Pensioni e tagli: rassegna stampa di Pierluigi Franz

di Redazione Blitz
Pubblicato il 19 Agosto 2014 - 10:10 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni e tagli: rassegna stampa di Pierluigi Franz

Pensioni e tagli: rassegna stampa di Pierluigi Franz

ROMA – Pierluigi Roesler Franz pubblica, sul suo sito, una rassegna che raccoglie varie opinioni sulla proposta del ministro del Lavoro Giuliano Poletti di tagliare ancora le pensioni.

“Pensioni: contributo sopra i 90 mila lordi” di Cesare Damiano

L’importante e’ che non si faccia confusione tra pensioni e soprattutto quando si parla di netto o di lordo.

Secondo me il limite tra quello che non va toccato e quello che invece va toccato è quello che ha stabilito il governo di Enrico Letta con la soglia di 90 mila euro lordi l’anno, sotto la quale non si può andare a prendere”. Lo ha dichiarato Cesare Damiano del Partito democratico a Tgcom24. “La seconda questione é che quei soldi risparmiati devono tornare al sistema pensionistico migliorando le pensioni basse oppure aiutando a trovare delle soluzioni per gli esodati, che sono rimasti a bocca asciutta”, aggiunge.

Pensioni d’oro, Giorgia Meloni (Fdi): “O Poletti è in malafede o non sa di cosa parla”.

“Due sono le cose: o il ministro Poletti è in malafede oppure non conosce la materia della quale sta parlando. Il tema delle pensioni d’oro, infatti, è stato lungamente dibattuto alla Camera dei deputati graziealla proposta di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale di revocarle, assieme ai vitalizi, e di procedere al ricalcolo col metodo contributivo della parte eccedente 10 volte la pensione minima. La proposta però è stata bocciata e insabbiata in Parlamento dalla quasi totalità dei partiti politici, con il Pd di Renzi in testa”. È quanto dichiara il presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale, Giorgia Meloni. “Proprio a partire dallo scandalo delle pensioni d’oro, questa maggioranza ha dimostrato di non aver alcuna intenzione di toccare i privilegi esistenti, facendo pagare tutto il costo della crisi alla povera gente. Le parole di Poletti e il dibattito che hanno scatenato sono solamente un’ennesima pagliacciata.

Anche perchè stando alla proposta del ministro nella migliore delle ipotesi si arriverebbe a un contributo di solidarietà di bassa entità che andrebbe a colpire indifferentemente chi un’elevata pensione l’ha meritata pagando i contributi e chi invece la percepisce in virtù delle leggi truffaldine della prima repubblica. Se Poletti vuole veramente fare un’azione concreta e non la solita demagogia riprenda la proposta di FdI-An e la faccia propria”.

“Pensioni, ecco perché mi inquietano i pensieri del ministro Poletti” di Giuliano Cazzola.

Non ci siamo, compagno Poletti. Con l’intervista al Corriere della Sera non è solo il ministro del Lavoro a gettare la maschera. Insieme a lui lo fa tutto il governo. Non abbiamo a che fare con una sinistra innovativa che è “andata a scuola” da Pietro Ichino e da Tito Boeri e che, giunta al potere, si appresta a dare attuazione a quelle idee che, per anni, hanno fatto il giro delle conferenze e … dei salotti.

No. Purtroppo anche il Pd a trazione renziana resta inviluppato nel consueto reticolo di ideologie malate quando si tratta di affrontare temi di grande rilevanza economica e sociale; si attarda a “rammendare le solite vecchie calze” anziché promuovere quelle misure che, ben al di là dello loro effettiva portata, manderebbero un segnale di cambiamento ai mercati, che si nutrono pure di simboli. Ed è singolare che un “grande comunicatore” (lo sono anche i truffatori) come Pier Matteo Renzi-Tambroni non sia in grado di cogliere quanto di emblematico ci sarebbe in una revisione significativa della disciplina del licenziamento individuale.

