. A partire dal fatto che Roberto Maroni nella casa milanese del Cavaliere di via Rovani non si è proprio presentato e ha mandato Roberto Calderoli. Il quasi fallimento lo certifica alla fine dell’incontro un tweet di Angelino Alfano, uno dei pidiellini presenti all’incontro. «Discussione con Lega ancora in corso. Alcune importanti questioni, però, non ci convincono e potrebbero indurci a separare nostro percorso », cinguetta infatti il segretario del Pdl. Uno scenario che alla fine il Cavaliere conferma: «Con la Lega Nord in questo momento è ancora tutto aperto, ma non possiamo accettare le cose a scatola chiusa». Allora il Cavaliere ammette che pensa ad altri scenari. «Noi – spiega – pensiamo di potere avere lo stesso la possibilità di vincere alle elezioni anche se andiamo separati dalla Lega Nord» Certo si continua a discutere, conclude, «ma non è una cosa obbligatoria e non è possibile distinguere tra regionali e politiche»”.

Ingroia corre per la premiership “E Grasso fu scelto dal Cavaliere”. Articolo di Alberto Custodero:

“Antonio Ingroia si candida a premier alla guida di una lista a suo nome per la “rivoluzione civile” con un logo che richiama il popolo del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Annunciata la candidatura, l’ex coordinatore del pool d’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia inizia subito la sua rivoluzione civile attaccando Bersani e Grasso. Dà del «padreterno » al primo che — a detta del magistrato — «non vuole eliminare mafia e corruzione». E critica il secondo perché avrebbe «elogiato la politica antimafia di Berlusconi che lo ha nominato alla procura nazionale con una legge ad hoc». Quindi è botta e risposta con il movimento M5Stelle con il quale cerca un dialogo. Ma dopo aver incassato un secco rifiuto («Ci apre la porta? — lo gela Beppe Grillo — la chiuda pure»), replica: «Grazie, ma la mia porta decido io quando chiuderla. Ho sempre tenuto aperte le porte da magistrato verso i cittadini ed ora la tengo aperta in politica».
Spiega di aver voluto candidarsi perché «oggi non siamo in un Paese normale. Ma in una emergenza democratica». Poi si scaglia contro il Pd, reo di aver dimenticato le proprie “radici” che l’ex pm identifica nei nomi-simbolo di Pio La Torre ed Enrico Berlinguer. «Noi, invece — prosegue Ingroia — candidiamo, fra gli altri, Franco La Torre, figlio di Pio». Ingroia polemizza con durezza con Bersani: «Ha ignorato il mio appello”.

Monti-Passera, è strappo. La Stampa: “Berlusconi contro il Professore: faremo una commissione di inchiesta sul suo governo. Fini: alla Camera ci sarà anche Fli”.

Un fisco tra equità ed efficienza. Editoriale di Stefano Lepri:

“Se il carico fiscale difficilmente potrà scendere, in tutti i Paesi avanzati, è ovvio che si inasprisca la lotta su come ripartirlo. Dal «fiscal cliff» americano alla nostra campagna elettorale, il nodo è lì. La sentenza di ieri del Consiglio Costituzionale francese contiene un insegnamento anche per noi, seppur non quello che sembra a prima vista. L’aliquota di imposta al 75% sui redditi oltre il milione di euro non è stata bocciata perché troppo alta: in democrazia nessuna Corte Costituzionale può giudicare su questo aspetto, che è di competenza dei Parlamenti. E’ stata bocciata perché produce effetti perversi, di ineguaglianza, combinandosi con il «quoziente familiare» da tempo in vigore in Francia. Non per questo cade la duplice questione che al di là delle Alpi fa discutere, se il 75% sia troppo o no in linea di principio, e se una aliquota così elevata non sia nella pratica controproducente. Dovunque nel mondo, quando si parla di tasse, occorre sempre tener presenti entrambe le facce della medaglia: l’equità e l’efficienza”.

Intervista a Gianfranco Fini:

“Io noto soltanto che alcuni punti dell’Agenda insistono sulla necessità di semplificare le normative del lavoro. Sull’opportunità di spostare la contrattazione dal livello nazionale a quello aziendale. Sull’importanza di proseguire con le liberalizzazioni e con l’apertura al mercato… Rammento male, o erano proprio questi alcuni nodi del confronto tra Renzi e Bersani? In questo dibattito ci siamo anche noi”.

