Pensioni, un cantiere aperto. Marino Longoni, Italia Oggi Pensioni, un cantiere aperto. Marino Longoni, Italia Oggi

Pensioni, un cantiere aperto. Marino Longoni, Italia Oggi

Pensioni, un cantiere aperto. Marino Longoni, Italia Oggi
Pensioni, un cantiere aperto. Marino Longoni, Italia Oggi

ROMA – La prossima legislatura, scrive Marino Longoni di Italia Oggi, metterà in cantiere l’ennesima riforma della previdenza? Difficile dirlo. Certo che mettendo in fila una serie di dati oggettivi questa conclusione si rivela altamente probabile.

Scrive Longoni:

Partiamo dalle considerazioni finali del governatore di Banca d’Italia: Ignazio Visco, mercoledì scorso, ha auspicato un saldo primario del 4% del pil, circa 68 miliardi l’anno, in grado, secondo le previsioni, di riportare il debito pubblico alla pari con il pil nei prossimi 10 anni (il fiscal compact, in realtà, prevede un percorso ben più ambizioso, teso a riportare il rapporto debito pil sotto il 60%). Trovare 68 miliardi l’anno non è semplice, visto che il governo sta trascinando di anno in anno, senza riuscire a disinnescarle, le clausole di salvaguardia Iva che valgono «solo» 15 miliardi.
Per impostare manovre di revisione della spesa pubblica così profonde difficilmente si può fare a meno di prendere in esame anche i costi della previdenza che, nonostante la riforma Fornero, presenta ancora un tasso di copertura del 76,4% e un deficit di 55 miliardi l’anno (differenza tra entrate contributive e uscite per prestazioni previdenziali). Una voragine pari a più del 3% del Pil, che ogni anno va coperta con entrate fiscali, o con nuovo debito.

La riforma Fornero, continua Longoni, aveva l’obiettivo di tamponare, almeno in parte questa emorragia, ma i risultati concreti sono stati modesti.

Lo spiega una recente ricerca del Centro studi itinerari previdenziali, su dati regionalizzati, dalla quale emerge che la leva principale utilizzata dalla riforma, l’aumento dei requisiti necessari per la pensione di anzianità, ha finito per produrre effetti soprattutto nelle regioni del centronord dove le pensioni di anzianità sono pari al 31% del totale delle prestazioni previdenziali. Al Sud, invece, gli effetti sono stati modesti, posto che qui le pensioni di anzianità sono molto meno numerose (solo il 16% del totale).
Una delle conseguenze di questo approccio è il consolidamento di un tasso di copertura previdenziale molto differenziato tra le varie regioni. A parte il caso del Trentino Alto Adige, unica regione con una differenza positiva tra entrate e uscite, i due estremi sono dati dalla Lombardia, dove le entrate arrivano a coprire il 97% delle uscite, e la Calabria, dove arrivano solo al 36%.
Se ai contributi previdenziali aggiungiamo anche quelli delle imposte dirette (Irpef e Irap) dal lato delle entrate, e dal lato delle uscite sommiamo alle pensioni la spesa del servizio sanitario nazionale e il welfare degli enti locali, otteniamo un residuo fiscale altrettanto sperequato, dove il Nord produce un attivo di 27,18 miliardi, il centro di 3,75 miliardi mentre il Sud ha un passivo di ben 36,36 miliardi. In pratica ogni cittadino della regione Lombardia paga ogni anno, in tasse e contributi 5.788 euro in più di quello che riceve in servizi sanitari e pensioni, mentre in Calabria ogni cittadino riceve 4.455 euro in più di quello che paga.
È evidente che questa sperequazione non può reggere ancora a lungo: in una situazione di difficoltà economica, con una crescita che si prevede stentata anche per i prossimi anni, con l’avvicinarsi della fine dei tassi a zero garantiti dal quantitative easing, con la necessità di stringere i freni per ricondurre il debito pubblico entro percentuali più ragionevoli (in Europa si discute addirittura di introdurre nei trattati europei il fiscal compact, cioè per l’Italia l’obbligo del pareggio di bilancio e il percorso a tappe forzate per la riduzione del debito pubblico), con l’impossibilità di alzare ulteriormente la pressione fiscale, il Nord non sarà più a lungo in grado di finanziare il Sud con assegni assistenziali e previdenziali a fronte dei quali non ci sono mai stati versamenti contributivi.
Ora tutti negano. Ma al primo accenno di crisi finanziaria, al primo rialzo dei tassi di interesse, il problema di riprendere in mano il dossier previdenza si riproporrà in termini drammatici.

Gestione cookie