Pensioni d’oro. Massimo Donelli “Stato italiano come Dillinger”

Pensioni d'oro. Massimo Donelli "Stato italiano come Dillinger"
Massimo Donelli. Sulle pensioni d’oro, lo Stato agisce come Dillinger

Pensionato d’oro da pochi mesi, Massimo Donelli, giornalista e ex direttore di Canale 5, non riesce a farsene una ragione della persecuzione di cui sono oggetto i pensionati che hanno una pensione più alta per avere versato contributi più alti per tutta la vita. Ha scritto questo articolo per il sito di Radio Monteceneri:

“C’è una banca, in Italia, che le batte tutte. Oh sì, è perfino meglio dei celebrati istituti di credito svizzeri. Infatti, presta denaro in continuazione. E non chiede interessi. Di più: non è in grado di intimare la restituzione del denaro elargito. Perché questa banca, superliquida, ha migliaia di azionisti, ma le mancano tanto un consiglio di amministrazione quanto la sede. Peraltro, ha un solo cliente, che fa e disfa come gli pare: lo Stato italiano, in versione John Dillinger.

Che banca è?

La Banca dei pensionati.

Funziona così: ogni volta che un Governo della Repubblica non riesce a tagliare le spese (non ci riesce mai) e ha bisogno di soldi, zac! Li preleva dalle pensioni.

Non ci credete?

A mettere le mani in tasca ai pensionati ha cominciato l’esimio professor Mario Monti sul finire del 2011, quando lo spread impazzava terrorizzando l’Italia”.

Qui Donelli, forse per lealtà aziendale, trascura che l’iniziatore fu Giulio Tremonti, forse a insaputa dell’allora Presidente del Consiglio Berlusconi, impegnato con l’inchiesta su Ruby e a comprare senatori per restare a galla. Lo fece meglio dei successori, non picchiando solo sui pensionati, ma alla fine la Corte costituzionale ha dato torto a Berlusconi-Tremonti come a Monti e ha costretto lo Stato a restituire il maltolto. La restituzione parte dalle trattenute fatte dall’agosto 2011, mentre Monti è salito in cattedra a novembre.

Proseguiamo con l’articolo di Massimo Donelli, che, a parte la piccola omissione, non fa una grinza:

“Essendo persona austera e avendo, in quel momento storico, pieni poteri e pieno consenso, Monti non ha usato orpelli verbali per giustificare la mossa: ha agguantato l’agguantabile e basta.

Volete sapere come?

Così: ha stabilito, per decreto, di prelevare dalle pensioni, oltre alle (altissime) tasse, il 5% per la parte compresa fra i 90mila euro ed i 150mila euro lordi annui; il 10% per la parte compresa tra i 150mila euro ed i 200mila euro lordi annui; e, infine, il 15% per la parte eccedente i 200mila euro lordi annui.

Ma l’articolo 3 della Costituzione non garantisce forse pari dignità sociale a tutti i cittadini? E l’articolo 53 non dice forse che ciascuno è chiamato a pagare in base al proprio reddito? Perché, allora, i pensionati debbono versare allo Stato più dei loro pari reddito in attività? Forse perché non possono scioperare ossia non possono più far danni? E perciò non debbono avere pari dignità sociale?

Incurante della Costituzione, la “spremuta” montiana va avanti per un anno e mezzo.

Finchè, nel giugno del 2013, la Corte Costituzionale (appunto…) dà dell’asino al professore con una sentenza che spazza via il suo decreto. Ritenuto, ovviamente, incostituzionale.

I pensionati esultano, la Corte dice che vanno rimborsati.

Tutto a posto quindi?

Neanche per idea.

L’Italia, si sa, oltre che patria del Diritto è anche patria del Rovescio, secondo l’immortale definizione di Ennio Flaiano. E, così, passati pochi mesi, mentre da una parte si prepara l’operazione rimborso, dall’altra ci pensa Enrico Letta a infilare nuovamente le mani nelle tasche dei pensionati.

Letta viene dalla Democrazia cristiana (Dc), maestra nell’uso del vocabolario (ricordate le “convergenze parallele” e gli “equilibri più avanzati”, famose quanto fumose espressioni coniate da Aldo Moro?). E Letta sa bene che Le parole sono pietre, per citare il celebre pamphlet di Carlo Levi. Contro chi le scaglia? Ma contro i pensionati, naturalmente.

Come?

Trincerandosi dietro due mirabili invenzioni verbali che usa come una tenaglia.

La prima è: “pensioni d’oro”.

La seconda è “contributo di solidarietà”.

Ergo (ecco la tenaglia): chi ha una “pensione d’oro” deve dare un “contributo di solidarietà”.

Avvolto in questo populistico mantello verbale, Letta decide di far meglio (anzi peggio) di Monti. Così: 6% di prelievo (“contributo di solidarietà”) per la parte di pensione compresa fra 14 e 20 volte il minimo (90.168—128.811 euro lordi annui); 12% sugli importi fra 20 e 30 volte il minimo (128.811—193.217 euro lordi annui); e 18% sulle quote oltre 30 volte.

E la sentenza della Corte suprema? Intanto ti (ri)spremo, poi si vedrà…

Giusto?

No, sbagliato.

Per due ragioni.

Prima ragione: le cosiddette “pensioni d’oro”, escluse quelle (pochissime) di qualche mascalzone di Stato di cui si conoscono nomi e cognomi riportati nei libri di Mario Giordano, sono il frutto di anni e anni di pesanti versamenti regolarmente consegnati agli istituti di previdenza dalle aziende e da quadri e dirigenti. Che, peraltro, su quelle pensioni versano già fior di tasse. Oltre i 75.000 euro lordi annui, infatti, l’aliquota Irpef è del 43%. E, per esempio, chi ha una pensione tra 90.000 e 128.000 euro lordi pagherà nel 2014 un’aliquota complessiva del 49% ma, dovendo sobbarcarsi anche le imposte addizionali locali, ovvero il prelievo fiscale della Regione e del Comune, sfonderà il muro del 50%. Mentre chi incassa più di 193.000 euro pagherà addirittura il 61%. Come ben vedete, le “pensioni d’oro” non sono un furto, ma, semmai, sono oggetto di un furto…

Seconda ragione: il “contributo di solidarietà” è un’autentica mascalzonata demagogica. Nei Paesi civili, infatti, la solidarietà è un atto che si compie volontariamente, non una confisca, come, acutamente, ha scritto Piero Ostellino sul Corriere della sera. Mai visto qualcuno solidale per forza?

Tant’è, le due espressioni lettiane sono entrate nel gergo giornalistico (si può parlare di “giornalismo spazzatura” così come si parla di “tv spazzatura”? Si può, eccome…) aprendo la strada – ti pareva – al governo guidato da Matteo Renzi.

Tra smentite poco convinte e poco convincenti, infatti, si starebbe lavorando all’ipotesi di chiedere un (indovinate un po’?) “contributo di solidarietà” a chi ha una pensione mensile lorda di 2.000-2.500 euro. Già etichettata, spudoratamente, “pensione d’argento”…

Come? Come dite? La “pensione di bronzo”?

No, quella è categoricamente esclusa.

Il bronzo, infatti, è in via di esaurimento, giacchè sta quasi tutto sulla faccia dei ministri di ieri. Ne è rimasto solo pochino pochino: escluso che serva a rendere inscalfibile la faccia dei ministri di oggi.

O no?”

 

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