A chi scrive, tuttavia, non interessano tanto le considerazioni che Giuliano Poletti svolge a proposito dell’articolo 18. Sono convinto, infatti, che, dopo la riforma del contratto a termine, con l’abolizione della causale per tutta la sua durata e con la possibilità di ben 5 proroghe, il problema di quel maledetto articolo che sta tra il numero 17 e il numero 19 della legge 300/1970 si sia fortemente ridimensionato, perché il decreto n. 34 (Dio gliene renda merito, compagno Poletti!) ha aperto, a favore delle imprese, un’uscita di sicurezza per almeno un triennio (sempre che la Corte di Giustizia non accolga il ricorso della Cgil).

Dopo di ciò, il governo e la maggioranza possono confezionare a loro piacimento quel sarchiapone del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (introducendo un periodo di prova tanto lungo da essere ridicolo, modulando le sanzioni contro il licenziamento illegittimo, dapprima e per un certo numero di anni attraverso la penale, poi con la reintegra); ma nessun imprenditore preferirà avvalersene al posto del nuovo contratto a termine, per il semplice fatto che, grazie a quest’ultimo istituto, si evita il rischio di finire in giudizio, come invece potrebbe sempre avvenire anche con il contratto a tempo indeterminato di nuovo conio. E non si venga a dire che l’utilizzo del sarchiapone potrà essere incoraggiato con incentivi e sconti, in primo luogo perché è ora di smetterla con la prassi di “drogare” l’occupazione; in secondo luogo perché – come sosteneva Marco Biagi – nessun disincentivo normativo può essere compensato da un incentivo economico. Basta mettere a confronto l’esperienza compiuta con il “pacchetto Giovannini” che premiava, con un bonus da 600 euro mensili fino a 18 mesi, le assunzioni aggiuntive a tempo indeterminato. Bene. Appena è entrato in vigore il contratto a termine ‘’made in Poletti’’ le aziende hanno cessato di utilizzare l’opportunità dell’incentivo di Giovannini per rivolgersi al nuovo istituto (benché più oneroso dell’1,4%).

Il Pd vuole tenersi l’articolo 18? Si accomodi. Il governo di Pier Matteo Renzi-Tambroni può anche provvedere ad imbalsamarlo, a richiuderlo in una teca e ad organizzare vere e proprie visite guidate, come si faceva un tempo nel Mausoleo di Lenin a Mosca sulla Piazza Rossa.

Tornando all’intervista di Poletti mi inquieta di più la parte sulle pensioni. Il ministro insiste nel contrabbando degli esodati, i quali, nella sua proposta, non sono più quei lavoratori rimasti intrappolati nella riforma Fornero, perché – prima della entrata in vigore dei nuovi requisiti – avevano cessato ogni attività e si trovavano a disporre di un reddito mediante l’erogazione di ammortizzatori sociali o di extraliquidazioni datoriali. I problemi di queste persone sono stati risolti grazie a ben 6 provvedimenti di salvaguardia (che tra l’altro hanno dimostrato quante esagerazioni e demagogia ci siano state nell’indicazione del numero degli interessati).

Poletti si spinge molto più avanti, fino alla vecchia pratica di piegare il sistema pensionistico alle esigenze del mercato del lavoro. Da quello che si comprende, le sue proposte – in linea con la rottamazione dei dipendenti pubblici di cui alla legge Madia – vanno tutte a parare su modelli di prepensionamento, sia pure meno generosi di quelli con cui si fece fronte alla ristrutturazione produttiva degli anni ’80. E’ la via più comoda, quella di risolvere i problemi delle persone erogando loro delle pensioni piuttosto che aiutarle a ritrovare un lavoro; ma ormai è divenuta insostenibile per le finanze pubbliche. Le risorse occorrenti non si troveranno mai: neppure mettendole a carico di qualche centinaia di migliaia di pensioni d’oro, che, peraltro, già sono sottoposte ad un contributo di solidarietà. Secondo Poletti “dipende da dove si fissa l’asticella”. Siamo già all’esproprio proletario? Staremo a vedere. Ovviamente confido nell’arrivo della Trojka…