Hollande battuto Bocciata la tassa contro i milionari. Articolo di Alberto Mattioli:

“Lui, giurano all’Eliseo, l’ha presa «serenamente». «Era una delle ipotesi possibili», dicono. Però si è verificata la peggiore. Ieri il Consiglio costituzionale ha bocciato la tassa-simbolo di François Hollande, la micidiale aliquota del 75% sui redditi superiori al milione di euro l’anno che ha scatenato infinite polemiche e la grande fuga all’estero dei Paperoni francesi. I «saggi», come vengono chiamati con una certa dose d’ottimismo i custodi della Carta, l’hanno cassata argomentando che va contro il sacrosanto principio dell’uguaglianza dei carichi fiscali. In effetti, è «basata sui redditi di ogni persona fisica», allorquando in Francia l’imposta sul reddito è prelevata su quello del nucleo familiare.

Secondo la non meno sacrosanta regola della Quinta Repubblica per cui le buone notizie le dà il Presidente e alle cattive reagisce il primo ministro, Hollande è rimasto serenamente silenzioso ed è toccato al premier Jean-Marc Ayrault partire al contrattacco. La tassa sarà riformulata, ha promesso Ayrault, votata e applicata ai redditi del 2013 come annunciato. Ma non è ben chiaro come il governo possa farlo”.

Nuovi emigranti italiani con la laurea in valigia. Il dossier di Enrico Caporale:

“L’ Italia non è un Paese per laureati. O almeno, non lo è più. Lo raccontano le storie che, da anni si rincorrono sui forum in rete, lo conferma il «Rapporto Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente», secondo cui la percentuale dei giovani laureati sugli italiani che lasciano il Paese è passata dall’11,9 per cento del 2002 al 27,6 per cento del 2011: quasi il triplo in appena dieci anni. La meta preferita? Il Regno Unito, che accoglie l’11,9 per cento dei nostri cervelli. Subito dietro Svizzera, Germania e Francia. Ma c’è anche chi decide di attraversare l’Oceano e fare rotta verso gli Stati Uniti, il Brasile e l’Australia”.

Gli eroi del 2012. Il Fatto Quotidiano: “Dalle maestre di Newtown che hanno fatto da scudo ai bambini contro le pallottole del folle sparatore, al marocchino che gettandosi in acqua ha salvato un’intera famiglia italiana”.

Agenda Bondi. Editoriale di Marco Travaglio:

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“Non vorremmo essere nei panni di Enrico Bondi, chiamato da Monti a selezionare degli aspiranti candidati del Partito Agenda. Non perchè sia un tipo facilmente impressionabile, anzi: sopravvissuto a Montedison, Telecom, Parmalat e Premafin spolpate da politici e prenditori tipo Gardini, Tanzi e Ligresti, firmatario nel ’ 97 dell’appello dei manager per abrogare il falso in bilancio, non si farà certo spaventare dalle facce e soprattutto dalle mandibole dei cosiddetti moderati. Il guaio è che non sono chiare le regole d’ingaggio della sua nuova missione. Che rischia di somigliare alla scena di Mezzogiorno e mezzo di fuoco di Mel Brooks: quando il cattivo arruola una sporca dozzina per assaltare il villaggio. Si siede dietro un banchetto ed esamina i curricula dei candidati in fila indiana: “Precedenti penali?”. Il primo risponde: “Stupro, assassinio, incendio doloso, stupro”. E lui: “Hai detto due volte stupro”. “Sì, ma mi piace tanto lo stupro!”. “Ottimo, firma qua. Avanti il prossimo … Precedenti penali?”. “Atti di libidine in luogo pubblico”. “Non è mica tanto grave”. “Sì, ma in una chiesa metodista!”. “Ah carino! Arruolato, firma qua!”. Immaginiamo il reclutamento per l’Agenda Monti. Bondi s’installa nelle segrete di Castel Sant’Angelo (le location le offre il Vaticano) e inizia l’esame del sangue ai candidati. “Mi chiamo Cordero di Montezemolo”. “Precedenti penali?”. “Condanna in primo grado a un anno per abusivismo edilizio”. “È un po ’ po-chino, ma è un buon inizio. Arruolato””.

Fuga dall’imbroglione. Il Giornale: “Passera, Fornero, Severino e Cancellieri lo abbandonano e non si candidano. E Casini fa già il capo  Berlusconi: serve un’inchiesta su come il premier èarrivato al governo”.

Il mio malaugurio per l’anno nuovo. L’editoriale di Vittorio Feltri:

Un consiglio a chi si accinge a leggere il seguente articolo: tenga a portata di mano un qualsivoglia oggetto di ferro, perché quello che sto per scrivere non è un augurio,ma un«malaugurio»in vista del nuo­vo anno. Anche i non superstiziosi si apprestino a fare gli scongiuri: la prudenza non è mai troppa”.

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