Perché Unilever ha comprato Grom? Roberta Amoruso spiega…

(foto Ansa)
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ROMA – “Alla fine i portabandiera della Nocciola tonda gentile tribolata e della Crema come una volta – scrive Roberta Amoruso del Messaggero – hanno dovuto passare la palla agli anglo-olandesi di Ulilever. Sicché il gelato non artigianale ma fatto come una volta, quello delle code infinite per avere una coppetta blu, che deve molto anche all’assist del premier Matteo Renzi e che resta il preferito di Janet Jackson, ha ceduto alla legge dei numeri”.

L’articolo di Roberta Amoruso del Messaggero: D’altro canto, già da qualche anno i numeri dicevano già che non basta il coraggio imprenditoriale di due giovani piemontesi per mantenere in piedi una catena di 67 negozi partendo da 65.000 euro. Federico Grom, ex analista finanziario, e Guido Martinetti, enologo, avevano bisogno di capitali freschi per mettere una toppa alle perdite (4 milioni in due anni), senza contare i numeri ancora da approvare al 30 settembre 2015, e per sostenere gli investimenti messi in cantiere senza crollare. LA 500 CHE FA LA FERRARI «Le criticità» e «le problematiche» di percorso «mai affrontate in precedenza» sono scritte nell’ultima relazione al bilancio disponibile della Gromart. Sono le «criticità» di chi vuole puntare su nuovi gusti alla frutta (i sorbetti), aprire ai gelati confezionati, ma anche sfondare in altri prodotti, a partire da quelli da forno, e allo stesso tempo vuole invadere centri commerciali e stazioni, e sogna l’Indonesia (Giacarta), gli Emirati Arabi (Dubai) e poi il Far east, Cina in testa. E perchè no, Hollywood e il bis a New York.

Già, perché nonostante gli affanni nell’East Cost, i piani guardano a Florida, Nevada e Chicago. Come non rischiare l’indigestione? Sul fatturato di Gromart è girato di tutto, in realtà è una macchina da 24,4 milioni (a settembre 2014), con un ritmo di crescita un po’ fiacco (+3,7%), seppure di un certo rispetto di questi tempi, ma ben lontano dagli obiettivi 2015 che puntavano al +9%. E i margini dicono che l’iniziativa non poteva reggere senza una profonda revisione. L’Ebitda adjusted (il reddito operativo lordo al netto di interessi, imposte, leasing, ammortamenti e svalutazioni), in calo da anni, si era dimezzato. Quanto ai debiti, questi si erano ridotti nel tempo (da 9,3 a 7 milioni a settembre 2014 verso le banche), ma con margini così ridotti non erano il viatico migliore per le banche, tra le quali figura anche Mps, con tanto di derivato legato al rialzo dei tassi su un finanziamento con lo stesso istituto. Per andare al passo servono investimenti (…).

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