Previdenza. “Lasciate in pace il ceto medio”. Di Dario Di Vico

La parola chiave della politica sociale di metà agosto è «asticella». L’ha usata ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervistato sul Corriere da Enrico Marro. Si discuteva di un (non tanto) ipoteticocontributo di solidarietà (slittamento lessicale che sostituisce la parola «tassa») a carico delle pensioni alte ed è rispuntato un progetto e un vecchio dilemma dei governi succedutisi in questi tribolati anni.

Se il contributo di solidarietà lo si carica sugli assegni mensili veramente d’oro e d’argento le risorse che si rastrellano per questa via alla fine sono poche, assomigliano dal punto di vista del bilancio dello Stato a briciole.

Se invece l’asticella ministeriale del prelievo viene collocata più in basso ecco che la platea dei colpiti diventa molto più larga e si raccoglie decisamente di più. Il guaio è che in questo modo non ci si limita a sforbiciare i redditi dei superburocrati che godono di una pensione aurea ma si tassa di nuovo una parte significativa del ceto medio. Il governo Renzi ha scelto questa strada?

La tesi di un prelievo con asticella bassa nel dibattito di politica economica viene in genere attribuita al deputato Yoram Gutgeld, renziano della seconda ora che in passato aveva immaginato un contributo del 10% sulle pensioni superiori a 3.500 euro per un incasso totale di 3,3 miliardi.

Dopo essere stato per un lungo lasso di tempo in ombra, Gutgeld dovrebbe essere il perno della squadra di economisti che Matteo Renzi vuole vicino a sé da settembre a Palazzo Chigi e non è un caso, dunque, che i ministri ricomincino a ventilare l’ipotesi del contributo di solidarietà.

Gutgeld è un ex manager di punta della società di consulenza McKinsey ed è naturale quindi che nella sua formazione economico-culturale prevalga un’impostazione di tipo illuministico, sorprende caso mai che Renzi, attentissimo al consenso popolare, la faccia propria.

Una nuova tassa che colpisca il ceto medio, seppur la sua porzione relativamente più agiata, riporterebbe indietro le lancette dell’orologio del Pd. I democratici sarebbero risospinti nel solco della tradizione della sinistra italiana poco attenta ai mutamenti di opinione del ceto medio tartassato. Attenzione, però.

Già nei giorni scorsi le cronache hanno registrato un repentino cambio di umore a Nord Est con un sondaggio secondo il quale anche gli artigiani veneti – che pure avevano votato e si erano spellati le mani per Renzi – cominciano a nutrire dubbi sull’efficacia della sua azione.

Pensioni: le ambiguità estive di Poletti, di Michele Carugi.

Puntualmente, come in quasi ogni Agosto, si torna a parlare di possibili sacrifici da richiedere ai pensionati; stavolta lo ha fatto il ministro Poletti, indicando come a suo avviso siano praticabili tagli alle pensioni più alte vuoi sotto forma di prelievi quantitativi vuoi tramite ricalcoli contributivi, mediante i quali finanziare interventi in materia di esodati. Come quasi sempre accade quando parla un politico, anche se non di professione, le dichiarazioni non sono precise negli intendimenti, lasciando aperta la porta a soluzioni le più diverse e, soprattutto, ispirate ai più diversi principi politici ed economici.

Infatti, le modalità da utilizzarsi potrebbero ispirarsi a criteri molto diversi tra loro; la prima discriminante sarebbe quella che riguarda il modo di vedere le pensioni e, di conseguenza, i pensionati: serbatoio di risorse ritenute una concessione “del monarca” al quale attingere a discrezione e bisogno dello stesso, oppure parte di un sistema previdenziale che preveda accantonamenti durante la vita lavorativa e rendite nella quiescenza; nel primo caso le pensioni sarebbero affidate al buon cuore del “regnante” di turno, nel secondo i pensionati si aspetterebbero di vedere razionalmente e rigorosamente rispettati i criteri previdenziali. Non è una differenza da poco, poiché sposta le scelte da una totale arbitrarietà non bisognosa neppure di spiegazioni razionali, all’esito di processi di ragionamento e di calcolo sul quale basare interventi che restino con rigore allineati entro i criteri di previdenza; poiché nel primo caso si “fa e basta” mentre nel secondo occorrono tempo e capacità per fare i necessari calcoli e presentarli in modo credibile, il sospetto che la politica scelga la prima via è forte.

Ammesso e non concesso che questo governo intendesse scostarsi dalla prassi dei precedenti (totalmente quantitativa) e considerasse le pensioni come la restituzione di un accantonamento, sarebbe poi da vedere se tale restituzione sarebbe considerata come una forma di retribuzione (ancorché differita) e quindi equiparabile fiscalmente agli altri redditi oppure come un’entità fiscalmente aggredibile in modo selettivo. Anche qui, la differenza è radicale: nel primo caso, in linea con i prelievi e le de-indicizzazioni attuate dai governi precedenti, si potrebbero effettuare prelievi di fatto fiscali alle pensioni, esonerando da tali prelievi i redditi di altra natura (da lavoro dipendente o autonomo) anche se nelle stesse fasce reddituali; nel secondo caso, invece, i contributi richiesti ai pensionati dovrebbero essere richiesti nella stessa misura anche agli altri redditi; per inciso, questo era il senso delle sentenze della Corte costituzionale che hanno in passato bocciato i prelievi selettivi e criticato le de-indicizzazioni delle pensioni. Le parole di Poletti sembrano indicare la prima direzione; quando indica come destinazione dei possibili prelievi la salvaguardia di esodati nell’ambito del sistema previdenziale, il sospetto che stia studiando il modo di aggirare la sentenza della Corte che vietava di fatto i prelievi destinati alla fiscalità generale e applicati alle sole pensioni è fortissimo.

Diamo però al ministro il beneficio del dubbio e ipotizziamo che oltre all’astenersi da interventi monarchici voglia anche mantenersi fiscalmente ineccepibile ed evitare mosse furbette per aggirare la Costituzione; anche in questo caso si troverebbe di fronte a un bivio: trattare i prelievi sulle pensioni come puri prelievi fiscale e quindi applicarli a tutti i redditi oppure strutturare i prelievi sulle pensioni in modo tale da non far loro assumere una veste fiscale. Il primo caso è una via contabilmente semplice: si calcola il fabbisogno e lo si spalma sulle fasce di reddito che si vogliono interessare al provvedimento, la seconda strada, viceversa, è molto più complessa perché richiede di identificare, in un ambito strettamente previdenziale, quali risorse possano essere prelevate senza configurare una nuova tassa e l’unica via è il ricalcolo contributivo che dica, pensione per pensione, quanta parte sia un “benefit” concesso (sempre un po’ monarchicamente) dallo Stato e quanta invece abbia la natura di una retribuzione guadagnata lavorando e differita per la vecchiaia. Stando alle esperienze pregresse, al lavoro che dovrebbe fare l’Inps e alla probabile distribuzione dei privilegi previdenziali che emergerebbe dal ricalcolo, il sospetto che non lo si farà approssima la certezza; d’altra parte, però, anche la resistenza del governo a dichiarare apertamente di stare effettuando ulteriori prelievi fiscali a tutti i redditi mentre è subissato da ogni direzione, domestica, europea e mondiale, di richieste e suggerimenti di ridurre le tasse, è fortissima e rende poco credibile anche l’ipotesi numero uno.

Pertanto è assai probabile che le misure che ha in mente Poletti sarebbero fiscalmente selettive mirando alle sole pensioni; inoltre, una volta fatti saltare gli argini dell’equità fiscale e delle regole previdenziali, le pensioni verrebbero a essere trattate (come fatto sinora, al lordo di eventuali altre bocciature della Corte Costituzionale) da “spesa comprimibile” in funzione delle esigenze dello Stato e quindi in maniera sostanzialmente monarchica; siamo tornati alla prima casella.

Che il Ministro abbia in mente un esproprio a carattere fiscale e di natura arbitraria sembra confermato dalle sue affermazioni sul gettito; alla obiezione che sarebbe basso, data l’esiguità dei percettori di pensioni “alte” , il Ministro ha seraficamente risposto che l’entità delle risorse “dipende da dove si fissa l’asticella”. In soldoni, le pensioni nel mirino potrebbero essere anche moltissime, datosi che il termine “alte” è assolutamente relativo e può essere facilmente piegato alle esigenze del Reale erario.

Se poi si guarda all’utilizzo che Poletti vorrebbe fare delle risorse derivanti dal prelievo, i dubbi aumentano; il ministro, infatti vedrebbe di buon occhio la loro destinazione a interventi per lavoratori che “altrimenti rischierebbero di finire esodati”; l’ambiguità sta qui nell’utilizzo del termine “esodati”, che ha indicato negli ultimi tre anni coloro che erano stati sorpresi dalla riforma Fornero in stato di disoccupazione forzata e per i quali la data di pensione era stata spostata in avanti talvolta di molti anni. Poletti sembra invece fare riferimento a lavoratori oggi attivi che potrebbero trovarsi disoccupati in futuro, in assenza dei requisiti per la pensione; infatti parla di istituire uno “scivolo” per il quale vanno stimate le risorse necessarie e tali risorse, aggiungo io, potrebbero avere ammontare estremamente variabile in funzione del ciclo economico e della capacità o incapacità del Governo di fare riforme e creare opportunità di lavoro. Chiarito che il problema della disoccupazione è cruciale e che l’istituzione di un sussidio (a termine) è necessaria, trattandosi di problematica sociale, la sua soluzione dovrebbe però essere a carico della fiscalità generale e in questo ambito i pensionati dovrebbero essere chiamati a fare la loro parte.

Nel complesso, le dichiarazioni agostane di Poletti vanno ennesimamente a rafforzare il dubbio che per questo governo, come per i precedenti, persista l’ottusa volontà di guardare alle pensioni come a una elargizione discrezionale e, come tale, soggetta a ogni possibile arbitrio, anziché muovere finalmente verso un’ottica integralmente previdenziale che preveda innanzitutto una seria valutazione contributiva a valle della quale togliere i privilegi a chi ne ha e poi chiamare i pensionati a dare il loro contributo in un momento di crisi insieme agli altri cittadini e nella stessa misura.

Non guasterebbe se Renzi battesse un colpo per chiarire se condivide le idee ambiguamente espresse di Poletti oppure no.

Il segnale, per quanto agostano, non va sottovalutato: vuol dire che i disillusi non albergano solo tra le élite. Ma al di là delle considerazioni che attengono al campo dei sondaggi e degli indici di popolarità, aprire uno scontro con il ceto medio proprio ora, alla ripresa delle attività dopo la breve pausa estiva, sarebbe un errore grossolano.

Il Paese ha bisogno di un semestre di mobilitazione per la crescita, di sforzi sinergici tra azione di governo e sentimento della società civile. Gli 80 euro in busta paga devono servire a far riprendere i consumi e rianimare la boccheggiante domanda interna. Se invece alla fine a dominare la comunicazione dovesse essere ancora una volta la parola «tasse» saremmo punto e a capo. Saremmo pronti per organizzare il Festival della Depressione.

Il siluro di Poletti sulle pensioni e l’annebbiata strategia europea dell’Italia, di Giuseppe Pennisi

Le vie dell’Inferno – dice un antico proverbio – sono tappezzate da buone intenzioni. L’intervista concessa dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, al Corriere della Sera potrebbe rivelarsi un boomerang nei confronti della strategia europea del governo.

CHI TARTASSA COSA

È questa la prima preoccupazione, di breve periodo, che si registra a Bruxelles (e non solo). Riguarda non tanto la parte dell’intervista relativa al diritto del lavoro, in particolare al futuro dell’art.18 nel nuovo Statuto dei Lavoratori; più volte annunciato ma di cui esiste solo la bozza redatta, oltre dieci anni fa, dal mai troppo compianto Marco Biagi. Le preoccupazioni si riferiscono a quanto sussurrato in materia di nuove imposte (sotto il nome di “contributi di solidarietà”) in tema di previdenza e di “asticella” che potrebbe scendere dagli attuali 90.000 euro (sul cui futuro incombono ricorsi alla Corte Costituzionale, che ha già due volte ha dichiarato tali misure discriminatorie e costretto il Governo a rimborsare, pagando anche gli interessi di legge) a circa 60.000 euro. Bruxelles non si preoccupa tanto di quello che sembra un “esproprio proletario” nella tradizione di epoche che si vorrebbero dimenticare.

PREOCCUPAZIONI EUROPEE

Le preoccupazioni europee sono di due aspetti:
– La certezza del diritto in Italia.
– Le implicazioni verso quella “unione europea delle pensioni”, essenziale per fare funzionare il mercato unico e l’unione monetaria (e di cui Formiche.net ha trattato il 3 maggio scorso).

In primo luogo, tutta la costruzione che stanno faticosamente mettendo in piedi il Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’Economia e delle Finanze si basa sull’aumento della credibilità internazionale dell’Italia. Spetta ad altri, per il momento, decidere se tale credibilità internazionale sia vera o fittizia. Per questo motivo, ad esempio, ci si è impegnati tanto nel giungere all’approvazione, in prima lettura da parte del Senato, della riforma delle Costituzione, si vuole presentare al Consiglio Europeo del 30 agosto una proposta cogente per ridurre i tempi della giustizia civile e si preme sulle amministrazioni per i pagamenti dei propri debiti commerciali con le imprese.

RIFORMARE DI NUOVO LA PREVIDENZA?

Una nuova riforma della previdenza che sconvolga la certezza dei diritti di chi ha già maturato la pensione, oltre a mettere repentaglio la situazione sociale interna ed a colpire – come dimostrato da studi Censis ed Eurostat – i giovani (i quali spesso sono mantenuti agli studi grazie alle pensioni dei nonni) più che gli anziani – è la prova del nove che l’Italia della certezza delle regole se ne impipa ed è pronta – unico Paese al mondo (secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) a fare una riforma della previdenza l’anno spesso solo per la vanagloria di chi vuole associare ad essa il proprio nome. Tutto ciò è segnale di poca serietà. Anche in materia di impegni economico-finanziari e di riforme strutturali.

In secondo luogo, la proposta dell’EIOPA – European Insurance and Occupational Pensions Authority, acronimo poco conosciuto nella galassia delle sigle europee – di cui parlammo in maggio sta facendo strada poiché è tassello essenziale del mercato unico e dell’unione monetaria – si può leggere per esteso su sito del Social Science Research Network.

LA PROPOSTA POLETTI

La proposta consiste nel fare confluire contributi pubblici e privati in Personal Pension Plans (PPP) uniformi per tutti i lavoratori europei che potrebbero scegliere se utilizzare questa strada o sistemi previdenziali nazionali. La proposta Poletti, ove ciò avvenisse, avrebbe l’effetto di fare confluire verso i PPP europei i contributi di tutti i percettori di reddito medio-alto, dissanguando l’INPS. O a Via Veneto, dove ha sede il dicastero, non ci hanno pensato o peggio ancora non sono al corrente di quanto avviene in Europa, oppure, alla Luigi XIV hanno preso l’atteggiamento Après moi le déluge. In parole povere, dopo di me, la liquidazione dell’INPS. Danneggiando i pensionati ai livelli più bassi di trattamento.

Pensioni, Poletti rilancia il prelievo sulle retributive, di Davide Grasso

Poletti ha rilanciato la possibilità di un prelievo di solidarietà sulle pensioni più alte per finanziare gli interventi sugli esodati. Critiche da Forza Italia e Ncd.

Ieri il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha ufficialmente sdoganato il possibile prelievo di solidarietà sulle pensioni per finanziare gli strumenti correttivi alla Riforma Fornero. Un taglio che potrebbe essere esteso alle agevolazioni fiscali per imprese e famiglie. Della prima ipotesi si sa che si inizierà dalle voci meno sensibili come l’abolizione delle agevolazioni fiscali per le spese cimiteriali a quelle per le spese veterinarie e le palestre.

La seconda vede la possibilità di un taglio della pensione a tutti coloro che percepiscono un assegno calcolato attraverso il sistema retributivo superiore a una certa soglia. La stampa di oggi lancia l’allarme che sarebbero colpite le pensioni oltre i 2mila euro ma per cronaca va precisato che il ministro del Lavoro non ha indicato alcuna soglia specifica. A Palazzo Chigi e al Tesoro prevale quindi la prudenza: «Vedremo, discuteremo, c’è ancora tempo».

Le ipotesi sul tavolo dell’esecutivo sono quelle elaborate agli inizi dell’anno dal Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli che fissavano in verità l’asticella sopra i 3000-3500 mila euro lordi al mese. Il piano di Cottarelli chiede un contributo di solidarietà del 10-15% e un blocco della indicizzazione biennale a coloro i quali percepiscono una pensione con il sistema retributivo sopra tale soglia; una proposta che colpisce quei pensionati che ricevono un assegno sproporzionato rispetto ai contributi effettivamente versati creando uno squilibrio sui conti pubblici. Squilibrio ancora piu’ difficilmente giustificabile, secondo Cottarelli, nei confronti di chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1996 che ha una pensione, piu’ leggera, calcolata con il sistema contributivo.

Nel piano di Cottarelli, fermato da Renzi a Marzo scorso, oltre al contributo di solidarietà ed al blocco delle indicizzazioni c’era anche l’aumento di un anno dell’anzianità delle donne per la pensione anticipata e la revisione delle pensioni di reversibilità. Un “bottino” che consentiva un risparmio di 1,8 miliardi nel 2014, 2,4 nel 2015, 3,4 nel 2016.

Sacconi: preoccupati dalle parole di Poletti

Intanto piovono critiche alle affermazioni di Poletti da parte delle forze politiche. Secondo Maurizio Gasparri: “Renzi è già quasi alla canna del gas. Il ministro Poletti lo ha detto chiaramente: il premier vuole colpire le pensioni, considerando alte le erogazioni da tremila euro lordi, pari a mille e cinquecento euro al mese. ‘E questa l’asticella del governo, pronto a massacrare pensionati che non possono certo essere considerati ricchi”. A difendere il ministro, e ad attaccare Gasparri, ci pensa il deputato pd Edoardo Patriarca: «Si pretende che il governo Renzi in pochi mesi faccia di più di quanto non hanno realizzato in venti anni gli esecutivi Berlusconi. Nei fatti i governi di centro-destra hanno tagliato le politiche sociali, aumentato la povertà, portato a livelli massimi lo spread. Gasparri abbia più pudore».

Ma anche Maurizio Sacconi, del Nuovo centrodestra, si dice «preoccupato» dal riferimento alle pensioni medie già erogate che potrebbero essere penalizzate: «Questo indurrebbe una più generale insicurezza nei pensionati, sulle loro aspettative di vita e sui loro consumi».